Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-10-2011) 14-10-2011, n. 37325

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza 30 aprile 2010 la Corte di appello di Bologna confermava la decisione 10 giugno 2009 del locale Tribunale che, in esito a giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di K.E. in ordine a due fatti riconducibili nella previsione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 (perchè cedeva a R. sostanza stupefacente, verosimilmente di tipo eroina, per un quantitativo non meglio determinato, di circa 500 grammi – capo F – e perchè, in concorso con T. – un albanese non identificato – con compito di fornire lo stupefacente e K. di intermediare la trattativa e l’acquisto, cedeva a R. sostanza stupefacente, verosimilmente di tipo eroina, per un quantitativo non meglio determinato, di circa 500 grammi – capo G), condannandolo, ritenuta la continuazione, alle pene di quattro anni, quattro mesi di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa; aveva inoltre affermato la penale responsabilità di X. V. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (per avere, in concorso con X.I., detenuto 456, 31 grammi di cocaina – capo N) ed al reato di cui all’art. 385 c.p. (capo Q), condannandola, concesse le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., alle pene di due anni, otto mesi di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa per il reato di cui al capo N e di tre mesi di reclusione per il reato di cui al capo Q "e così complessivamente" (in tali termini la sentenza di primo grado) "alla pena di tre anni e un mese di reclusione e 9.000,00 Euro di multa". 2. Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati.

2.1. Il K. denuncia violazione della legge penale ed illogicità della motivazione.

Più in particolare si contesta l’attribuibilità al ricorrente delle conversazioni intercettate e, in ogni caso, la sua partecipazione all’attività criminosa svolta dal R., omettendo di qualificare l’addebitata condotta come mera connivenza.

2.2. La X. lamenta violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità sia in quanto la condotta di detenzione era cessata con l’arresto di X.I. sia perchè mancherebbe la prova dell’elemento soggettivo del reato sia, ancora, perchè la condotta era del tutto inoffensiva tanto da dover essere qualificata come reato impossibile o, in ogni caso, come favoreggiamento reale.

Si deduce, poi, la mancata applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Ci su duole, infine, della misura della pena inflitta e del calcolo effettuato per pervenire alla sanzione seguendo proprio quello effettuato dal giudice di primo grado, senza che possa – del tutto immotivatamente – assegnarsi valore prevalente al dispositivo, come affermato dalla sentenza impugnata.

3. Il ricorso del K. è inammissibile.

I motivi si risolvano, infatti, in una non ammessa rilettura delle fonti di prova che la Corte territoriale ha ampiamente e rigorosamente verificato con giudizio di fatto incensurabile davanti al giudice di legittimità.

Come è ormai, infatti, diritto vivente, in sede di ricorso per cassazione sono rilevabili esclusivamente i vizi di motivazione che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso argomentativo svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione.

Il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori o a un diverso esame degli elementi materiali e di fatto delle vicende oggetto del giudizio, salvo i casi prevista dal "novellato" art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Le ricostruzioni alternative, al pari delle censure sulla selezione e l’interpretazione del materiale probatorio, non possono essere idonee ad accedere al giudizio di legittimità quando la motivazione sia, nei suoi contenuti fondamentali, coerente e plausibile.

In presenza di una corretta ricostruzione della vicenda, in questa sede non è ammessa incursione alcuna nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttrive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili (cfr., ex plurimis, Sez. un., 23 febbraio 2003, Petrella).

4. Un’analoga sorte va assegnata alle censure proposte dalla X., con eccezione di quella relativa alla misura della pena.

L’invocazione del reato impossibile e della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, vanno annoverate, attesa la loro manifesta infondatezza, chiaramente emergente dalla motivazione della sentenza denunciata, nelle cause di inammissibilità previste dall’art. 606 c.p.p., comma 3.

Non miglior sorte merita l’ulteriore censura, considerando l’ampia e convincente motivazione contenuta nella sentenza di primo grado in punto di responsabilità; senza contare che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel senso che, in tema di illecita detenzione di stupefacenti, l’aiuto prestato rientra nella fattispecie del concorso di persone nel reato – e non nel favoreggiamento personale – quando vi sia la consapevolezza di contribuire anche in minima parte alla realizzazione di una condotta più articolata (cfr., ex plurimis, Sez. 6^, 4 febbraio 2008, Tallarita).

5. Fondato è, invece, il motivo incentrato sulla misura della pena, erroneamente indicata nel dispositivo della sentenza di primo grado nella complessiva misura di anni tre, mese uno di reclusione ed Euro 9.000,00 di multa.

Ed infatti dalla detta sentenza risulta per tabulas l’errore di calcolo che incide sulla decisione, ed al quale, del tutto immotivatamente, la Corte territoriale non ha dato rilievo.

Così trascurando che il principio generale secondo il quale, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui la difformità dipenda da un errore materiale relativo alla pena indicata in dispositivo, palesemente rilevabile dall’esame della motivazione in cui si ricostruisca chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena; con la conseguenza che, in tal caso, la motivazione prevale sul dispositivo, giustificando l’annullamento senza rinvio della sentenza, limitatamente alla determinazione della pena, che viene rideterminata dalla Corte di cassazione (cfr., ex plurimis, Sez. 3^, 25 settembre 2007, Tafuro).

Ed è ciò che è appunto avvenuto nel caso di specie avendo il giudice a quo irrogato per "il delitto di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, la pena base .. di sette anni di reclusione" ed Euro 23.000,00 di multa, "ridotta, ai sensi dell’art. 114 c.p., a cinque anni e 17.000,00 Euro e, ancora, a quattro anni e 13.500,00 per le generiche". Precisando che la "pena così determinata va poi diminuita di un terzo per la scelta del rito, giungendosi così alla pena finale di due anni e otto mesi di reclusione e 9000,00 di multa per il delitto sub N)"; per il delitto di cui al capo Q la pena è stata correttamente determinata in mesi tre di reclusione. Con la conseguenza che la pena detentiva complessiva da infliggere è di anni due e mesi undici di reclusione.

In conclusione la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado devono essere annullate nei confronti della X. limitatamente alla misura della pena detentiva che viene rideterminata in anni due e mesi undici di reclusione.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso del K. consegue la sua condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si ritiene equo determinare nella misura di Euro mille.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e la sentenza 10 giugno 2009 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bologna nei confronti di X.V. limitatamente alla misura della pena detentiva che ridetermina in anni due e mesi undici di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso della X..

Dichiara inammissibile il ricorso di K.E. che condanna al pagamento delle spese processuali nonchè alla somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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