Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-03-2012, n. 4794 Istruzione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23/12/93 le odierne ricorrenti, unitamente ad altri sette insegnanti, convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecce, il Ministero della Pubblica Istruzione per sentirlo condannare al risarcimento dei danni loro derivati dalla mancata nomina ad insegnanti di ruolo, nonostante il superamento del concorso a cattedra di materie letterarie nella scuola media indetto nella provincia di Lecce.

Avverso la sentenza di condanna che ne conseguì proposero appello il Ministero ed il Dirigente del Centro Servizi amministrativi del M.I.U.R., eccependo la prescrizione del credito per il periodo anteriore al 23/12/88 e chiedendo la riduzione del "quantum" del risarcimento nei limiti del dovuto. Con sentenza del 9/6 – 21/10/09 la Corte d’appello di Lecce rideterminò in Euro 22.227,46 la statuizione di condanna in favore di C.M.R. ed in Euro 32.070,74 quella in favore di M.C., rigettando nel resto il gravame e condannando gli enti appellanti alle spese di lite.

La Corte territoriale addivenne a tale decisione dopo aver ritenuto, con sentenza non definitiva n. 22/06, l’applicabilità del termine decennale della prescrizione ordinaria, considerata la natura contrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione, e dopo aver accertato che il calcolo operato da consulente tecnico d’ufficio per le odierne ricorrenti era stato eseguito senza tener conto del fatto che le medesime avevano percepito, in determinati anni, stipendi ridotti per legge all’80% ed al 30% rispetto allo stipendio pieno, per effetto dell’astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro per gravidanza; ne conseguiva, secondo il giudicante, la necessità di un ricalcolo delle differenze a credito delle lavoratrici, atteso che tali importi ridotti sarebbero spettati nella stessa misura percentuale anche nell’ipotesi in cui queste ultime fossero state immesse in ruolo fin dall’inizio del rapporto.

Per la cassazione parziale della sentenza definitiva, limitatamente alla determinazione dell’entità del risarcimento del danno, propongono ricorso la C. e la M., le quali affidano l’impugnazione a due motivi di censura. Resistono con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ed il Centro Servizi Amministrativi MIUR.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo le ricorrenti denunziano sia "l’error in procedendo" ex art. 360 c.p.c., n. 4 che l’omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. La parte iniziale della doglianza riflette la presunta tardività con la quale la difesa erariale avrebbe svolto i propri rilievi alla relazione del consulente d’ufficio solo in occasione del deposito della comparsa conclusionale e, al riguardo, le ricorrenti illustrano la sequenza temporale delle udienze e degli atti difensivi della controparte nei seguenti termini: all’udienza di primo grado del 21/9/01, immediatamente successiva al deposito della relazione del consulente d’ufficio dr. Ma., l’avvocato dello Stato impugnò genericamente l’elaborato peritale e chiese un rinvio per il deposito della consulenza tecnica di parte; all’udienza del 4/2/02 l’avvocato dello Stato impugnò la C.T.U, riservandosi di esplicitare i rilievi e chiedendo un ulteriore differimento, in quanto non era stata ancora depositata la relazione del C.T.P; alla successiva udienza dell’1/3/02 la difesa erariale non provvide a depositare la relazione del C.T.P. e, nel formulare le conclusioni, chiese, tra l’altro, che il "quantum" della domanda venisse ridotto nei limiti di ciò che era stato provato, previa riduzione delle spese di produzione del reddito per ciascun anno, operazione, quest’ultima, non eseguita dal C.T.U.;

con la comparsa conclusionale, datata 29/4/02, l’Avvocatura dello Stato censurò la relazione del C.T.LJ., assumendo che quest’ultimo, pur avendo dato atto della circostanza che la C. e la M. avevano usufruito dell’astensione per gravidanza, non aveva ridotto correlativamente gli importi da prendere a base della retribuzione che le stesse avrebbero percepito se fossero state immesse in servizio effettivo dalla data della decorrenza giuridica; tale censura venne ripetuta con l’atto d’appello.

A quest’ultimo riguardo le ricorrenti aggiungono che, a fronte della loro specifica eccezione diretta a far valere la circostanza che il perito d’ufficio aveva ricevuto la collaborazione del dr. V., consulente dell’amministrazione, senza riceverne rilievi e che erano, pertanto, inammissibili, in quanto tardive, le censure svolte per la prima volta in appello con riferimento alla relazione tecnica d’ufficio, la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi su tale eccezione. Il motivo è infondato.

Invero, dalla sequenza delle attività difensive susseguitesi nel corso delle udienze dei processo di primo grado, così come illustrata dalla difesa delle odierne ricorrenti, si ricava, anzitutto, che subito dopo il deposito della relazione del consulente tecnico d’ufficio la difesa erariale aveva preannunziato, seppur genericamente, lo svolgimento di rilievi alle risultanze peritali d’ufficio, specificandoli, di fatto, nella comparsa conclusionale, per cui la loro ripetizione nell’atto d’appello non poteva costituire una novità, tanto più che si trattava semplicemente di valutazioni di parte su fatti già acquisiti al processo, per cui nemmeno è configurabile, sotto tale aspetto, una violazione del contraddittorio. Tra l’altro, come si è già avuto modo di statuire (Cass., sez. 3, 10-03-2000, n. 2809), "con la comparsa conclusionale, la parte può svolgere nuove ragioni di dissenso e contestazione, avverso le valutazioni e conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa, che non ampliano l’ambito oggettivo della controversia".

Ne consegue che è infondata la doglianza incentrata sulla presunta tardività delle contestazioni svolte dalla difesa erariale alle risultanze peritali in occasione del deposito della comparsa conclusionale.

E’ egualmente infondato il rilievo dell’omessa pronunzia in cui sarebbe incorso il giudice d’appello in merito alla eccezione di inammissibilità svolta dalle lavoratrici appellate in ragione della dedotta tardività delle contestazioni mosse dall’avvocatura dello Stato alla relazione del consulente tecnico. In realtà, posto che la stessa difesa delle ricorrenti pone l’accento sul fatto che tali contestazioni, manifestate per la prima volta con la comparsa conclusionale di primo grado, sono state riproposte in appello, si impongono le seguenti considerazioni: anzitutto, occorre prendere atto della circostanza che dalla lettura della sentenza impugnata emerge, a pagina 10, che la Corte di merito ha richiamato, in occasione della disamina del quarto motivo di gravame riflettente la lamentata erroneità della determinazione del "quantum" della pretesa risarcitoria, un passaggio difensivo svolto dall’avvocatura dello Stato con la comparsa conclusionale di cui si lamentano le ricorrenti; inoltre, nell’affrontare la disamina del quinto motivo di gravame, concernente specificatamente la sollevata questione della mancata riduzione del "quantum" del risarcimento in conseguenza della fruizione, da parte delle odierne ricorrenti, dei periodi di astensione dal lavoro per maternità, il giudice d’appello ha inteso risolverlo proprio alla luce delle obiezioni mosse da entrambe le parti, per cui è da ritenere, in definitiva, che il medesimo organo giudicante ha implicitamente rigettato il motivo di inammissibilità dell’impugnazione ancorato alla dedotta tardività delle suddette contestazioni.

Invero, il vizio "dell’error in procedendo" per omessa pronunzia non consiste nella mancanza di una esplicita statuizione, ma nella mancanza di quello che in concreto è il provvedimento necessario, nella ipotesi in esame non omesso, in quanto implicito nella decisione della Corte d’appello di affrontare e risolvere, nonostante l’eccezione delle appellate, i rilievi svolti dall’avvocatura dello Stato con la comparsa conclusionale di primo grado avverso le risultanze peritali, rilievi successivamente trasfusi nei motivi di gravame.

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 2, n. 20311 del 4/10/2011) che "ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia". 2. Col secondo motivo è dedotta l’omessa ed insufficiente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla rideterminazione delle differenze retributive eseguita dal giudice d’appello a seguito delle eccezioni svolte dall’Avvocatura, la quale si era lamentata del fatto che non si era considerato che nei periodi di astensione dal lavoro per maternità le appellate avevano percepito compensi minori in base a quanto previsto dalla L. n. 1204 del 1971, per cui egual criterio avrebbe dovuto essere adottato nel nuovo computo delle spettanze oggetto di causa. In pratica le ricorrenti evidenziano che il vizio di motivazione è ravvisabile non solo nel fatto che esse non hanno prestato servizio, come erroneamente affermato in sentenza, per gli interi anni solari 1984 e 1985, la C., e per l’intero anno solare 1988, la M., ma anche nella circostanza che esse sono state in astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio e in astensione facoltativa per i brevi periodi risultanti dai certificati di servizio allegati alla consulenza tecnica e non per i rispettivi anni solari, come erroneamente statuito nell’impugnata sentenza, il tutto con inevitabili ripercussioni sulla rideterminazione del risarcimento dei danni ad esse spettante. Il motivo è infondato.

Invero, le ricorrenti, pur denunziando l’errore in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, sia nel considerare lo svolgimento, da parte loro, di un’attività lavorativa continuativa anche negli anni interessati dai periodi di astensione, sia nel calcolare in modo inesatto i periodi effettivi di astensione, omettono, tuttavia, di spiegare specificamente in qual modo concreto il denunziato criterio di calcolo abbia potuto effettivamente danneggiarle, non consentendo la mancanza di tale dato fondamentale di verificare la fondatezza del rilievo svolto.

In definitiva, la censura in esame, a fronte della articolata ed adeguata spiegazione offerta dalla Corte di merito nella rideterminazione del "quantum" del risarcimento, finisce per tradursi in una semplice lamentela di percezione di somme in misura inferiore a quella pretesa, il tutto in una sorta di pura contrapposizione a quanto accertato dal giudicante ed in violazione del principio di autosufficienza che deve sorreggere il ricorso in cassazione.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza delle ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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