Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-03-2012, n. 4810 Indennità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27.7.2009, la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame proposto dalla S.p.a. Poste Italiane e revocava i decreti ingiuntivi opposti, respingendo le pretese degli appellati relative alla corresponsione delle somme a titolo di indennità di vacanza contrattuale prevista dal Protocollo d’intesa del 23.7.1993 relativamente al periodo 30 aprile 1998 – 30 giugno 2000.

Rilevava la Corte territoriale che l’una tantum prevista dall’art. 65 c.c.n.l. non potesse ritenersi quale acconto sull’importo totale della somma a titolo di vacanza contrattuale dovuta ai dipendenti ai sensi del Protocollo del 1993 e che conferma dell’esattezza di tale tesi si rinveniva nelle clausole del nuovo c.c.n.l. stipulato l’11.1..2001 che, all’art. 55 bis, prevedeva la corresponsione alle scadenze indicate di somme lorde forfettarie a titolo di competenze contrattuali arretrate, e all’art. 4 disciplinava in modo completo l’istituto, con ciò confortando la conclusione che le parti non avessero recepito l’istituto della vacanza come delineato dal Protocollo del 1993 ne contratto precedente, rappresentando, pertanto, il ccnl del 2001 la prima integrale regolamentazione dell’istituto, mai prima recepito dalla contrattazione collettiva.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso i dipendenti della società Poste Italiane, con due motivi, illustrati nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resiste la spa Poste Italiane, con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, con particolare riferimento all’art. 100 c.p.c. ed all’art. 55 del c.c.n.l. dell’11.1.2001, assumendo che la Corte territoriale ha dichiarato cessata la materia del contendere laddove la lettura dell’art. 55 bis del c.c.n.l. 2001 non poteva ritenersi corretta, non riferendosi le "competenze contrattuali arretrate di cui a tale articolo" alla fattispecie dell’indennità di vacanza contrattuale introdotta dall’accordo del 1993.

Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, con particolare riferimento agli artt. 1362, 1363, 1372 c.c., ed all’art. 65 del c.c.n.l. per i dipendenti ente Poste Italiane stipulato in data 26.11.1994, nonchè dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’efficacia del Protocollo di Intesa del 23.7.1993, sostenendo che i dipendenti postelegrafonici avrebbero conservato il trattamento economico pubblicistico solo fino alla data di stipula del primo contratto privatistico, sicchè, una volta venuto a scadere quest’ultimo, non era possibile ritenere sussistenti ulteriori ostacoli all’applicabilità dell’indennità di vacanza contrattuale prevista dal Protocollo del 1993, vincolante anche per il datore di lavoro di essi esponenti. Affermano che il principio in tema di vacanza contrattuale non avesse carattere programmatico, ma natura immediatamente precettiva.

Deve, in primo luogo, disattendersi l’eccezione di inammissibilità del controricorso sollevata dai ricorrenti, risultando ritualmente prodotta in atti, in allegato al ricorso, la procura notarile con la quale sono stati conferiti dal Presidente della Società poteri rappresentativi all’avv. Andrea Sandulli, il quale ha, a sua volta, conferito la procura alle liti nel presente giudizio al difensore, avv. Lucio Agostino Mario Hyeraci.

Nel pervenire alla revoca dei decreti ingiuntivi opposti, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte territoriale non ha dichiarato la cessazione della materia del contendere come asserito dai ricorrenti, sicchè non è conferente il motivo di ricorso che assuma la violazione dell’art. 100 c.p.c. sul presupposto che l’interesse al giudizio da parte degli istanti era stato ritenuto insussistente e in parte qua il motivo va dichiarato inammissibile.

L’ulteriore censura, fondata sull’interpretazione dell’art. 55 bis c.c.n.l. deve dichiararsi improcedibile, atteso che la mancata produzione del contratto collettivo menzionato rileva ai sensi di quanto prescritto, per i ricorsi relativi a sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore della L. n. 40 del 2006, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione al deposito di atti processuali, documenti, contratti collettivi o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda. Il requisito non appare soddisfatto, atteso che si è omesso di precisare in quale sede processuale il CCNL è stato eventualmente prodotto nelle fasi di merito e dove, quindi, la Corte potrebbe esaminarlo in questa sede, per effetto della relativa già avvenuta produzione nelle fasi di merito. Al riguardo, è stato, invero, osservato, che anche con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della ed autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell’art. 360, n. 3, o di un vizio costituente errar in procedendo ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio n. 4 dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 1 (cfr. Cass. 25.5.2007 n. 12239; Cass. 20594/2007;

20437/2008; 4056/2009). Anche per il ccnl deve valere analoga esigenza, al fine di rendere possibile l’esame completo del contenuto delle previsioni contrattuali, relative – per quanto attiene al caso di specie – alla possibilità ed alle condizioni per potere stipulare contratti a tempo determinato.

E’ stato in proposito anche chiarito da questa Corte che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendo ritenersi che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 cod. civ., e segg., e, in specie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (cfr., Cass 2 luglio 2009 n. 15495). Non muta i termini della questione la recente sentenza a ss.uu. di questa Corte, che ha sancito che "in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 cod. proc. civ., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. Cass., s.u., 3 novembre 2011 n. 22726).

Il secondo motivo di ricorso deve essere ugualmente ritenuto destituito di giuridico fondamento, quanto alla asserita violazione e falsa applicazione delle enorme del c.c.n.l. (in particolare dell’art. 65) per gli stessi motivi espressi con riferimento al primo motivo di ricorso e, quanto al vizio dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, considerando che correttamente il giudice del merito, dopo aver riferito che nella premessa al contratto del 26.4.1994 gli stipulanti dichiarano di volersi attenere ai principi del Protocollo (dinamica salariale legata all’inflazione programmata; garanzia del funzionamento del sistema contrattuale, con il rispetto, in particolare, delle scadenze di rinnovo della parte economica dei contratti collettivi, assicurato specificamente dall’indennità di vacanza contrattuale), menziona l’art. 65, nella parte in cui contempla aumenti salariali scaglionati nel tempo (nell’ottica della relazione tra salari e fenomeno inflativo), dando atto, peraltro, che il contratto si limitava a "definire gli incrementi della retribuzione limitatamente al periodo di sua vigenza e non oltre". Vi è poi anche la menzione dell’art. 4 del CCNL del 2001, giudicato confermativo della "esigenza di provvedere in merito ai periodi di vacanza contrattuale", ma senza regolare specificamente i periodi pregressi (1998 – 2000).

In definitiva, risulta accertato, con motivazione coerente, immune da vizi e priva di salti logici, che il CCNL 26.11.1994 si era ispirato ai principi del Protocollo in ordine alla dinamica salariale e alle scadenze della parte economica del contratto, ma senza alcun riferimento all’istituto economico della vacanza contrattuale connessa al ritardo nella stipulazione di un nuovo contratto, che avrebbe implicato l’assunzione da parte dell’azienda di un’obbligazione retributiva per il periodo successivo alla scadenza e collegata a particolari eventi (ritardo dopo la presentazione della piattaforma di rinnovo), cosa che la sentenza impugnata esplicitamente esclude, alla stregua della rilevata estraneità al contenuto dell’art. 65 di disposizioni retributive non inerenti al periodo di vigenza del contratto.

Pertanto, avendo il Giudice del merito accertato che il CCNL 26.11.1994 non conteneva alcuna regolamentazione di obbligazioni retributive relative a periodi successivi alla sua scadenza, neppure mediante il recepimento del Protocollo in tema di vacanza contrattuale, correttamente è stata ritenuta infondata la pretesa di pagamento per inesistenza della fonte dell’obbligo (cfr. Cass. 4 febbraio 2009 n. 2700).

Ne consegue che il ricorso deve essere complessivamente respinto, laddove, per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico dei ricorrenti nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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