Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione VI Sentenza n. 7900 del 2006 deposito del 07 marzo 2006 MISURE CAUTELARI PERSONALI Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 22 giu. 2005 il GIP presso il Tribunale di Bologna respingeva l’istanza con cui V. S. e F. D.B. chiedevano la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari, disposta in sostituzione della custodia in carcere.

La misura cautelare era stata disposta per una serie di reati commessi in concorso con altre persone appartenenti all’associazione politica denominata Passpartout e ai sodalizi dei c.d. Disobbedienti, reati aggravati dalla finalità di eversione dell’ordine democratico.

In particolare, era risultato che gli imputati dopo aver forzato la serratura di una saracinesca si erano introdotti all’interno dei locali appartenenti a G. e G. G., occupandoli assieme ad un gruppo di circa venticinque giovani, tutti aderenti al collettivo Passpartout e al sodalizio dei Disubbidienti, impedendo ai legittimi proprietari di entrare e usando violenza e minacce contro gli agenti della polizia che erano intervenuti a seguito della querela presentata dalle persone offese per far cessare l’occupazione.

Per questi fatti erano stati indagati dei reati di occupazione di edifici (art. 633 c.p.), di danneggiamento (art. 635 c.p.), di violenza e resistenza a pubblici ufficiali (artt. 336, 337, 339 c.p.) e di lesioni personali (artt. 610 e 339) c.p.) e di minacce contro alcuni agenti di polizia (artt. 336, 339 c.p.).

l’ordinanza del GIP veniva appellata dai due imputati ex art. 310 c.p.p. e il Tribunale di Bologna, in accoglimento delle istanze, revocava la misura degli arresti domiciliari, ordinando l’immediata liberazione del S. e del D.B.

Il Tribunale, dopo aver richiamato una precedente ordinanza resa in sede di riesame sugli stessi fatti, con cui aveva escluso la sussistenza dell’aggravante della finalità di eversione dell’ordine democratico, sosteneva che le esigenze cautelari fossero venute meno, in quanto la carcerazione sofferta avrebbe ridotto la pericolosità sociale degli imputati.

Contro questa ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, sostenendo che il Tribunale avrebbe omesso di motivare sulla valutazione della pericolosità sociale dei due imputati, senza peraltro considerare gli elementi raccolti nel procedimento, che dimostrerebbero come l’uso della violenza per sostenere le proprie idee rappresenti un vero e proprio metodo di azione politica, rivendicato in più occasioni.

Secondo il ricorrente il tempo trascorso in carcere (dal 18 al 28 maggio 2005) e l’ulteriore periodo di detenzione domiciliare non sarebbero elementi da cui poter desumere la realizzazione di un qualsiasi effetto deterrente sulle motivazioni a delinquere.

Inoltre, il Tribunale non avrebbe peso in considerazione una circostanza rilevante, appresa successivamente, secondo cui il D.B. sarebbe stato sorpreso, nel corso della detenzione domiciliare, in compagnia di due pregiudicati, dimostrando così la permanenza della sua pericolosità sociale, desumibile dal mantenimento dei contatti con i gruppi politici cui lo stesso appartiene.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Tribunale ha revocato la misura cautelare in considerazione della sostanziale incensuratezza dei due indagati, tenendo conto, inoltre, che gli stessi sono stati sottoposti prima alla misura della custodia in carcere, sebbene per un breve periodo, e successivamente posti in regime di arresti domiciliari, osservando sempre un comportamento corretto, anche in occasione dei permessi ricevuti per esigenze personali e di studio.

Sulla base di tali elementi i giudici di merito hanno ritenuto sostanzialmente inutile la protrazione della custodia cautelare, perché inutilmente punitiva, dal momento che l’esperienza detentiva avrebbe fortemente ridotto la pericolosità sociale degli imputati, i quali avrebbero percepito il disvalore delle loro azioni.

Inoltre, l’ordinanza impugnata ha inquadrato i fatti i un ambito di minore gravità e allarme sociale rispetto all’impostazione dell’accusa, avendo escluso, in una precedente ordinanza emessa nell’ambito dello stesso procedimento e confermata da questa Corte, la circostanza aggravante della finalità di eversione dell’ordine pubblico, originariamente contestata per tutti i reati.

La parte ricorrente contesta l’ordinanza impugnata in quanto non avrebbe esaminato ne preso in considerazione gli indizi raccolti nel processo ed evidenziati nel provvedimento applicativo dell’originaria misura cautelare della custodia in carcere e in quello con cui il GIP ha rigettato la richiesta di revoca degli arresti domiciliari, omettendo ogni motivazione sulla pericolosità sociale degli indagati.

La procura bolognese ritiene, in sostanza, che gli elementi raccolti dimostrerebbero la pericolosità dei due indagati, desumibile dal ricorso alla violenza come strumento sistematico per sostenere le proprie idee.

Invero, si tratta di censura di merito, fondate sull’apprezzamento di circostanze di fatto, alternative rispetto a quelle effettuate dai giudici di appello, mentre il sindacato di legittimità in tema di provvedimenti cautelari deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di una motivazione che rispetti i canoni logici, senza alcuna possibilità di operare una diversa valutazione delle emergenze processuali, in quanto il vizio di motivazione denunciabile è limitato alla mancanza o alla manifesta illogicità risultante dal testo.

La motivazione dell’ordinanza impugnata appare logica e coerente, avendo dato conto delle ragioni per le quali la prosecuzione della misura cautelare avverrebbe in una situazione in cui le esigenze cautelari non appare più proporzionata all’entità del fatto.

Si tratta di una valutazione del giudice di merito supportata da una motivazione che non evidenzia alcuna illogicità o contraddizione interna.

Per quanto riguarda, infine, l’episodio indicato nel ricorso, relativo ad una comunicazione trasmessa dai Carabinieri di Ortona, secondo cui il D.B. sarebbe stato trovato presso la propria abitazione, dove si trovava agli arresti domiciliari, in compagnia di due pregiudicati, è questione che non può essere presa in considerazione in questa sede, neppure sotto il profilo della omessa motivazione, data la genericità della deduzione e la mancanza di elementi di fatto per ritenere se tale comunicazione fosse o meno nella disponibilità del Tribunale al momento in cui ha assunto la decisione.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso

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