Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-03-2012, n. 4803

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

B.F. chiese di essere ammessa al passivo del Fallimento FRM – Fabbriche Riunite Metalli in foglie e polveri – spa per le somme asseritamente "dovutele per prestazioni di lavoro subordinato svolto dal 3.04.2006 al 19.06.2008 in qualità di quadro", il Giudice Delegato, in sede di verifica, non ammise il credito al passivo "dovendosi riferire il rapporto contrattuale a soggetto diverso dalla società fallita".

Con decreto dell’11 – 16.2.2010, il Tribunale di Vigevano respinse l’opposizione allo stato passivo proposta dalla B., osservando che:

era inammissibile, in quanto fondata su una causa petendi diversa da quella azionata in sede di insinuazione al passivo, la domanda subordinata di accertamento di un contratto di collaborazione;

l’opponente non aveva offerto la prova dell’esistenza di una fattispecie interpositoria, che, richiedendo un’intesa plurilaterale, avrebbe dovuto essere provata per iscritto, laddove il documento prodotto costituiva "una mera lettera d’intenti non idonea di per sè a fornire la prova del perfezionamento di una tale intesa"; nè i capitoli di prova formulati in relazione all’asserita simulazione erano ammissibili, siccome assolutamente generici e pressochè tautologici;

mancava in ogni caso la prova che fra l’opponente e la Società fallita fosse intercorso un rapporto di lavoro subordinato con l’attribuzione della qualifica di quadro:

sia per l’allegazione di circostanze incompatibili con tale assunto, essendo state le descritte attività individuate per obiettivi e per progetti, più compatibili con lo svolgimento di un rapporto di collaborazione che di lavoro subordinato, riguardo a quale neppure erano state specificate le mansioni attraverso le quali si sarebbero tradotti quei compiti di raccordo tra personale impiegatizio e dirigenziale tipici della posizione di quadro;

sia per la mancanza della prova della subordinazione, stante la palese genericità e conseguente inammissibilità del capitolo all’uopo formulato e, al contrario, l’esistenza di allegazioni sintomatiche della inesistenza delle asserite direttive di lavoro;

sia per non essere stata fornita la prova degli elementi di natura sussidiaria, essendo il capitolato formulato in proposito assolutamente generico e risolvendosi nel mero elenco di quelli che dovrebbero essere, in linea teorica, gli elementi essenziali del rapporto di lavoro subordinato.

Avverso il suddetto decreto del Tribunale, B.F. ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi.

L’intimato Fallimento FRM – Fabbriche Riunite Metalli in foglie e polveri – spa, in persona del curatore fallimentare, ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente si duole che il Tribunale abbia ritenuto la genericità dei capitoli di prova articolati, tenuto anche conto che, nel caso di specie, non si trattava di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro intercorso tra le parti, ma di accertare la effettiva qualificazione da attribuire al rapporto di lavoro formalmente qualificato quale collaborazione, come risultava dai contratti prodotti.

Con il secondo motivo la ricorrente si duole che il Tribunale non abbia tenuto conto del comportamento delle parti al momento della sottoscrizione del contratto e successivamente della fase della sua esecuzione, interpretando, alla stregua dell’art. 1362 c.c., l’intenzione delle parti, per comprendere la quale sarebbe stato sufficiente leggere il contratto sottoscritto.

Con il terzo motivo la ricorrente si duole che il Tribunale abbia dato un’erronea interpretazione del contratto a progetto, in violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62, sussistendo al contrario nella specie gli elementi propri del contratto di lavoro subordinato, presenti nel contratto sottoscritto.

Con il quarto motivo la ricorrente si duole che il Tribunale abbia ritenuto necessario che la prova dell’interposizione fittizia dovesse essere provata attraverso la produzione dell’accordo scritto tra le parti, essendo riconducibile la fattispecie a quella dell’interposizione fittizia di manodopera.

Con il quinto motivo la ricorrente si duole che il Tribunale abbia ritenuto necessario che la prova della simulazione dovesse essere provata attraverso la produzione dell’accordo scritto tra le parti, stante la posizione di terzietà, rispetto alle parti stipulanti, di essa ricorrente.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione delle norme in tema di prova per presunzioni, lamentando la mancata presa in considerazione dei documenti prodotti e, in particolare, del contratto. Con il settimo motivo la ricorrente si duole del mancato accoglimento delle istanze istruttorie diverse dalla prova orale.

2. Non può essere accolta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, posto che dalla lettura complessiva del ricorso è possibile riconoscere quella esposizione sommaria dei fatti di causa richiesta dalla norma.

3. Come esposto nello storico di lite, il Tribunale ha ritenuto non provate tanto la riferibilità alla Società fallita dell’attività lavorativa dedotta in causa, quanto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Ciascuna di tali rationes decidendi, avuto riguardo alla domanda azionata di cui è stata ritenuta l’ammissibilità (non essendo stata oggetto di doglianza l’affermata inammissibilità della domanda subordinata di accertamento di un contratto di collaborazione), è autonomamente idonea a sostenere il decisum.

4. Quanto alla prima di tali ragioni del decidere, il Tribunale ha affermato che il documento prodotto costituiva "una mera lettera d’intenti non idonea di per sè a fornire la prova del perfezionamento di una tale intesa".

Tale affermazione non è stata oggetto di specifica doglianza, dal che discende la sostanziale irrilevanza dei motivi di ricorso (secondo, terzo e sesto) fondati sulla mancata considerazione delle pattuizioni asseritamente contenute nel documento contrattuale;

motivi che, peraltro, presentano altresì palesi profili di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato ivi trascritto – se non in termini meramente riassuntivi e valutativi – il contenuto del contratto in parola e degli altri documenti di cui il Tribunale avrebbe omesso di tener conto.

4.1 Quanto alla inammissibilità delle prove orali offerte, il primo motivo di ricorso, per quanto relativo alla censura della ratio decidendi all’esame, è infondato, poichè la ricorrente non spiega per quali ragioni il capitolo n. 2, che il Tribunale considera espressamente inammissibile perchè assolutamente generico, avrebbe dovuto invece essere considerato specifico ed ammissibile, nè indica – se non in termini del tutto generici e meramente assertivi – il nesso eziologico che dovrebbe sussistere, in relazione agli altri capitoli, tra l’omesso accoglimento della loro ammissione e le diverse conseguenze che, con carattere di decisività, ne sarebbero derivate in ipotesi di esito favorevole della prova (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 4178/2007; 11501/2006; 13730/2004; 7852/2001).

4.2 Considerazioni analoghe valgono a far ritenere l’infondatezza, sempre per quanto relativo alla censura della ratio decidendi all’esame, anche de settimo motivo di ricorso.

4.3 Restando quindi confermato che l’odierna ricorrente non ha fornito la prova, ne scritta, nè orale, della riferibilità alla Società fallita del preteso rapporto di lavoro subordinato dedotto in causa, risulta priva di rilievo, ai fini del decidere, l’affermazione parentetica del Tribunale secondo cui l’asserita fattispecie interpositoria avrebbe dovuto essere provata per iscritto, con conseguente assorbimento del quarto e del quinto motivo di ricorso.

5. L’inaccoglibilità delle censure inerenti alla suddetta ratio decidendi comporta l’applicazione del principio secondo cui, in tema di ricorso per Cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto la loro eventuale fondatezza non potrebbe comunque condurre all’annullamento della decisione stessa (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 12976/2001; 18240/2004; 20454/2005; 13956/2005).

Le censure svolte in ordine alla ritenuta insussistenza della prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato risultano pertanto inammissibili.

6. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 50,00 oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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