Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-03-2012, n. 4846 Divisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4 luglio 1998 i sigg. Ma. e R.L., premesso che, in data (OMISSIS), era deceduta "ab intestato" la signora A.A., lasciando a sè superstiti esso coniuge Ru.Ma. e le figlie A. e Lu., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata la signora R.A. per sentir dichiarare aperta la successione della suddetta signora A. nonchè dichiarare eredi della medesima essi attori e la convenuta, con scioglimento della comunione ereditaria previa attribuzione a ciascuno dei condividenti delle rispettive quote, nelle porzioni di legge. Si costituiva in giudizio la convenuta, la quale non si opponeva alla domanda di divisione ereditaria pur richiedendo, in proprio favore, il rimborso delle spese dalla stessa sostenute per la ristrutturazione dei beni ereditari. Espletata l’istruzione probatoria, nel corso della quale era anche ammessa c.t.u,, il Tribunale adito, con sentenza n. 301 del 2007, decideva la causa dichiarando aperta la successione di A. A. ed eredi della stessa le tre parti in causa, con la conseguente dichiarazione di esecutività dell’attribuzione dei beni ereditari secondo il progetto divisionale redatto dal c.t.u. contrassegnato con la lett. A), con previsione dei relativi conguagli, rigettando le ulteriori domande proposte dalle parti e liquidando le spese del giudizio, poste a carico della massa. Avverso detta sentenza proponeva appello la signora R.A. con il quale chiedeva: 1) in via principale, ridurre congruamente il valore della quota a lei attribuita e, quindi, della massa ereditaria oggetto di divisione; 2) accertare e dichiarare, conseguentemente, che essa appellante non avrebbe dovuto corrispondere alcun conguaglio; 3) in via gradata, ridurre congruamente l’ammontare del conguaglio posto a suo carico così come determinato dalla sentenza impugnata; 4) condannare ciascuno dei coeredi al pagamento della somma di Euro 26.000,00 (oltre interessi dalla domanda al soddisfo), quale quota dovuta per le spese (quantificate, nell’importo complessivo, in Euro 78.000,00) sostenute da essa appellante per miglioramenti e manutenzione apportati ai beni ereditari; 5) condannare gli appellati al pagamento delle spese e competenze giudiziali, con attribuzione in favore del procuratore antistatario. Si costituivano in sede di gravame entrambi gli appellati, che instavano, in via principale, per l’inammissibilità (per assunto difetto di specificità dei motivi) o il rigetto dell’appello, spiegando, in linea subordinata, appello incidentale condizionato per l’ipotesi di accoglimento dell’impugnazione principale, invocando la riduzione del conguaglio posto a carico di Ru.Lu. e la condanna dell’appellante principale al maggior conguaglio dovuto per avere la stessa utilizzato da sempre, in via esclusiva, fin dal decesso dell’ A., l’appartamento sito al primo piano, per un valore superiore alla quota di sua spettanza, oltre al rimborso, in favore del Ru.Ma., delle spese, dal medesimo sopportate, per la conservazione della cosa comune. Con sentenza n. 2599 del 2009 (depositata il 1 settembre 2009), l’adita Corte di appello di Napoli rigettava l’appello principale, confermando l’impugnata sentenza, e dichiarava assorbito l’appello incidentale condizionato, condannando la R.A. alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte partenopea rilevava, in primo luogo, l’inammissibilità del primo motivo formulato dall’appellante principale, siccome attinente ad un tema di indagine nuovo non dedotto nel giudizio di primo grado e, in ogni caso, privo di una specifica censura. Quanto alla stima dei terreni attribuiti al Ru.Ma., considerava come congrua l’entità del conguaglio determinato a carico dell’appellante principale in conseguenza della scelta comune ai condividenti di privilegiare la conservazione dello stato di fatto consolidatosi dopo la morte dell’ A.. La Corte di appello confermava, altresì, la statuizione di rigetto della domanda di rimborso delle spese effettuate per la ristrutturazione dell’immobile occupato dalla R.A., sia pure correggendone sul punto la motivazione, ovvero basandola sulla valutazione che, nella specie, la coerede appellante principale non aveva fornito la prova rigorosa degli esborsi sostenuti dei quali aveva chiesto la restituzione "pro quota" agli altri due coeredi.

Infine, il giudice di appello riteneva priva di fondamento la doglianza dell’appellante circa la dichiarata tardività e conseguente inammissibilità della domanda dalla medesima proposta in primo grado (siccome avanzata all’udienza di precisazione delle conclusioni e, quindi, oltre il limite delle preclusioni assertive di cui all’art. 183 c.p.c.) di destinare la zona comune di accesso al fabbricato a parcheggio auto e di rendere comune la zona di terreno ove era ubicato il pozzo nero nei confronti della suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 17 settembre 2010) la signora R.A., basato su tre motivi, in ordine al quale si sono costituite in questa sede con controricorso entrambe le parti intimate. I difensori della ricorrente hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Con tale doglianza la difesa della R.A. ha inteso dedurre l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva rigettato la domanda di rimborso "pro quota" delle spese occorse per gli interventi di ristrutturazione eseguiti dalla stessa sui beni oggetto di divisione ereditaria sul rilievo che la medesima non avesse fornito la prova di aver provveduto agli esborsi dei quali aveva chiesto la restituzione, malgrado le controparti non avessero posto in discussione la statuizione del giudice di primo grado sulla circostanza che gli interventi relativi ai miglioramenti sui suddetti beni fossero stati realizzati da entrambe le condividenti R.A. e R. L., che ne avevano sopportato i relativi oneri economici.

1.1. Il motivo è fondato e deve, perciò, essere accolto.

Dallo svolgimento del processo (e, segnatamente, dal contenuto della sentenza di primo grado e dalle difese assunte reciprocamente dalle parti in appello) emerge che, a seguito della costituzione della R.A. in primo grado, che aveva dedotto di aver effettuato spese per la manutenzione ed il mantenimento di alcuni beni comuni compresi nella massa ereditaria della signora A. A., i convenuti non avevano, in effetti, svolto alcuna specifica difesa idonea a contestare la suddetta circostanza, essendosi, in particolare, la Ru.Lu. limitata ad asserire che anch’ella aveva proceduto alla realizzazione di analoghi lavori di miglioramento sull’immobile in suo possesso. Del resto, nella sentenza di prime cure del Tribunale di Torre Annunziata, viene dato atto della pacificità di tale circostanza, risultando affermato che, con riferimento alla domanda di rimborso delle spese eseguite per l’ampliamento e la ristrutturazione del primo piano, formulata dalla convenuta R.A., in considerazione del fatto che detti lavori erano stati eseguiti da entrambe le parti (riferendosi alla stessa convenuta e all’attrice Ru.Lu.) ed avevano riguardato entrambi gli appartamenti utilizzati dalle stesse (per quanto emergente dalle deposizioni testimoniali e dalla relazione del c.t.u.), si riteneva condivisibile la conclusione del c.t.u. secondo la quale gli stessi lavori avevano comportato un aumento proporzionale del valore del fabbricato che veniva a ricadere esclusivamente a vantaggio delle assegnatane degli appartamenti. Con la richiamata statuizione, pertanto, il giudice di prima istanza aveva affermato che le spese per i suddetti lavori erano state erogate da ambedue le parti assegnatane degli appartamenti (e non da altri), con la conseguenza che gli inerenti cespiti avevano ricevuto un incremento di valore. Con l’atto di appello proposto dall’odierna ricorrente era stata censurata la sentenza di primo grado deducendosi che la sorella Ru.Lu. non aveva fornito alcuna prova delle opere realizzate e delle spese sostenute e che, inoltre, l’altro condividente Ru.Ma., pur non avendo effettuato alcun esborso, beneficiava dei miglioramenti apportati ai beni comuni. A fronte di tale deduzione sulla specifica questione in sede di gravame gli appellati, ritualmente costituiti, non avevano contestato che le due sorelle Ru. avessero provveduto ad eseguire lavori di miglioramento sulle parti degli immobili dalle medesime utilizzate, anche attraverso ampliamenti delle stesse, e che detti lavori avevano comportato un aumento proporzionale del valore del fabbricato.

Sulla scorta di tale quadro assertivo la Corte territoriale ha ritenuto, con la sentenza in questa sede impugnata, di confermare la statuizione di rigetto della domanda di rimborso delle spese effettuate per la ristrutturazione dell’immobile occupato dalla R.A., correggendo sul punto (oltre che con riferimento alla circostanza che non si era tenuto conto del fatto che alcuni lavori sui beni comuni erano stati realizzati anche dal Ru.

M.) la motivazione in diritto del giudice di prime cure in base al principio secondo cui il coerede il quale abbia migliorato i beni comuni da lui posseduti, pur non potendo invocare l’applicazione dell’art. 1150 c.c., che riconosce il diritto ad una indennità pari all’aumento di valore della cosa determinato dai miglioramenti, tuttavia, quale mandatario o utile gestore degli altri compartecipi alla comunione ereditaria, può pretendere il rimborso delle spese eseguite per la cosa comune, le quali si ripartiscono al momento della attribuzione delle quote, secondo il principio nominalistico, dato che lo stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti stessi. Tuttavia, poi, nella sentenza di appello, la Corte partenopea perviene alla reiezione del motivo di gravame della R.A. sul presupposto che la stessa non avesse fornito prova certa degli esborsi sostenuti (con il riconoscimento del conseguente diritto alla restituzione "pro quota" da parte degli altri condividenti) senza, però, che tale aspetto avesse costituito specifico motivo di doglianza da parte degli appellati (i quali, peraltro, non lo avevano posto in discussione nemmeno nel corso del giudizio di primo grado). Appare, perciò, evidente che il giudice di appello, sulla base dell’applicabilità del principio devolutivo, oltre a non poter disconoscere, in virtù della statuizione di primo grado non specificamente censurata, la sussistenza dei miglioramenti apportati dalle condividenti R.A. e Lu., non avrebbe potuto statuire autonomamente – in difetto della proposizione di un apposito motivo – sulla questione presupposta dell’imputabilità o meno degli esborsi dedotti in capo alla R. A. (e, quindi, escludere il diritto di quest’ultima all’ottenimento del rimborso delle spese eseguite, nei limiti alla stessa spettanti), in virtù della sopravvenuta configurazione di un giudicato interno implicito sulla questione medesima. Deve, in proposito, chiarirsi che il riconosciuto diritto della R. A. al rimborso delle spese eseguite (per quanto di ragione) non costituiva una mera argomentazione del giudice di prime cure, bensì aveva formato oggetto di una specifica ed autonoma statuizione, che, comportando una parziale soccombenza, avrebbe dovuto costituire oggetto di una puntuale censura in sede di appello da parte dei controinteressati, che, invece, nella specie, non è stata formulata, con la conseguente formazione del giudicato interno sulla questione avente una propria individualità ed autonomia, tale da integrare una decisione del tutto indipendente e, quindi, un capo autonomo della sentenza di prima istanza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno (cfr. Cass. n. 6757 del 2001;

Cass. n. 726 del 2006 e, da ultimo, Cass. n. 23747 del 2008).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 167 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sul presupposto che il giudice di appello non avrebbe potuto respingere la censura dalla stessa proposta con riguardo al predetto diritto al riconoscimento delle spese sopportate per i miglioramenti sui beni comuni in virtù della non contestazione ad opera delle controparti.

2.1. Questo motivo è, all’evidenza, da ritenersi assorbito in virtù dell’accoglimento del primo, con il quale si è riconosciuto che sulla specifica questione si era venuto a formare il giudicato interno.

3. Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 183 c.p.c. (nella sua formulazione antecedente alle modifiche introdotte nel 2005), nella parte in cui aveva dichiarato inammissibili, in quanto tardive perchè proposte oltre il limite delle preclusioni assertive di cui al citato art. 183 c.p.c., le istanze della stessa R.A. tese ad individuare in fondo al viale di accesso al fabbricato una zona comune da adibire a parcheggio di auto, nonchè a rendere comune la zona di terreno dov’era ubicato il pozzo nero, collocato, invece, nel terreno attribuito alla condividente Ru.Lu..

3.1. Anche questo motivo è da ritenersi fondato, con il suo conseguente accoglimento. La suddetta richiesta riportata nella doglianza in esame non è qualificabile come domanda in senso proprio (v., per riferimenti, in proposito, Cass. SU. n. 14109 del 2006) ma come sollecitazione relativa all’attuazione di una particolare (ove possibile e rispondente agli interessi di tutti i condividenti) modalità della divisione attinente all’utilizzazione di alcuni beni comuni, ovvero relativa alla specificazione della destinazione di un’area ricompresa nel compendio immobiliare oggetto di divisione (cfr., altresì, Cass. n. n. 14008 del 2008). Pertanto ad essa non poteva ritenersi applicabile il regime preclusivo inerente alle domande in senso stretto, come, invece, erroneamente ravvisato dalla Corte territoriale, considerandosi, peraltro, che nella sentenza di primo grado si discorreva, al riguardo, di tardivi rilievi alla c.t.u. e non di domande in senso tecnico, senza trascurarsi che le relative esigenze prospettate dalla R.A. erano insorte solo a seguito del deposito delle relazioni del c.t.u. e che, quindi, esse – valorizzandosi anche la particolare caratterizzazione del procedimento divisorio – avrebbero potuto essere dedotte solo in sede di discussione delle relative ipotesi progettuali individuate in funzione dell’attuazione dello scioglimento della comunione immobiliare e non precedentemente (con la loro conseguente riproponibilità in sede di gravame ai fini della eventuale rivalutazione degli assetti complessivamente raggiunti con la divisione disposta all’esito del giudizio di primo grado).

4. In definitiva, alla stregua delle ragioni esposte, devono essere accolti il primo e terzo motivo del ricorso, con relativa dichiarazione di assorbimento del secondo motivo (per effetto della rilevata fondatezza del primo).

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli che ai atterrà si principi di diritto antecedentemente enunciati con riferimento alla formazione del giudicato implicito sulla domanda di rimborso (per quanto di ragione) della ricorrente in ordine alle spese occorse per i miglioramenti apportati ai beni comuni e all’ammissibilità delle istanze relative alla rivalutazione delle modalità di attuazione parziale della divisione con riferimento alle zone indicate con il terzo motivo.

Lo stesso giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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