Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-03-2012, n. 4793

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con lettera del 18.11-15.12.2005 M.D.G., socio della MATA S.p.A., esercitava ai sensi dell’art. 2437 c.c. e limitatamente a 650.00,00 azioni delle 683,000 in sua titolarità, il recesso da tale società in ragione della relativa durata, fissata al 31.12.2100, data eccedente il termine della vita umana e tale, a suo parere, da fare equiparare la società a quelle contratte a tempo indeterminato.

Il recesso del M. era stato preceduto dalla Delib. assembleare adottata il 5.03.2004, ai sensi del D.Lgs. n. 6 del 2003 e dell’art. 223 bis disp. att. c.c., con cui, in modifica dell’art. 5 dello statuto sociale, la scadenza della società veniva fissata al 15.12.2005 ed era stato seguito dalla Delib. assembleare 15 dicembre 2005, con cui era stata disposta l’anticipazione al 30.06.2030 di detta data.

A norma del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35 ed in base alla clausola compromissoria di cui art. 32 dello statuto sociale, la quale prevedeva anche l’inappellabilità del lodo, il M.D. proponeva domanda di arbitrato notificata alla società NATA S.p.A. il 15/12/2005.

Con lodo del 5.04.2007 gli arbitri ritenevano che il recesso del M.D. seppure in astratto consentito dall’art. 2437 c.c., fosse inefficace per duplice ordine di ragioni e respingevano le sue domande.

Con sentenza del 24.02-12.05.2010, la Corte di appello di Milano respingeva l’impugnazione proposta dal M.D. avverso il suddetto lodo arbitrale.

La Corte territoriale osservava e riteneva:

– che le censure dell’attore si erano indirizzate avverso la ritenuta inefficacia del suo recesso, ricondotta dagli arbitri all’intervenuta revoca della Delib. assembleare 5 marzo 2004, tempestivamente assunta dalla società Mata il 15.12.2005;

– che con il primo motivo era stato dedotto l’errore di fatto nel quale erano incorsi gli arbitri, sostenendo, a fronte della prospettata modifica dell’art. 5 dello statuto sociale Delib. nel corso dell’assemblea straordinaria del 5/3/2004, che nessuna modifica era mai stata deliberata e che, al contrario, la durata della società era stata fissata al 31/12/2100 già nell’atto costitutivo della Mata, risalente all’8/5/1989, che essa era rimasta inalterata sino alla Delib. assembleare 15 dicembre 2005 e che in mancanza di una qualunque deliberazione assembleare "di proroga al 2100 del termine di durata" della Mata, veniva a cadere per effetto dell’errore in cui gli arbitri erano incorsi, la motivazione del lodo arbitrale che aveva dichiarato la sua soccombenza;

– che con ulteriore motivo di doglianza il M. aveva lamentato la nullità del lodo a mente dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, avutosi riguardo all’omessa pronuncia sulla domanda concernente "il momento al quale avrebbe dovuto fare riferimento la valutazione delle azioni" per le quali era stato esercitato il recesso;

– che era stato inoltre eccepito l’errore di diritto (rilevante per la nullità del lodo in relazione al disposto dell’art. 829 c.p.c., comma 2) nel quale erano incorsi gli arbitri ritenendo la tempestività della revoca della precedente delibera assembleare, disposta dalla Mata con la Delib. 15 dicembre 2005, adottata in preteso spregio al disposto dell’art. 2437 bis c.c.;

– che costituitasi in giudizio, la società Mata aveva resistito alle avverse domande e preliminarmente dedotto l’inammissibilità della impugnazione avversaria in difetto di previsione normativa afferente la revocazione ordinaria e l’impugnazione per nullità del lodo;

– che con riguardo al primo motivo, le pur perspicue considerazioni svolte dalla Difesa dell’impugnante sulla scorta della rivisitazione di contributi dottrinali, non consentivano di discostarsi dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità – d’altronde necessitato dal dettato normativo di riferimento – che limitava alle sole ipotesi di revocazione c.d. straordinaria l’esperibilità del rimedio in parola avente ad oggetto il lodo arbitrale;

– che con riguardo alla seconda doglianza, la stessa, ove ricondotta dalla Difesa del M. alla ipotesi di omissione di pronuncia su alcuno degli oggetti del compromesso, era priva di pregio, giacchè la statuita inefficacia del recesso esercitato dall’odierno attore nei confronti della società convenuta assorbiva la domanda del medesimo volta all’accertamento del suo credito "corrispondente al valore delle azioni, per le quali aveva esercitato il recesso, al momento della relativa dichiarazione";

– che quanto all’errore di diritto addebitato al Collegio arbitrale in relazione all’interpretazione dell’art. 2437 bis c.c., doveva trovare applicazione, stante la previsione d’inappellabilità del lodo di cui all’art. 32 dello statuto sociale, la ratio excludendi della impugnazione del lodo per inosservanza delle regole di diritto, enunciata dall’art. 829 c.p.c., comma 2, ultima parte, nel testo vigente al momento della proposizione della domanda di arbitrato.

Avverso questa sentenza, notificata il 14.06.2010, il M.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato il 29.09.2010 alla S.p.A. MATA, che ha resistito con controricorso notificato l’8.11.2010. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente in rito deve essere respinta l’eccezione sollevata dalla Mata S.p.A., di nullità della procura conferita dal M. D. ai suoi difensori, dato che la procura al difensore apposta a margine del ricorso deve considerarsi conferita per il giudizio di cassazione e soddisfa perciò il requisito di specialità previsto dall’art. 365 cod. proc. civ. e dato inoltre che la mancanza di data non produce nullità della procura stessa, atteso che la posteriorità del suo rilascio rispetto alla sentenza gravata si ricava dall’intima connessione con il ricorso al quale accede, nel quale la sentenza è menzionata, nonchè dalla nomina di un domiciliatario e/o di un difensore del foro di Roma con l’elezione di domicilio presso il medesimo.

A sostegno del ricorso il M.D., dedotto anche che dagli atti processuali e dai documenti su cui il ricorso si fonda risulta la sussistenza a) dell’errore di fatto in cui sono incorsi gli arbitri consistito nell’avere ritenuto la durata al 31.12.2000 della società Mata come deliberata all’adunanza assembleare straordinaria del 5.03.2004, nonostante che fosse pacifico che tale durata era stata fissata nell’atto costitutivo della società dell’8.05.1989 e che non era stata mai modificata prima del suo recesso comunicato il 18.11.2005, b) del nesso di causalità tra tale errore di fatto e la decisione degli arbitri per avere ritenuto la proroga al 31.12.2000 della durata della Mata, deliberata all’adunanza straordinaria del 5.03.2004, oggetto di revoca deliberata all’adunanza straordinaria del 15.12.2005, denunzia:

1. "Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.p., comma 1, ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)".

Sostiene:

– che nell’impugnata sentenza della Corte d’appello è ravvisabile l’omissione dell’esposizione delle ragioni di diritto della reiezione della sua domanda di dichiarazione di nullità del lodo arbitrale per vizio di motivazione e che a tale omissione consegue la nullità della sentenza;

– che la Corte d’appello ha esaminato la domanda di revocazione del lodo arbitrale, al riguardo affermando di aderire all’orientamento della "giurisprudenza di legittimità (…) che limita alle sole ipotesi di revocazione ed. straordinaria l’esperibilità del rimedio in parola avente ad oggetto il lodo arbitrale" ma non ha preso in considerazione anche la sua domanda avente ad oggetto la dichiarazione di nullità del lodo per vizio di motivazione;

– che nella sentenza in esame il tema dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale è toccato da una angolatura che nulla ha a che fare con la domanda proposta dall’attore alla Corte d’appello;

– che il principio affermato dalla Corte di cassazione concerne, infatti, la revocazione del lodo arbitrale e si riferisce all’impugnazione di questo per nullità solo al fine di negare che, nei casi di esperibilità di tale impugnazione, la mancata inclusione dei casi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5 tra quelli di revocazione del lodo indicati dall’art. 831 c.p.c., comma 1, possa venire "aggirata" venendo essi fatti valere come casi di nullità;

– che tale principio non ha alcuna attinenza con la domanda di dichiarazione di nullità del lodo arbitrale per vizio di motivazione proposta dall’attore alla Corte d’appello: con tale domanda, infatti, non venivano fatti valere i casi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5 come motivi di nullità "aggiuntivi" ma al contrario, nell’errore di fatto sul quale è basato il lodo arbitrale, veniva individuato un caso di nullità previsto dal legislatore e configurato dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’art. 823 c.p.c., comma 2, n. 3. 2. "Violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 823 c.p.c., comma 2, n. 3, ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)".

Il ricorrente propone gli argomenti che assume da lui già dedotti a fondamento della domanda volta alla declaratoria di nullità del lodo arbitrale per vizio di motivazione e che i giudici di merito hanno a suo parere omesso di esaminare, sostenendo che qualora tali argomenti siano viziati nella percezione dei fatti da cui muove il ragionamento dell’arbitro vanno ritenuti affetti da vizi logici di congruenza come tali assimilabili a non argomenti, precisando che nella specie i motivi del lodo si fondano su una delibera di contenuto difforme da quello reale e non tengono conto che l’atto costitutivo della Mata, datato 1989, già prevedeva la durata al 2100 della società. 3. "Violazione dell’art. 831 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 4, ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)".

Censura la reiezione della sua domanda di revocazione del lodo arbitrale per errore di fatto, sostenendo che per più profili essa è frutto di una erronea interpretazione della rubricata norma di diritto e che comunque, ove si confermasse l’esclusione di detto errore dai previsti casi di revocazione del lodo arbitrale, la norma in questione sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con i principi dettati dagli artt. 3, 24 e 111 Cost..

Il primo motivo del ricorso è inammissibile; questa conclusione e le relative ragioni comportano anche l’assorbimento delle ulteriori due censure e di tutte le questioni in essi sollevate.

A fondamento della censura in argomento, così come delle altre due, il M.D. addebita agli arbitri l’errore di fatto consistito nel ritenere che la delibera del 5.03.2004, poi tempestivamente revocata il 15.12.2005, avesse comportato, con l’approvazione dell’art. 5 dello statuto sociale, la proroga della durata della società, durata che invece già nell’atto costitutivo del 1989, era stata fissata nella medesima data del 31.12.2100.

In base a tale premessa, che accomuna tutti i dedotti motivi di ricorso, il ricorrente articola la prima censura, in cui si duole dell’omesso esame da parte della Corte distrettuale della sua domanda di nullità del lodo per vizio di motivazione, a tale proposito deducendo che il segnalato errore percettivo aveva inficiato l’intero percorso argomentativo esposto dagli arbitri, rendendolo logicamente incongruente e così assimilabile al caso di assenza di motivazione.

L’errore di fatto di cui si discute, viene prospettato dal ricorrente come una falsa percezione della realtà, obiettivamente e immediatamente rilevabile, che avrebbe portato gli arbitri ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, e pertanto consistente in un errore meramente percettivo che in nessun modo aveva coinvolto l’attività valutativa di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività da parte dei medesimi arbitri.

Tale premessa, presupposta dall’intero impianto difensivo illustrato nel ricorso, appare non suffragata ed anzi smentita dal contenuto del ricorso stesso e dai passi dell’impugnato lodo arbitrale ivi richiamati, da apprezzare in rapporto sia al contesto normativo di riferimento, innovato dal D.Lgs n. 6 del 2003, che negli artt. 2328 e 2437 aveva introdotto ipotesi di recesso del socio delle società per azioni a fronte della nuova previsione di possibile durata indeterminata delle costituende società o in caso di proroga del relativo termine se determinato e sia alle peculiarità della vicenda, che coinvolgeva una società costituita prima dell’entrata in vigore della riforma societaria e che con la Delib. 5 marzo 2004 aveva inteso uniformarsi alle nuove disposizioni inderogabili, in aderenza a quanto prescritto dall’art. 223 bis disp. att. c.c.. In particolare nel ricorso si precisa (pag. 9) che gli arbitri, accertata la legittimità – in astratto – del recesso de quo", ne hanno escluso la "concreta efficacia", affermando anche che "Non può, nella fattispecie dedotta in lite negarsi che la Delib. 5 marzo 2004 si è risolta, per la parte che riguarda il motivo del recesso, in una sostanziale proroga al 2100 del termine di durata della società, la cui conoscibilità è stata immediata per l’attore e nei cui confronti deve ritenersi pienamente operativo l’onere di manifestare il recesso entro il quindicesimo giorno dalla iscrizione (della delibera) nel registro delle imprese, avvenuta in data 9/4/2004" ed inoltre che hanno rilevato che "la definitiva efficacia" del recesso, a norma dell’art. 2437-bis c.c., comma 3, "può essere impedita da un contrario comportamento della società laddove questa revochi la delibera, che ha legittimato il recesso, entro novanta giorni".

Tali passi evidenziano non già un errore di fatto da parte degli arbitri ma plausibilmente la formulazione da parte loro di un giudizio logico-giuridico in ordine alla sussistenza o meno della legittimazione del M. ad impugnare la delibera del 5.03.2004 inerente allo statuto sociale, giudizio per tale profilo risoltosi positivamente (al pari di quello inerente alla legittimità in astratto dell’esercitato recesso), previa riconduzione della situazione del recedente al dato normativo di riferimento, individuato nell’art. 2437 c.c., nel testo innovato dalla riforma, e segnatamente in via interpretativa e per assimilazione nel comma 2, lett. a) di tale norma, inerendo il recesso a società di ben risalente costituzione.

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Giusti motivi, desunti dalla complessità delle questioni controverse, giustificano la compensazione per intero delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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