Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-03-2012, n. 4787 Espropriazione parziale o speciale Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

M.C. e M.I. agivano in giudizio nei confronti del Comune di Vecchiano, esponendo: di essere proprietari di area sita nel comune di (OMISSIS), loc. (OMISSIS), di fronte all’ex cava dagli stessi attori coltivata, ricadente in zona urbanistica F3 (servizi) per attrezzature pubbliche, occupata in parte da due fabbricati, oltre una vasta area libera che si estende sino all’autostrada, raggiungibile a mezzo della strada denominata via (OMISSIS), non censita come strada pubblica; che l’area espropriata, rientrante nella più ampia particella 199, era parte del piazzale della contigua cava di inerti, realizzato con la stesura ed il rullaggio di pietrisco proveniente dalla stessa cava, chiusa da anni, e costituiva "area oggetto di risalente trasformazione per essere utilizzata come piazzale di cava", di circa mq.9000; che il Comune di Vecchiano, con Delib. Giunta 20 giugno 2005, approvava il progetto definitivo di realizzazione di un’isola ecologica, che comportava l’esproprio di una parte della particella 199 per mq.

8780, coincidente con il detto ex piazzale di lavoro; che il 24/1/06, interveniva il decreto di esproprio ed il 6/2/06, il Comune prendeva possesso dell’area; che, investita dal Comune, la Commissione Provinciale espropri, con la relazione di stima del 24/1/06, faceva propria la perizia del Comune, basata sul valore del terreno corrispondente alla coltura prevalente della zona, rilevando che al momento dell’esproprio, l’area era urbanisticamente destinata ad attrezzature ed impianti di interesse generale (zona urbanistica F3), a seguito della variante al P.R.G. n.3/2005, con cui era stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio, e che la destinazione precedente, di cui al P.R.G. approvato con delibera regionale del 22/7/1996, era agricola (Zona E2), con vincolo di rispetto stradale.

Secondo gli attori, erroneamente la Commissione aveva ritenuto illegittima la trasformazione dell’area in piazzale al servizio della cava, in quanto eseguita senza licenza, e, considerando l’area agricola, aveva determinato l’indennità in Euro 13.170, mentre, per effetto del condono, erano da ritenersi legittimi la recinzione, il piazzale ed il mutamento d’uso, ed anche nella perizia del Comune era stato riconosciuto che si trattava di "piazzale di stoccaggio di materiali e mezzi d’opera", e che i lavori eseguiti erano funzionali all’isola ecologica che il Comune intendeva realizzare; l’esproprio comportava deprezzamento della residua area e dei fabbricati; si trattava non di terreno agricolo, ma di area edificata, per cui occorreva avere riguardo al valore venale, da determinare avuto riguardo al costo delle opere di trasformazione ed al valore dell’area "ormai resa industriale"; non vi era vincolo di rispetto stradale posto che la strada non era vicinale di uso pubblico;

l’esproprio del piazzale deprezzava la residua area ed i fabbricati, e l’isola ecologica era destinata a rendere più difficile la ristrutturazione dei fabbricati e la bonifica dei sedimi di cava.

Tanto premesso, gli attori chiedevano la determinazione dell’indennità di espropriazione agli stessi spettante. Il Comune si costituiva e contestava la fondatezza della domanda degli attori.

La Corte d’appello, con sentenza 27/4/09- 11/5/2010, ha determinato l’indennità di espropriazione in Euro 13170,00 alla data del 24/1/06, oltre interessi legali, mentre ha respinto la domanda intesa ad ottenere la rivalutazione, e disposto il deposito da parte del Comune presso la Cassa Depositi e Prestiti degli importi indicati, o della differenza, in caso di versamento parziale già effettuato. La Corte del merito, premesso che nel caso trova applicazione il T.U. 327/2001, atteso che la dichiarazione di pubblica utilità risale alla Delib. Giunta municipale di Vecchiano 20 giugno 2005, n. 111, da cui l’applicazione dell’art. 32, ha rilevato che, contrariamente all’assunto degli attori, le opere di trasformazione del terreno per la realizzazione del piazzale non sono state condonate; risultano infatti presentate quattro domande relative al "capannone in muratura, ufficio e ripostiglio in muratura", "impianti silos e macchinari, frantoio e concasse", "cabina Enel e vani adiacenti, baracche di lamiera per spogliatoi e ripostigli", "baraccone in ferro per ricovero di macchinari e cabina peso", nè gli attori erano stati in grado di indicare quale domanda riguardasse il piazzale, ed il C.T.U., a pag.2 della relazione, si era limitato ad indicare che "nell’anno 1986 è stata chiesta sanatoria edilizia (condono) per la recinzione di tale piazzale".

Alla data del decreto di esproprio (24/1/06), l’area era destinata ad "attrezzature ed impianti di interesse generale", zona urbanistica F3, a seguito di variante al P.R.G. approvata con delibera consiliare n. 3/05, da ritenersi vincolo preordinato all’esproprio, dovendo ritenersi la variante "lenticolare", da cui il necessario riferimento alla destinazione precedente, di cui al Piano approvato con la delibera della G.R. Toscana del 22/7/96,di area agricola, Zona E 2, vincolo di rispetto stradale. Secondo la Corte del merito, anche a ritenere la natura conformativa del vincolo, le conseguenze rimanevano invariate, quindi l’area non era edificabile, e nessun rilievo poteva assumere l’abusiva trasformazione in piazzale, operata dai M., D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 40, comma 1.

Quanto alla diminuzione di valore della residua proprietà, ex art. 33 T.U., continua la Corte fiorentina, le allegazioni degli attori sono generiche, e non provate; il C.T.U. ha evidenziato la diminuzione del valore della residua proprietà, solo per il tipo di attività che verrà esercitata nella proprietà espropriata, ma trattasi di profilo inconferente, eventualmente azionabile ex art. 44 T.U., ma si tratta di domanda non azionata.

La Corte ha quindi aderito alla valutazione della Commissione espropri, effettuata secondo i correnti valori di mercato delle aree aventi identiche caratteristiche ed ogni altra valutabile circostanza, ed ha riconosciuto sull’importo complessivo di Euro 13170,00 gli interessi e non la rivalutazione.

Ricorrono i M., sulla base di sei motivi.

Il Comune ha depositato controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano vizio di violazione e/o falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 25, della L.R. Toscana n. 37 del 1994, artt. 2, 3 e 4, della L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 2, della L.R. n. 1 del 2005, artt. 58 e 59, art. 79, comma 1, lett. c), art. 133, sostenendo l’erronea applicazione della disciplina statale e regionale in relazione al mutamento di destinazione d’uso.

Secondo i ricorrenti, pacifica l’irrilevanza del mutamento di cui alla variante al P.R.G. di cui alla Delib. Consiliare n. 3 del 2005, costituente vincolo espropriativo, non è stato considerato dal Giudice del merito l’uso del terreno, precedente alla destinazione agricola zona E2, ed anche all’entrata in vigore della normativa statale e regionale che ha introdotto la necessità di acquisire un titolo edilizio per il mutamento di destinazione d’uso. All’epoca del fattuale conferimento al terreno dell’uso di "piazzale di cava" (come accertato dal C.T.U., i lavori sono stati eseguiti a fine anni ’50), non esisteva alcuna normativa sul mutamento di destinazione d’uso, prevista solo dalla L. n. 47 del 1985, art. 25, con rinvio a legge regionale, a cui ha dato attuazione la Regione Toscana con la L. n. 39 del 1994, della L. n. 47 del 1985, art. 25 è stato poi modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60, il cui contenuto è stato trasposto del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 10, comma 2, a cui ha dato attuazione la L.R. toscana n. 1 del 2005.

La destinazione originaria del terreno, precedente alla destinazione ad "attrezzature ed impianti di interesse generale", zona F3, conferita a seguito di variante al P.R.G. con la Delib. Consiliare n. 3 del 2005, era quindi quella fattualmente attribuita a fine anni ’50, e non quella agricola attribuita dalla Delib. regionale 22 luglio 1996. 1.2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti, in subordine, denunciano vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione al fatto che il mutamento di destinazione d’uso del terreno è stato condonato il 30/9/1999.

La sentenza impugnata non motiva, o motiva in modo insufficiente, il mancato perfezionamento del condono relativo alla destinazione d’uso;

la Corte del merito non ha riportato per intero il testo della relazione del C.T.U., in cui si legge non solo che "nell’anno 1986 è stata chiesta sanatoria edilizia (condono) per la recinzione di tale piazzale", ma anche che il Comune "ha concesso" tale sanatoria, e vedi a riguardo l’atto di concessione; l’erroneità della motivazione emerge, peraltro, anche dal fatto che il Comune dopo il 30/9/86 (data di presentazione dell’istanza), e comunque dopo il 30/11/99, non ha mai esercitato i poteri accertativi e sanzionatori nei confronti del piazzale(ora asserito) illegittimo.

1.3.- Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, con riferimento all’edificabilità del terreno in oggetto, per avere la Corte del merito argomentato anche in relazione alla natura conformativa del vincolo, del tutto antinomica rispetto alla natura espropriativa affermata, e senza alcuna contezza della problematica sulla non indennizzabilità dei vincoli conformativi.

1.4.- Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono del vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 Protocollo addizionale alla CEDU, dell’art. 17 della Carta di Nizza, dell’art. 42 Cost., dell’art. 834 c.c., del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32, 37, 38 e 40, per avere la sentenza ignorato l’effettivo valore venale del terreno, in violazione dei principi del diritto nazionale e sovranazionale; il Giudice del merito avrebbe dovuto interpretare l’art. 37, comma 4 del T.U. alla luce della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, e tenere conto anche delle eventuali trasformazioni illegittime, ove oggettivamente funzionali e connesse alla realizzazione dell’opera pubblica o ad una specifica destinazione urbanistica o qualora l’Amministrazione ne tragga un ingente beneficio funzionale ed economico.

1.5.- Con il quinto motivo, viene denunciato vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 33 del T.U., nonchè vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la sussistenza del danno da espropriazione parziale nei confronti della parte residua.

La ricostruzione sul punto della Corte del merito è oscura, è erroneo il parallelismo tra gli artt. 33 e 44 del T.U., l’art. 44 non è invocabile nel caso, mentre sussistono tutti i presupposti per invocare l’art. 33. 1.6.- Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 191, 194 e 196 c.p.c., sotto altro profilo, della L. n. 47 del 1985, art. 25, della L.R. n. 37 del 1994, artt. 2, 3 e 4, della L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 2; sotto altro profilo, dell’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU, dell’art. 17 della Carta di Nizza, dell’art. 42 Cost., dell’art. 834 c.c., del T.U. n. 327 del 2001, artt. 32, 33, 37, 38 e 40.

La Corte del merito ha disconosciuto l’operato del C.T.U. con una debolissima motivazione, in relazione, in particolare, al mutamento d’uso del terreno a fine anni l50; al rilascio della concessione in sanatoria anche per il piazzale di cava; al pregiudizio alla parte residua; alla quantificazione indennitaria in Euro 177.435, trasformata nella somma irrisoria di Euro 177.435.

Sostanzialmente, rilevano i ricorrenti, la Corte del merito è giunta alla decisione "senza" C.T.U..

2.1.- Il primo motivo è infondato.

Le censure dei ricorrenti sono intese a far valere il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sulla base della deduzione che vi sarebbe stato il "consolidamento storico di un uso del terreno de quo, intervenuto e cristallizzatosi in un momento precedente non soltanto alla Delib. regionale 22 luglio 1996, n. 3823 che ha conferito la destinazione agricola alla zona in cui ricade il terreno, ma anche alla stessa entrata in vigore della disciplina statale e regionale che ha introdotto nel nostro ordinamento la necessità di acquisire un titolo edilizio per il mutamento della destinazione d’uso" (così pag.8 del ricorso). Come reso palese dalla stessa impostazione del motivo, lo stesso è argomentato sulla deduzione in fatto dell’uso di "piazzale di cava" del terreno in epoca antecedente alla previsione normativa relativa al mutamento di destinazione d’uso, e precisamente, a fine anni ’50, come rilevato dal C.T.U. Ciò posto, e rilevato che, come si evince dalla sentenza impugnata, risulta fatta valere dai M. l’incongruità della indennità di espropriazione alla stregua della legittimità della diversa destinazione d’uso del terreno per l’intervenuto condono e non già perchè occorsa la trasformazione in epoca in cui erano liberamente realizzabili simili interventi, deve ritenersi la novità della prospettazione dedotta e fatta valere con il primo motivo del ricorso, e quindi l’inammissibilità dello stesso. E la diversità delle due prospettazioni è resa palese dal rilievo che la deduzione della intervenuta concessione del titolo edilizio sarebbe del tutto irrilevante ove si accedesse alla tesi della superfluità del titolo stesso. Nè potrebbe a diversa conclusione condurre il rilievo che sia stato il C.T.U. ad indicare l’epoca della asserita trasformazione, per l’evidente ed assorbente considerazione che non può attribuirsi valenza connotativa della domanda a rilievi in fatto del C.T.U., che non potrebbero in nessun caso supplire alla mancata attività di allegazione e prova della parte.

Sul rilievo di inammissibilità per novità della domanda, si richiamano, tra le tante, la pronuncia 3881/00, la cui massima è nei seguenti termini:" Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti", nonchè le successive 6179/01, 9812/02, 4948/03, 4334/04, 20005/05. 2.2.- Il secondo motivo è infondato.

La Corte del merito ha reso congrua ed adeguata motivazione, in relazione alla circostanza, decisiva e dibattuta, dell’intervenuto o meno condono del mutamento di destinazione d’uso, indicando specificamente le domande di condono presentate, nessuna delle quali relativa alla trasformazione dell’area in piazzale, e rilevando che il C.T.U. aveva precisato che nel 1986 era stata presentata la domanda di condono per la recinzione del piazzale, per cui, anche valutato il rilascio dello stesso, rimane pur sempre indimostrata la richiesta ed il rilascio del condono per il piazzale, per l’evidente rilievo che dal condono per la recinzione non potrebbe farsi conseguire il titolo anche per la trasformazione dell’area recintata, in carenza della specifica e necessaria indicazione del mutamento di destinazione nella relativa domanda.

Nè infine potrebbe supplirsi a tale carenza di base con il rilievo, meramente di fatto, del comportamento del Comune, che non avrebbe esercitato i poteri accertativi e sanzionatori in relazione al mutamento d’uso illegittimo.

2.3.- Anche il terzo motivo è infondato.

E’ agevole a riguardo rilevare che non v’è nessuna contraddittorietà della motivazione in relazione all’edificabilità del terreno: la Corte invero, ipotizzando in seconda battuta la natura conformativa del vincolo apposto con la variante al P.R.G. approvata con la Delib. consiliare n. 3 del 2005, e rilevando che, anche in tale ipotesi, l’area sarebbe stata pur sempre non edificabile, ha inteso semplicemente rafforzare la conclusione già esposta ed argomentata sul punto.

2.4.- Il quarto motivo deve ritenersi fondato, nei limiti e per quanto di seguito esposto.

La Corte del merito, ritenuta correttamente la natura agricola/non edificabile del terreno, ha aderito alla determinazione dell’indennità operata dalla Commissione espropri, in quanto corrispondente ai criteri di cui all’art. 40 T.U.; nelle more del giudizio, la Corte cost., con la pronuncia 181 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 4, convertito con modificazioni, nella L. n. 359 del 1992, in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. n. 10 del 1977, art. 14, ed in via consequenziale, ha dichiarato l’incostituzionalità del T.U. n. 327 del 2001, art. 40, commi 2 e 3, che, per la determinazione dell’indennità per l’esproprio di area non edificabile, adotta il criterio del valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell’area da espropriare.

Tale pronuncia va applicata nella specie, avendo i ricorrenti non solo preteso (infondatamente, per quanto sopra rilevato) di far valere la diversa destinazione dell’area, il che già avrebbe consentito di ritenere posto in discussione il criterio legale di stima, sì da impedire la definitiva ed immodificabile determinazione dell’indennità (e sul principio, vedi tra le ultime, la pronuncia 21386/2011), ma avendo altresì gli stessi esplicitamente reso oggetto di doglianza il profilo del valore del bene.

Ciò posto, mentre va disattesa la doglianza relativa alla mancata valutazione della trasformazione dell’area, che, per quanto già rilevato, deve ritenersi illegittima, va resa l’applicazione della citata pronuncia del Giudice delle Leggi; a riguardo, si richiamano i principi già espressi nella pronuncia di questa Corte, n. 21386 del 2001, che di seguito si riportano: "la Corte deve ribadire quanto già affermato dopo la menzionata sentenza 348/2007 della Corte costituzionale relativa ai suoli edificatori: che cioè per la stima dell’indennità torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente. E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass. 4602/1989; 3785/1988;

sez. un. 64/1986): anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione Europea,nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. L’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorieta.

E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): sempre che siano assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative". 2.4.- Il quinto motivo è fondato.

La stessa Corte d’appello ha evidenziato le deduzioni attoree, intese a far valere la diminuzione di valore della parte di terreno non espropriata, per poi, del tutto contraddittoriamente, negare l’esperibilità della domanda, a fronte della ipotizzata azionabilità della diversa domanda ex art. 44 del T.U..

Nè in ogni caso la Corte del merito avrebbe potute dalla ipotizzata "genericità" delle allegazioni degli attori far conseguire la reiezione, atteso che, come affermato da ultimo nella pronuncia 10634 del 2004(conforme alle precedenti 9096/03, 14007/02, 14640/01, tra le tante)" è principio costante che "Il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, è da considerare voce ricompresa nell’indennità di espropriazione, che per definizione riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua derivata dalla parziale ablazione del fondo (Cass. 21.11.2001, n. 14640;6.6.2003, n. 9096), sia essa agricola o edificabile (Cass. 5.6.2001, n. 7590), non essendo concepibili, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni (Cass. 10.3.2000, n. 2737). Ne consegue che qualora il giudice accerti, anche d’ufficio, che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed oggettivo (tale, cioè, da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale), e che il distacco di parte di esso influisca oggettivamente (con esclusione, dunque, di ogni valutazione soggettiva) in modo negativo sulla parte residua – e tale indagine resta nell’ambito della determinazione dell’indennità, venendo in considerazione il pregiudizio di quella porzione residua non a fini risarcitori, ma come parametro indennitario, e dunque non soggetto a particolare onere di allegazione – deve, per l’effetto, riconoscere al proprietario il diritto ad un’unica indennità, consistente nella differenza tra il giusto prezzo dell’immobile prima dell’occupazione ed il giusto prezzo (potenziale) della parte residua dopo l’occupazione dell’espropriante (Caa. 27.9.2002, n. 14007)". 2.6.- Il sesto motivo, per la parte relativa alla mancata valutazione del pregiudizio patito dalla parte residua del terreno come evidenziato dalla C.T.U., è da ritenersi ricompreso nel quinto motivo già esaminato, così come il profilo della valutazione del bene rientra nel 4 motivo; le doglianze sul mutamento d’uso e sulla concessione in sanatoria rientrano nei motivi 1 e 2, già esaminati.

3.1.- Conclusivamente, vanno accolti i motivi 4, 5 e 6, respinti gli altri, va cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e va rinviata la causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che provvederà a valutare il valore di mercato dell’area ablata, ritenuta come non edificabile e con la destinazione urbanistica, alla data del decreto di esproprio, di E2 con vincolo di rispetto stradale, ed a riscontrare i presupposti per il riconoscimento della componente indennitaria dovuta per il deprezzamento, ovvero se la parte espropriata e quella non espropriata dell’immobile, sul presupposto della situazione di inedificabilità, costituiscano un’unica entità funzionale ed economica, con l’effetto che il distacco della prima influisca (negativamente o positivamente) sul valore della seconda. Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi 4, 5 e 6 del ricorso, rigetta gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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