Cons. Stato Sez. VI, Sent., 15-11-2011, n. 6021 Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio respingeva il ricorso n. 13658 del 1998 proposto – in esito a sentenza n. 18241 del 4 febbraio 1991 del Pretore del lavoro di Roma, declinatoria della giurisdizione ordinaria in ordine ai rapporti dedotti in giudizio sul rilievo della sussistenza degli indici rilevatori di veri e propri rapporti di pubblico impiego – dai ricorrenti B. A., M. S., M. V., M. A. R., S. F., R. C. e D. T. G., teso all’accertamento del diritto alla corresponsione delle differenze retributive (ivi comprese le spettanze per lavoro straordinario, pomeridiano, festivo e notturno, oltre agli accessori) maturate in periodi ricompresi tra il 1980 e il 30 giugno 1986 per il lavoro (prestazioni sanitarie mediche) espletato fino a tale data alle dipendenze della Croce Rossa Italiana – C.R.I. sulla base di incarichi professionali conferiti ex art. 6, comma 4, l. 20 marzo 1975, n. 70, ma di fatto connotato dagli elementi propri della subordinazione. Con decorrenza dal 1 luglio 1986, i rapporti libero-professionali, sulla base di ordinanza commissariale n. 4705 del 26 aprile 1986, erano stati trasformati in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, cui era seguito, in forza di ordinanza commissariale n. 3644 del 10 febbraio 1997, l’inquadramento nel ruolo organico dell’ente.

Il T.a.r. motivava il rigetto delle domande dei ricorrenti sulla base del rilievo che con precedente sentenza n. 3755/86 del 15 dicembre 1986 lo stesso Tribunale amministrativo aveva "formalmente escluso l’esistenza del rapporto di pubblico impiego, che (…) costituisce il presupposto indefettibile per poter avanzare pretese retributive come quelle in questione" (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

2. Avverso tale sentenza interponevano appello i ricorrenti soccombenti, deducendo i seguenti motivi:

a) l’erronea mancata valorizzazione della sentenza pretorile n. 18241 del 4 febbraio 1991, ai fini dell’accertamento della natura dei rapporti di lavoro in questione sub specie di veri e propri rapporti di pubblico impiego;

b) la contraddittorietà e insufficienza motivazionale, avendo i primi giudici, pur affermando che le domande di accertamento del rapporto d’impiego potevano essere esaminate al solo fine di cui agli artt. 2126 c.c. e 36 e 38 Cost., omesso ogni correlativo accertamento;

c) l’erronea attribuzione, alla precedente sentenza n. 3755/86 dello stesso T.a.r., di un’efficacia preclusiva all’accertamento degli indici rivelatori di un rapporto di pubblico impiego, richiesto nel presente giudizio ai soli fini di cui al menzionato disposto normativo, attesa la diversità della causa petendi dedotta nel pregresso giudizio.

3. Sebbene ritualmente evocato in giudizio, l’ente appellato ometteva di costituirsi.

4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L’appello è fondato entro i limiti di cui appresso.

5.1. Infondato è il primo motivo d’appello, di cui sopra sub 2.a), condividendo questo Collegio l’assunto dei primi giudici, secondo cui la sentenza pretorile declinatoria della giurisdizione – basata sulla qualificazione dei rapporti dedotti in giudizio quali rapporti di pubblico impiego – non esplica efficacia di giudicato esterno attorno alla sussistenza di un rapporto di pubblico impiego; ciò, in conformità al consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la sentenza del giudice di merito sulla giurisdizione, una volta passata formalmente in giudicato, rende incontestabile la giurisdizione nell’ambito del processo in cui è stata resa, mentre la medesima incontestabilità deve escludersi con riguardo sia agli accertamenti strumentalmente svolti per emetterla sia alle qualificazioni giuridiche del risultato di tali accertamenti (v. in tal senso, ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 1 settembre 2000, n. 4641; Cass., Sez. Un., 19 novembre 1999, n. 802; Cass., Sez. lav., 15 novembre 1996, n. 10045).

5.2. Meritano, invece, accoglimento i motivi d’appello sub 2.b) e 2.c), tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente.

In primo luogo, la sentenza n. 3755/86 del 15 dicembre 1986 del T.a.r. per il Lazio, con la quale, in reiezione delle correlative domande di accertamento, è stata rilevata la nullità dei dedotti rapporti di pubblico impiego per violazione delle norme imperative in materia di accesso al pubblico impiego mediante concorso, non può esplicare efficacia preclusiva da giudicato nel presente giudizio, attesa la diversità della causa petendi, essendo nel caso di specie azionato il diritto alla retribuzione dell’attività lavorativa prestata sulla base di atti nulli, ex art. 2126 cod. civ., con domanda di accertamento meramente incidentale, ai limitati fini della citata disposizione, degli indici rilevatori di subordinazione connotanti su un piano fattuale le prestazioni lavorative svolte dai ricorrenti.

In secondo luogo, risulta palese la contraddittorietà motivazionale dell’impugnata sentenza, laddove, per un verso, afferma "che la domanda di accertamento del rapporto di impiego può essere esaminata al solo fine di cui all’art. 2126 c.c. (sull’esecuzione del rapporto di lavoro sorto in base ad un titolo nullo o annullato) e degli artt. 36 e 38 Cost. (sull’intangibilità del diritto alla retribuzione minima e alla copertura assicurativa) per valutare se spettino agli interessati il trattamento retributivo complessivo proprio degli impiegati di pari qualifica di livello iniziale e la regolarizzazione della connessa posizione previdenziale ed assistenziale, non potendo comportare il riconoscimento l’estensione al rapporto nullo del regime giuridico dell’impiego di ruolo" (v. così, testualmente, a p. 5 dell’impugnata sentenza), e, per altro verso, respinge il ricorso sulla base dell’unico rilievo che "la pretesa dei ricorrenti trova l’ulteriore ostacolo costituito dalla sentenza di questo Tribunale, resa nei loro confronti e passata in giudicato (sentenza n. 3755/86), che ha formalmente escluso l’esistenza del rapporto di pubblico impiego, che come ricordato, costituisce il presupposto indefettibile per poter avanzare pretese retributive come quelle in questione" (v. p. 7 dell’impugnata sentenza).

In tal modo l’adito T.a.r. ha omesso di decidere nel merito la domanda ex art. 2126 c.c., specificamente proposta dai ricorrenti ed odierni appellanti, pur affermandone l’astratta ammissibilità, sulla base di un’erronea valorizzazione in senso preclusivo della sentenza n. 3755/86, vertente su domanda diversa, connotata da differente causa petendi.

5.3. Scendendo all’esame di merito della domanda proposta dagli odierni appellanti, si osserva in linea di diritto che secondo il prevalente orientamento di questo Consiglio agli eventuali indici rilevatori di un rapporto di pubblico impiego (vincolo di subordinazione gerarchica, mansioni corrispondenti a quelli della qualifica rivendicata, inserimento stabile nell’organizzazione dell’ente, stabilità e continuità del corrispettivo, esclusività della prestazione lavorativa, assenza di obbligazione di risultato e del relativo rischio economico) può attribuirsi soltanto una funzione di astratta qualificazione – ai fini della determinazione della giurisdizione, nonché della disciplina economica e previdenziale delle prestazioni lavorative di fatto erogate -, essendo comunque nullo e improduttivo di effetti un rapporto di lavoro instaurato al di fuori dei parametri legislativi che, nel rispetto dell’art. 97, comma 3 della Costituzione, regolano l’accesso al pubblico impiego tramite concorso (cfr. in tal senso C.d.S., Ad. Plen., 29 febbraio 1992, n. 1, e 5 marzo 1992, n. 5, nonché, fra le tante, C.d.S., Sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4756; C.d.S., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1645; C.d.S., Sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3329).

Nel caso, poi, in cui si sia stato costituito in via di fatto un rapporto, che sia munito degli indici sintomatici del rapporto di pubblico impiego, a norma del combinato disposto degli artt. 2126 c.c. e 36 e 38 Cost., può essere accolta la domanda volta ad ottenere il pagamento delle differenze retributive fra quanto effettivamente percepito nel periodo di lavoro svolto alle dipendenze della p.a. e quanto sarebbe spettato in forza della disciplina normativa e collettiva del settore, e alla conseguente regolarizzazione della posizione previdenziale (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 14 aprile 2008, n. 1645; C.d.S., Sez. VI, 17 maggio 2002, n. 2681).

Applicando le evidenziate coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie sub iudice, ritiene il Collegio, in linea di fatto, che debbano ritenersi integrati gli indici sintomatici rilevatori dell’esistenza di una rapporto di pubblico impiego, per gli effetti del citato art. 2126 c.c., in relazione ai periodi dedotti in giudizio (collocati nel periodo tra l’anno 1980 e il 30 giugno 1986, con differenti date d’inizio e di termine per ciascuno dei ricorrenti, meglio precisate negli attestati, provenienti dalla stessa C.R.I., sui turni svolti dai singoli ricorrenti, depositati in primo grado il 24 febbraio 2005 unitamente all’ordinanza commissariale n. 3644 del 10 febbraio 1997). Infatti, sebbene i rapporti sul piano formale fossero stati configurati dalle parti contrattuali come incarichi libero-professionali conferiti ai sensi dell’art. 6, comma 4, l. 20 marzo 1975, n. 70, il compenso fisso orario, l’identità di mansioni rispetto a quelle costituenti l’oggetto del rapporto stabilizzato dopo la trasformazione in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dal 1 luglio 1986 (in forza dell’ordinanza commissariale n. 4705 del 26 aprile 1986, cui in virtù dell’ordinanza commissariale n. 3644 del 10 febbraio 1997 era seguito l’inquadramento nel ruolo organico dell’ente) e la continuità delle esecuzione delle stesse nell’ambito della struttura dell’ente, depongono nel senso dell’inserimento stabile degli stessi ricorrenti nell’organizzazione dell’ente in regime di subordinazione sin dal conferimento degli incarichi professionali ex art. 6, comma 4, l. 20 marzo 1975, n. 70, senza soluzione di continuità rispetto al periodo successivo all’assunzione a tempo indeterminato (v. sul punto, in particolare, la motivazione dell’ordinanza commissariale n. 4705 del 1986, che rileva l’inserimento fattuale dei ricorrenti nella struttura dell’ente e l’indefettibilità delle prestazioni dagli stessi svolte ai fini dell’assolvimento dei compiti dell’ente medesimo).

Da quanto sopra consegue l’affermazione del diritto dei ricorrenti al conseguimento delle differenze retributive maturate nei periodi, meglio precisati in relazione a ciascuno dei ricorrenti negli attestati, provenienti dalla stessa C.R.I., sui turni dagli stessi svolti, depositati in primo grado il 24 febbraio 2005 unitamente all’ordinanza commissariale n. 3644 del 10 febbraio 1997, da calcolare in applicazione dei minimi tariffari normativi e collettivi (corrispondenti alla qualifica equivalente secondo la correlativa disciplina susseguitasi nel tempo), ai sensi dell’art. 2126 c.c., con ogni conseguenza contributiva, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali secondo la disciplina di tempo in tempo in vigore dalla data di maturazione delle differenze retributive fino al saldo, con correlativa sequela di condanna. In assenza di rituale eccezione di prescrizione, non rilevabile d’ufficio, nulla è dato statuire al riguardo.

Giova, in tale contesto, precisare che, se il rapporto di lavoro nullo è riconosciuto produttivo di effetti limitatamente alle effettive prestazioni lavorative svolte, ne deriva che sia le spettanze retributive, sia i contributi dovuti vanno quantificati avendo riguardo alle ore di lavoro effettivamente svolte, e non già secondo un criterio forfetario mensile. Ritiene il Collegio che a tal fine possano essere riconosciute esclusivamente le ore di lavoro risultanti dai sopra citati attestati depositati in primo grado il 24 febbraio 2005 (unitamente all’ordinanza commissariale n. 3644 del 10 febbraio 1997), in quanto provenienti dallo stesso ente resistente, mentre ogni maggiore pretesa deve essere disattesa per carenza di prova, gravante a carico dei deducenti.

6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del doppio grado, come liquidate in parte dispositiva, vanno poste a carico dell’ente appellato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie parzialmente il ricorso in primo grado ai sensi e nei limiti di cui in motivazione; condanna l’Amministrazione appellata a rifondere agli appellanti le spese del doppio grado, che si liquidano nell’importo complessivo globale di euro 2.500,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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