Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-10-2011) 14-10-2011, n. 37186 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 23.06.2011, oggetto dell’odierno scrutinio di legittimità, il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., confermava, rigettando il relativo appello, l’ordinanza con la quale il GIP del Tribunale capitolino aveva a sua volta rigettato l’istanza di M.E.O., volta alla revoca della misura cautelare della custodia in carcere disposta a suo carico il 24.4.2008, dappoichè accusato dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74.

A sostegno della decisione il Tribunale poneva sia la sentenza di condanna ad anni sette di reclusione, nel frattempo intervenuta in prime cure, a carico dell’istante, all’esito di giudizio abbreviato, sia la disciplina di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, applicabile alla fattispecie in forza del principio "tempus regit actum", e la presunzione ivi contemplata in relazione ai reati di cui all’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, presunzione relativa, secondo argomentare del giudice a quo, sia alla pericolosità sociale dell’indagato, che all’adeguatezza della misura cautelare più severa, quest’ultima (presunzione) di carattere assoluto ed operativa non solo nella fase di prima applicazione della misura, ma anche nelle fasi successive.

Argomentava altresì il Tribunale:

– quanto alla presunzione di pericolosità, che non risulta provata nella fattispecie alcun elemento dal quale dedurre la rescissione da parte dell’imputato di ogni legame col sodalizio criminoso di appartenenza, ovvero che detto sodalizio abbia cessato di operare;

– che il tempo trascorso non costituisce fatto nuovo idoneo a rendere necessaria la valutazione delle condizioni della misura;

– che nulla agli atti consentiva di valutare la fondatezza della censura difensiva in ordine a pretese disparità di trattamento con altri imputati di analoghe condotte criminose, a parte l’irrilevanza giuridica dell’argomento.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il M., con l’assistenza del difensore di fiducia, sostenendone l’illegittimità attraverso l’illustrazione di due motivi di doglianza.

2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e contraddittorietà della motivazione, in particolare deducendo che:

– il giudice a quo ha escluso nella fattispecie il venir meno della pericolosità sociale dell’imputato assumendo, erroneamente, che nulla nel processo autorizzava a ritenere scissi i legami tra prevenuto ed organizzazione criminale di appartenenza ovvero il venir meno dell’associazione stessa, mentre in realtà il M., sette mesi dopo l’emissione dell’ordinanza cautelare oggetto della istanza di revoca, ha iniziato un percorso di fattiva collaborazione con la giustizia, rendendo possibile lo smantellamento dell’organizzazione alla quale partecipava, collaborazione riconosciuta dalla stessa sentenza di condanna resa in prime cure, con la quale è stato infatti riconosciuto all’imputato l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7;

– di qui la palese carenza motivazionale, per un verso, e la violazione di legge, per altro verso, tenuto conto della omessa valutazione della collaborazione sia sotto il profilo della pericolosità sociale, ormai non più attuale, sia sotto quello del "fatto nuovo" intervenuto dopo l’emissione della misura, fatto nuovo valutabile ai fini dell’invocata revoca della misura stessa;

– la collaborazione con la giustizia, infatti, attraverso la quale le forze dell’ordine sono pervenute allo smantellamento dell’organizzazione i cui aderenti sono tutti sotto processo, dimostra la scissione, negata dal giudice territoriale, con l’organizzazione di provenienza.

2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente ancora violazione di legge e difetto di motivazione dappoichè non valutati dal Tribunale del riesame le argomentazioni difensive volte a dimostrare la mancanza di pericoli di recidiva e di fuga, nonchè di possibili contatti con associazioni criminali.

3. Il ricorso è fondato.

3.1 Va in primo luogo richiamata la pronuncia del giudice delle leggi il quale, tornando a delibare la coerenza costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo e terzo periodo, come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2, recante "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori", convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui, nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale (C. Cost. 22.7.2011, n. 231) censurandola in ordine all’affermata presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura più severa riferita a detto reato.

La norma, ha precisato il giudice delle leggi, lede il principio del minor sacrificio necessario della libertà personale dell’imputato in sede di applicazione del regime cautelare, violando l’art. 3, art. 13, comma 1, e art. 27, comma 2 della Suprema Carta.

Consegue che la fattispecie deve essere valutata tenendo conto della nuova dimensione normativa dell’art. 275 c.p.p., comma 3 in seguito al richiamato intervento del giudice costituzionale.

3.2 In tale prospettiva osserva il Collegio che il sillogismo logico giuridico in forza del quale il giudice del riesame è pervenuto alla decisione impugnata, ha assunto come presupposto due dati, l’uno legislativo e l’altro processuale.

Quello legislativo faceva riferimento al tenore dell’art. 275 c.p.p., comma 3 prima che detta norma subisse il ridimensionamento operato dalla pronuncia costituzionale di cui innanzi, mentre quello processuale si risolveva nell’assunto che, rispetto alla misura di cui si domanda la revoca, novità alcuna aveva registrato il processo ed in particolare, con riferimento preciso al criterio della pericolosità dell’istante, elemento alcuno consentiva di dedurre la scissione del suo legame con la consorteria malavitosa di provenienza. Orbene, l’uno e l’altro riferimento argomentativo si appalesano radicalmente privi di consistenza, di guisa che con essi viene meno inesorabilmente la sintesi del processo logico adottato dal tribunale. Il riferimento normativo risulta infatti espunto dal sistema processuale e con esso ogni profilo presuntivo in ordine all’adeguatezza della sola misura detentiva intra moenia in costanza di pur lievi esigenze cautelari a carico di indagato o imputato del reato per cui è causa, mentre la circostanza processuale si appalesa frutto di evidente travisamento, dappoichè l’imputato è un collaboratore di giustizia, il quale all’esito del processo di prime cure ha goduto dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7, espressiva, evidentemente, di apporti collaborativi significativi nel processo nel cui ambito sorse, a suo tempo, l’esigenza della misura cautelare attualmente in discussione. E tale rilevante dato processuale risulta del tutto ignorato dal Tribunale del riesame, il quale ha affermato l’insussistenza di elementi di novità rispetto all’ordinanza genetica della misura cautelare e nel contempo negato che al processo fossero stati acquisiti dati significativi per la deducibilità della maturata cesura dei legami dell’imputato con l’associazione contestatagli, in assenza di ogni valutazione dell’intervenuta fase collaborativa del M. e della sua incidenza ai fini del giudizio di prime cure nel frattempo intervenuto.

3.3 Tali vizi del processo logico che ha portato alla decisione impugnata, unitamente al nuovo quadro normativo di riferimento determinato dall’intervento del giudice costituzionale innanzi richiamato, inducono a ritenere necessario un nuovo esame da parte del giudice a quo, al quale la Corte rinvia l’ordinanza in parola come esito del suo annullamento.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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