Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-03-2012, n. 4785 CE Formazione professionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato fra il 31-1 ed il 6-2-01 B. D. e gli altri soggetti indicati in epigrafe come appellanti convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Perugia l’Università degli Studi di Perugia, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonchè il Ministero della Sanità, quello dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica e quello della Pubblica Istruzione, e quello del Tesoro.

Premesso: a) di essersi iscritti, quali laureati in medicina e chinirgia, a diverse scuole di specializzazione presso la convenuta Università degli studi in anni accademici anteriori a quello 1991/92 senza ricevere la "adeguata remunerazione" che lo Stato Italiano avrebbe dovuto attribuire loro in attuazione della direttiva comunitaria 82/76/CEE (di modifica alle precedenti direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE, che erano state recepite con la L. 22 maggio 1978m n. 217), alla quale avrebbe dovuto adeguarsi entro il 31-12-92 ed alla quale invece aveva dato attuazione, con efficacia limitata agli iscritti ai corsi di specializzazione a partire dall’anno accademico 1991/92, solo col D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, stabilendo la remunerazione in discorso in lire 21.500.000 per l’anno 1991 e nel predetto importo incrementato secondo particolari criteri per gli anni successivi;assumendo: 2) che l’obbligo alla adeguata remunerazione dell’attività di formazione di cui alla predetta direttiva aveva, secondo quanto statuito nelle sentenze 25-2-99 e 3- 10-00 della Corte di Giustizia Europea relative all’interpretazione della direttiva 82/76/CEE, carattere di "precisione ed incondizionatezza", pur non identificando detta direttiva il debitore della remunerazione nè l’importo della stessa, sicchè la mancata attuazione era fonte di responsabilità per lo Stato.

Tutto ciò premesso chiedevano: a) la dichiarazione di equipollenza del proprio titolo di specializzazione a quello conseguito in Italia ed in ambito comunitario in attuazione della detta direttiva comunitaria; b) la condanna dell’amministrazione o dell’ente che il Tribunale avesse ritenuto legittimato al pagamento in favore di ciascuno di essi attori della somma corrispondente alla adeguata remunerazione di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 in forza di un’applicazione retroattiva di questa legge o, in alternativa, a titolo di risarcimento del danno.

L’Università e le amministrazione convenute si costituivano in giudizio (al posto del Ministero del Tesoro si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze) eccependo: il difetto di giurisdizione dell’AGO; il difetto di legittimazione passiva, la prescrizione; l’infondatezza nel merito della domanda.

Con sentenza 6/29-6-06 l’adito Tribunale, rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione dell’AGO, rigettava la domanda attorea in accoglimento dell’eccezione di prescrizione, condannando gli attori al rimborso delle spese processuali.

Avverso detta sentenza proponevano appello gli attori con citazione dei convenuti davanti a questa Corte.

Costituendosi in giudizio gli appellati il Ministero della Salute (successivamente Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali) il Ministero della Pubblica Istruzione e quello dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (successivamente il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca) chiedevano il rigetto dell’appello riproponendo comunque le amministrazioni diverse dall’Università le eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di infondatezza nel merito della domanda attorea.

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza 125/10 confermava la sentenza di primo grado in riferimento alla intervenuta prescrizione e rigettava le altre domande degli attori il reclamo.

Avverso la detta sentenza ricorrono i sovraindicati ricorrenti per cassazione sulla base di tre motivi cui resistono con separati controricorsi l’Università di Perugia, che propone altresì ricorso incidentale, e il Ministero dell’Istruzione.

MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo ricorso in cassazione si asserisce che la Corte d’appello sarebbe incorsa in violazione e falsa applicazione di norme di diritto (rispettivamente degli artt. 2946 e 2947 c.c.), poichè alla fattispecie risulterebbe applicabile non il termine quinquennale di prescrizione, bensì quello ordinario di dieci anni.

Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti asseriscono che la sentenza d’appello avrebbe erroneamente omesso di considerare che il termine prescrizionale inizierebbe a decorrere solo dalle sentenze della Corte di giustizia (Carbonari 25 febbraio 1999 e Gozza 3 ottobre 2000). Con tale motivo si sostiene anche, nell’ipotesi in cui si applichi il termine prescrizionale ordinario, la prescrizione non sarebbe maturata considerando quale dies a quo quello dell’8 agosto 1991, data di emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 di attuazione della direttiva.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la contraddittorietà della motivazione della sentenza d’appello, in quanto, dopo aver stabilito che la mancata attuazione della direttiva de qua configurerebbe un illecito permanente,ha poi concluso che tale permanenza sarebbe cessata al momento del conseguimento del diploma di specializzazione.

L’Università di Perugia con i quattro motivi di ricorso incidentale contesta la compensazione delle spese di giudizio.

Preliminarmente va esaminata la questione sollevata con la memoria dall’Amministrazione con la quale deduce che al caso di specie debba applicarsi la normativa sopravvenuta conseguente alla entrata in vigore della L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43 (entrata in vigore il 1 gennaio 2012) che stabilisce che "la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato".

La questione è già stata esaminata in una fattispecie del tutto analoga alla presente e ritenuta infondata da questa Corte (v. Cass. 1850/12) con argomentazioni che questo Collegio condivide.

La norma in questione non può infatti ritenersi che rivesta carattere interpretativo.

In primo luogo essa non contiene alcuna espressa indicazione circa una sua natura interpretativa.

In secondo luogo, la stessa introduce una nuova disciplina per la ipotesi di mancato adempimento da parte dello Stato di direttive comunitarie in relazione alla quale, in precedenza, non esisteva alcuna normativa specifica ma trovava applicazione la normativa generale in materia di inadempimento di obbligazioni ex lege, così come ritenuto dalle sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147/09 di cui si dirà in prosieguo, con i conseguenti riflessi applicativi in tema di termini prescrizionali.

Manca dunque nel caso di specie una precedente specifica norma in relazione alla quale la L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43 possa considerarsi come interpretativa.

La legge in questione non può infatti considerarsi interpretativa dell’art. 1173 c.c. che costituisce la norma generale in tema di obbligazioni di diritto civile (ex delicto, ex contractu, ex lege), ivi compresa quindi quella ex lege, poichè tale norma non risulta affatto investita dalla L. n 183 del 2011, art. 4.

L’articolo in questione appare, invece, avere introdotto una nuova disciplina peculiare per l’inadempimento delle direttiva comunitarie da parte dello Stato in particolare sotto il profilo della prescrizione.

Al livello interpretativo appare incerto se il termine "risarcimento del danno" riferito al mancato recepimento di direttive comunitarie sia inteso in senso specifico in riferimento ad una ipotesi di risarcimento extracontrattuale ex art. 2043 c.c. oppure sia inteso in senso generico in riferimento alle conseguenze derivanti dall’inadempimento di una obbligazione, ed anche, quindi, di una obbligazione ex lege il cui carattere risarcitorio riveste, come è noto, natura indennitaria, ed abbia così, in tale ultimo caso, lasciato del tutto impregiudicata ogni qualificazione delle violazioni in tema di trasposizione di direttive comunitarie.

Invero, quest’ultima soluzione appare preferibile in ragione del fatto che lo stesso articolo in esame ha precisato che "in ogni caso" la disciplina prescrizionale applicabile è quella dell’art. 2947 c.c.. In tal modo sembra doversi ritenere che il legislatore abbia lasciata impregiudicata la natura dell’obbligazione risarcitoria, per stabilire che comunque il termine prescrizionale applicabile è quello quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c. per il risarcimento da fatto illecito.

In tal senso la natura innovativa della norma risulta evidente poichè sostituisce, nel caso specifico della mancata trasposizione delle direttive, alla prescrizione decennale, prevista per la violazione di obbligazioni ex lege, quella quinquennale propria delle obbligazioni ex delicto, lasciando inalterata la prescrizione decennale per tutte le altre ipotesi di responsabilità per obbligazioni ex lege.

Stante dunque il carattere innovativo della norma di cui alla L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43, la stessa non può avere carattere retroattivo e, avendo applicazione solo per i casi futuri, non può trovare applicazione nel caso di specie in cui sia i fatti generatori dell’obbligazione che gli atti interruttivi della prescrizione si sono verificati prima della entrata in vigore della legge in questione.

Venendo all’esame del ricorso principale, il primo motivo di esso risulta fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente affermato che in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione "ex lege" dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione "ex lege" riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione. (Cass. sez. un 9147/09, successivamente ex plurimis Cass. 5842/10; Cass. 17682/11; Cass. 23558/11; Cass. 10813/11).

Nel caso di specie doveva pertanto applicarsi il termine prescrizionale decennale e non quello quinquennale.

Quanto al secondo ed al terzo, che, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente, gli stessi si rivelano fondati.

Va premesso che questa Corte ha già risolto la questione relativa al carattere auto esecutivo della direttiva 82/76 CEE escludendolo.

Si è infatti ritenuto che prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la L. n. 428 del 1990 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, le direttive CEE 362/75 e CEE 82/76, che prevedevano la adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione afferenti alle Facoltà di medicina che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l’intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti, non erano applicabili nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato, che – come precisato anche dalla Corte di Giustizia CE, sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97 – non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, nè l’importo di quest’ultima. (Cass. 6427/08).

Per quanto concerne poi la questione relativa al dies a quo, questa Corte in una fattispecie del tutto analoga ha ritenuto che "con riferimento alla vicenda degli specializzandi non contemplati dal D.Lgs. n. 257 del 1991, lo Stato Italiano, successivamente alla citata sentenza della Corte di Giustizia sul caso Carbonari, ha ritenuto – con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali dopo il 31 dicembre 1982 si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle note direttive e che non risultavano considerate dal detto D.Lgs. (cioè quelle degli ammessi alle specializzazioni per gli anni accademici dal 1983-1984 al 1990-1991), ma lo ha fatto considerando all’interno di tali categorie soltanto i soggetti destinatari di talune sentenze passate in giudicato del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Quindi, dando rilievo a particolarità fattuali del tutto estranee all’astrattezza del dovere di adempimento, sia pure riferito a categorie di soggetti in identica condizione: l’esistenza dei detti giudicati, infatti, era una circostanza di fatto del tutto estranea alle fattispecie astratte riguardo alle quali era mancato l’adempimento. (Cass. 17868/11).

"Ebbene, in base alle considerazioni che sinora esposte, si deve ritenere che l’entrata in vigore della suddetta norma, avvenuta il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (giusta l’art. 13), cioè il 27 ottobre 1999, abbia determinato una situazione nella quale la condotta di inadempimento dello Stato verso i soggetti esclusi, cioè quelli dei corsi di specializzazione per gli indicati anni accademici estranei ai giudicati richiamati dalla norma, fino a quel momento determinante con efficacia permanente l’obbligo risarcitorio, ha cessato di poter essere ragionevolmente intesa come tale. (Cass. 10813/11; Cass. 10814/11; Cass. 10815/11;

Cass. 17868/11). Con la conseguenza che, essendo divenuto l’obbligo risarcitorio apprezzabile come un effetto della condotta di inadempimento ormai definitivo, si deve ritenere che da tale pubblicazione sia iniziato il decorso della prescrizione ordinaria decennale ai sensi dell’art. 2046 c.c., della pretesa risarcitoria, dapprima invece non iniziato perchè la condotta di inadempimento era apprezzabile come condotta permanente. Ne discende che il diritto al risarcimento del danno da mancata adeguata remunerazione della frequenza della specializzazione degli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983-1991 si intende prescritto solo alla condizione che i medesimi non abbiano agito giudizialmente o non abbiano compiuto atti interruttivi del corso della prescrizione decennale entro il 27 ottobre 2009, salvo atti interruttivi stragiudiziali". (Cass. 17868/11; Cass. 1850/12).

Il ricorso principale va, pertanto, accolto. Resta assorbito il ricorso incidentale dovendosi il giudice del rinvio pronunciarsi sulla liquidazione delle spese dell’intero giudizio in ragione dell’esito finale della vertenza. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato (e cioè che nel caso di specie va applicata la prescrizione decennale con decorrenza dal 27 ottobre 1999) e che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo ricorso in cassazione si asserisce che la Corte d’appello sarebbe incorsa in violazione e falsa applicazione di norme di diritto (rispettivamente degli artt. 2946 e 2947 c.c.), poichè alla fattispecie risulterebbe applicabile non il termine quinquennale di prescrizione, bensì quello ordinario di dieci anni.

Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti asseriscono che la sentenza d’appello avrebbe erroneamente omesso di considerare che il termine prescrizionale inizierebbe a decorrere solo dalle sentenze della Corte di giustizia (Carbonari 25 febbraio 1999 e Gozza 3 ottobre 2000). Con tale motivo si sostiene anche, nell’ipotesi in cui si applichi il termine prescrizionale ordinario, la prescrizione non sarebbe maturata considerando quale dies a quo quello dell’8 agosto 1991, data di emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 di attuazione della direttiva.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la contraddittorietà della motivazione della sentenza d’appello, in quanto, dopo aver stabilito che la mancata attuazione della direttiva de qua configurerebbe un illecito permanente,ha poi concluso che tale permanenza sarebbe cessata al momento del conseguimento del diploma di specializzazione.

L’Università di Perugia con i quattro motivi di ricorso incidentale contesta la compensazione delle spese di giudizio.

Preliminarmente va esaminata la questione sollevata con la memoria dall’Amministrazione con la quale deduce che al caso di specie debba applicarsi la normativa sopravvenuta conseguente alla entrata in vigore della L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43 (entrata in vigore il 1 gennaio 2012) che stabilisce che "la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato".

La questione è già stata esaminata in una fattispecie del tutto analoga alla presente e ritenuta infondata da questa Corte (v. Cass. 1850/12) con argomentazioni che questo Collegio condivide.

La norma in questione non può infatti ritenersi che rivesta carattere interpretativo.

In primo luogo essa non contiene alcuna espressa indicazione circa una sua natura interpretativa.

In secondo luogo, la stessa introduce una nuova disciplina per la ipotesi di mancato adempimento da parte dello Stato di direttive comunitarie in relazione alla quale, in precedenza, non esisteva alcuna normativa specifica ma trovava applicazione la normativa generale in materia di inadempimento di obbligazioni ex lege, così come ritenuto dalle sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147/09 di cui si dirà in prosieguo, con i conseguenti riflessi applicativi in tema di termini prescrizionali.

Manca dunque nel caso di specie una precedente specifica norma in relazione alla quale la L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43 possa considerarsi come interpretativa.

La legge in questione non può infatti considerarsi interpretativa dell’art. 1173 c.c. che costituisce la norma generale in tema di obbligazioni di diritto civile (ex delicto, ex contractu, ex lege), ivi compresa quindi quella ex lege, poichè tale norma non risulta affatto investita dalla L. n 183 del 2011, art. 4.

L’articolo in questione appare, invece, avere introdotto una nuova disciplina peculiare per l’inadempimento delle direttiva comunitarie da parte dello Stato in particolare sotto il profilo della prescrizione.

Al livello interpretativo appare incerto se il termine "risarcimento del danno" riferito al mancato recepimento di direttive comunitarie sia inteso in senso specifico in riferimento ad una ipotesi di risarcimento extracontrattuale ex art. 2043 c.c. oppure sia inteso in senso generico in riferimento alle conseguenze derivanti dall’inadempimento di una obbligazione, ed anche, quindi, di una obbligazione ex lege il cui carattere risarcitorio riveste, come è noto, natura indennitaria, ed abbia così, in tale ultimo caso, lasciato del tutto impregiudicata ogni qualificazione delle violazioni in tema di trasposizione di direttive comunitarie.

Invero, quest’ultima soluzione appare preferibile in ragione del fatto che lo stesso articolo in esame ha precisato che "in ogni caso" la disciplina prescrizionale applicabile è quella dell’art. 2947 c.c.. In tal modo sembra doversi ritenere che il legislatore abbia lasciata impregiudicata la natura dell’obbligazione risarcitoria, per stabilire che comunque il termine prescrizionale applicabile è quello quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c. per il risarcimento da fatto illecito.

In tal senso la natura innovativa della norma risulta evidente poichè sostituisce, nel caso specifico della mancata trasposizione delle direttive, alla prescrizione decennale, prevista per la violazione di obbligazioni ex lege, quella quinquennale propria delle obbligazioni ex delicto, lasciando inalterata la prescrizione decennale per tutte le altre ipotesi di responsabilità per obbligazioni ex lege.

Stante dunque il carattere innovativo della norma di cui alla L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43, la stessa non può avere carattere retroattivo e, avendo applicazione solo per i casi futuri, non può trovare applicazione nel caso di specie in cui sia i fatti generatori dell’obbligazione che gli atti interruttivi della prescrizione si sono verificati prima della entrata in vigore della legge in questione.

Venendo all’esame del ricorso principale, il primo motivo di esso risulta fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente affermato che in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione "ex lege" dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione "ex lege" riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione. (Cass. sez. un 9147/09, successivamente ex plurimis Cass. 5842/10; Cass. 17682/11; Cass. 23558/11; Cass. 10813/11).

Nel caso di specie doveva pertanto applicarsi il termine prescrizionale decennale e non quello quinquennale.

Quanto al secondo ed al terzo, che, tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente, gli stessi si rivelano fondati.

Va premesso che questa Corte ha già risolto la questione relativa al carattere auto esecutivo della direttiva 82/76 CEE escludendolo.

Si è infatti ritenuto che prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la L. n. 428 del 1990 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, le direttive CEE 362/75 e CEE 82/76, che prevedevano la adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione afferenti alle Facoltà di medicina che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l’intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti, non erano applicabili nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato, che – come precisato anche dalla Corte di Giustizia CE, sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97 – non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, nè l’importo di quest’ultima. (Cass. 6427/08).

Per quanto concerne poi la questione relativa al dies a quo, questa Corte in una fattispecie del tutto analoga ha ritenuto che "con riferimento alla vicenda degli specializzandi non contemplati dal D.Lgs. n. 257 del 1991, lo Stato Italiano, successivamente alla citata sentenza della Corte di Giustizia sul caso Carbonari, ha ritenuto – con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali dopo il 31 dicembre 1982 si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle note direttive e che non risultavano considerate dal detto D.Lgs. (cioè quelle degli ammessi alle specializzazioni per gli anni accademici dal 1983-1984 al 1990-1991), ma lo ha fatto considerando all’interno di tali categorie soltanto i soggetti destinatari di talune sentenze passate in giudicato del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Quindi, dando rilievo a particolarità fattuali del tutto estranee all’astrattezza del dovere di adempimento, sia pure riferito a categorie di soggetti in identica condizione: l’esistenza dei detti giudicati, infatti, era una circostanza di fatto del tutto estranea alle fattispecie astratte riguardo alle quali era mancato l’adempimento. (Cass. 17868/11).

"Ebbene, in base alle considerazioni che sinora esposte, si deve ritenere che l’entrata in vigore della suddetta norma, avvenuta il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (giusta l’art. 13), cioè il 27 ottobre 1999, abbia determinato una situazione nella quale la condotta di inadempimento dello Stato verso i soggetti esclusi, cioè quelli dei corsi di specializzazione per gli indicati anni accademici estranei ai giudicati richiamati dalla norma, fino a quel momento determinante con efficacia permanente l’obbligo risarcitorio, ha cessato di poter essere ragionevolmente intesa come tale. (Cass. 10813/11; Cass. 10814/11; Cass. 10815/11;

Cass. 17868/11). Con la conseguenza che, essendo divenuto l’obbligo risarcitorio apprezzabile come un effetto della condotta di inadempimento ormai definitivo, si deve ritenere che da tale pubblicazione sia iniziato il decorso della prescrizione ordinaria decennale ai sensi dell’art. 2046 c.c., della pretesa risarcitoria, dapprima invece non iniziato perchè la condotta di inadempimento era apprezzabile come condotta permanente. Ne discende che il diritto al risarcimento del danno da mancata adeguata remunerazione della frequenza della specializzazione degli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983-1991 si intende prescritto solo alla condizione che i medesimi non abbiano agito giudizialmente o non abbiano compiuto atti interruttivi del corso della prescrizione decennale entro il 27 ottobre 2009, salvo atti interruttivi stragiudiziali". (Cass. 17868/11; Cass. 1850/12).

Il ricorso principale va, pertanto, accolto. Resta assorbito il ricorso incidentale dovendosi il giudice del rinvio pronunciarsi sulla liquidazione delle spese dell’intero giudizio in ragione dell’esito finale della vertenza. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato (e cioè che nel caso di specie va applicata la prescrizione decennale con decorrenza dal 27 ottobre 1999) e che provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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