Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-03-2012, n. 4798 Decorrenza del termine di prescrizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.S. ha chiesto la condanna della società Valeo spa al risarcimento dei danni derivati a suo carico in conseguenza della malattia professionale (ipoacusia percettiva bilaterale) contratta a seguito dell’attività lavorativa svolta alle dipendenze della predetta società dal 29.4.1982 quale operaio addetto al reparto presse (fino al 1993) e alla linea motori per la saldatura delle vaschette radiatori (dal 1994 in poi).

La domanda è stata respinta dal Tribunale di Frosinone, che ha dichiarato la prescrizione del diritto vantato dal ricorrente, con sentenza che è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, che ha ritenuto che il lavoratore avesse avuto l’esatta percezione del danno già dal gennaio 1986, quando, nel corso di accertamenti sanitari di carattere preventivo, gli era stata diagnosticata una ipoacusia percettiva bilaterale più marcata a destra, e che, in difetto di qualsiasi esposizione a rischi diversi da quelli lavorativi, il danno uditivo così evidenziato non avrebbe potuto che essere ricollegato allo svolgimento dell’attività svolta alle dipendenze dell’appellata.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione M.S. affidandosi ad un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso la Valeo spa.

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2935 c.c., nonchè vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire se il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno del lavoratore che assume di aver contratto una malattia professionale di ipoacusia per negligenza od omissione di norme poste a tutela della salute del dipendente ex artt. 2935 e 2947 c.c. decorra non dalla data di manifestazione del danno, ma dalla data di conoscenza della causa professionale della lesione, con percezione della patologia quale danno ingiusto conseguente al comportamento colposo del datore di lavoro. Il ricorrente deduce, in sintesi, che l’esito degli esami audiometrici, ai quali fa riferimento la sentenza impugnata ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione, non gli sarebbe mai stato comunicato e che egli avrebbe avuto una ragionevole percezione della malattia solo nel dicembre 1990, quando venne redatto il "primo certificato medico di malattia professionale", poi consegnato al datore di lavoro.

2.- Il ricorso deve ritenersi infondato perchè la Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado – che aveva accolto l’eccezione di prescrizione decennale formulata dalla società resistente sulla base dell’accertamento che l’esistenza della malattia del lavoratore era stata rilevata per la prima volta nel 1979 e confermata con certezza diagnostica nel corso del 1986, che il danno acustico era oggettivamente percepibile e riconoscibile dal lavoratore quanto meno a partire dal 1987 e che pertanto da tale momento doveva ritenersi decorrere la prescrizione – ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, così come desumibili dalla disciplina legale in tema di decorrenza della prescrizione.

L’art. 2935 c.c. pone la regola generale secondo cui "la prescrizione comincia a decorrere dal giorni in cui il diritto può essere fatto valere". La giurisprudenza di questa Corte ha precisato, al riguardo (cfr. ex plurimis Cass. n. 15991/2009, Cass. n. 21500/2005, Cass. n. 21495/2005, Cass. n. 14249/2004, Cass. n. 11451/2003), che "l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, nè il dubbio soggettivo sulla esistenza di quest’ultimo".

Applicando tale principio all’ipotesi rappresentata in giudizio dal ricorrente, di una malattia causata al dipendente nell’espletamento della propria attività lavorativa dal comportamento colposo del datore di lavoro, si ha che, anche in questa ipotesi, il diritto al conseguente risarcimento del danno può essere fatto valere fin dal momento in cui l’origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalle concrete valutazioni soggettive dello stesso (cfr. ex plurimis Cass. n. 13284/2010, Cass. n. 19355/2007, Cass. n. 12666/2003).

Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che la piena conoscibilità da parte del lavoratore della origine professionale della malattia doveva ritenersi oggettivamente verificata nel momento in cui questa era stata diagnosticata con certezza, dovendo escludersi, allo stesso tempo, sulla base di quanto aveva dichiarato lo stesso lavoratore, che questi fosse mai stato esposto a rischi diversi da quello lavorativo.

Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui egli non avrebbe potuto avere una ragionevole percezione della malattia prima della redazione della certificazione medica del dicembre 1990, non tengono conto dei rilievi svolti dal giudice del merito in ordine alla oggettiva conoscibilità dell’origine professionale della malattia e si risolvono, in definitiva, nella contestazione diretta (inammissibile in questa sede) del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra detto, alla oggettiva possibilità di percepire e riconoscere l’esistenza della malattia – a prescindere da valutazioni puramente soggettive – e così in una mera contrapposizione rispetto alla valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di legittimità di quest’ultima (anche perchè il ricorrente non ha riportato nel ricorso il contenuto integrale della relazione di consulenza tecnica e dei documenti sui quali fonda le proprie critiche alla decisione della Corte territoriale).

3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre Iva, Cpa e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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