Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-03-2012, n. 4783 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 28 agosto 2010 ha determinato l’indennità dovuta dal Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Salerno alla s.r.l. Delucapack per l’espropriazione (con decreto del 27 febbraio 2006) di un terreno ubicato nella via (OMISSIS), compreso nel locale agglomerato ASI (in catasto al fg.52, part.233), in Euro 1.008.600, in quanto: a) l’immobile era costituito da una superficie di mq. 1.288 occupata da fabbricati e da altra superficie di mq. 2.398 avente destinazione edificatoria in relazione alla quale il c.t.u. aveva accertato con il metodo sintetico-comparativo un valore di Euro 149 mq. Mentre il capannone industriale aveva il valore di Euro 440 mq., e gli uffici di Euro 750 mq.; b) per le costruzioni realizzate abusivamente, si doveva considerare la sola area di sedime, ancora una volta recependosi le stime del consulente non scalfite dalle contestazioni delle parti.

Per la cassazione della sentenza il Consorzio ha proposto ricorso per due motivi; cui resiste la società con controricorso, con il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per due motivi.

Motivi della decisione

2. Con il primo motivo del ricorso principale, il Consorzio, deducendo violazione del T.U. sulle espr. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 37, L. n. 448 del 1998, art. 63, L.R. Campania n. 16 del 1998, artt. 10 e 12, censura la sentenza impugnata per i valori elevati attribuiti agli immobili espropriati, senza considerare:

a)che gli stessi rientravano in zona D4, destinata a piccola industria ed artigianato, per cui non potevano ignorarsi i contratti di vendita tra privati e società; b) che per contro l’indagine comparativa non poteva limitarsi alle stime operate in trasferimenti conseguenti ad esecuzione forzata o a fallimenti, peraltro relativi a fondi non sempre omogenei nonchè ad epoche diverse, per poi adeguarle tramite gli indici ISTAT alla data del decreto di esproprio; c) che la stima doveva essere seguita su un complesso industriale e non su di un complesso immobiliare, tenendo conto dei vincoli cui lo stesso era soggetto, ricavabili dalle disposizioni legislative sui consorzi ASI che limitano il potere di disposizione dei singoli assegnatari.

Con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89 si duole che la decisione non abbia applicato la decurtazione del 25%, essendo l’espropriazione finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, specificamente previsti dalla L.R. Campania n. 16 del 1998, art. 4 che ha attribuito ai Consorzi il potere di promuovere le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività imprenditoriali nel settore dell’industria e dei servizi. Per converso la società con il primo motivo del ricorso incidentale lamenta che non le sia stata attribuita la maggiorazione del 10% concessa dalla norma allorquando la cessione volontaria dell’immobile è resa impossibile o non conveniente dall’incongruità dell’indennità offerta, comunque inferiore all’80% di quella giudizialmente accertata.

Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 37 del T.U., nonchè degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. censura la decisione per non aver incluso nella valutazione dei fabbricati anche le porzioni interessate da interventi di ordinaria manutenzione rientranti nella circolare 1918/1977 del Min. Lav. pubblici, come suggerito dal c.t.u., le cui conclusioni, invece, sul punto erano state disattese senza alcuna motivazione, e comportavano un aumento dell’indennità nella misura di Euro 85.225. 3.Le contrapposte censure sono fondate nei limiti appresso precisati.

Il T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001 ha disciplinato l’espropriazione di immobili – e non di complessi industriali, come erroneamente ritenuto dal Consorzio – recependo interamente le principali indicazioni offerte dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, nonchè dalla consolidata giurisprudenza di guesta Corte, in merito alla necessità di una loro ricognizione legale ai fini dell’applicazione del criterio di stima dell’indennità dovuta ai proprietari in forza del precetto contenuto nell’art. 42 Cost.:

diverso a seconda che il suo oggetto sia costituito da un’area edificatoria (art. 37), da un’area non edificabile (art. 40) o, infine da un’area già (legalmente) edificata (art. 38).

La prima conseguenza di tale tripartizione è che se l’espropriazione ha per oggetto un complesso immobiliare costituito, come nella fattispecie, da un terreno edificabile latistante un edificio, o un complesso di edifici (a meno che questi ultimi non siano completamente privi di autonomia funzionale ovvero di nessuna consistenza) devono adottarsi differenziati criteri indennitari:

quello dell’art. 37 come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89 per le aree edificabili senza che abbia rilievo neppure il vincolo pertinenziale o meno delle stesse, posto che le pertinenze, ancorchè funzionalmente collegate alla cosa principale, conservano la propria individualità fisica e giuridica, con conseguente applicabilità della disciplina ad esse inerente;e quello dell’art. 38 per i fabbricati, in base al quale l’indennità è determinata in misura corrispondente al valore venale dell’edificato o del fabbricato. Pertanto, siccome nel caso concreto, la stessa Corte di appello ha accertato che l’espropriazione riguarda, anzitutto, una serie di costruzioni insistenti (all’epoca del decreto ablativo) su di un’area di mq. 1288 (pag.3), non aveva senso calcolare il valore venale per mq. di questa, ed aggiungervi quella dei vari piani in cui si articolavano i fabbricati:posto che una volta realizzata la costruzione, il suolo in essa incorporato perde la propria individualità in quanto a questa connesso, e costituente parte integrante di un tutto che non può sussistere senza di esso e non è, quindi, separatamente valutabile. Nè era legittimo trame il valore dai medesimi atti di comparazione utilizzati per stabilire quello delle aree edificabili latistanti: essendosi in presenza di ben determinate opere edilizie, aventi un proprio valore ed un proprio regime giuridico, in cui anche il suolo sottostante è compreso. Sicchè conclusivamente ciascuno dei fabbricati (e non anche il "complesso industriale" tramite essi realizzato, non oggetto di espropriazione) doveva essere valutato nella sua complessiva consistenza, per i volumi che esso esprime, fuori e sotto terra:in tale valutazione inglobandosi anche l’area di sedime, che non ha autonoma utilizzabilità, e dovendo l’apprezzamento riflettere il valore dell’intera cosa composta, costituente ormai un’entità economica autonoma, che fruisce inscindibilmente del criterio indennitario collegato al suo complessivo valore edilizio: perciò da accertare, una volta che la sentenza impugnata ha ritenuto di avvalersi del metodo cd. sintetico-comparativo, attraverso il prezzo di mercato di fabbricati omogenei non solo per struttura e destinazione, ma anche per ubicazione urbanistica (Cfr.

Cass.599/2008; 5528/2006; 9372/2005; 12651/2002).

4. L’art. 38, comma 2, poi, stabilisce che ove la costruzione ovvero parte di essa sia stata realizzata in difformità della concessione edilizia, l’indennità è calcolata tenendo conto della sola area di sedime in base all’art. 37, ovvero tenendo conto della sola parte della costruzione realizzata legittimamente; per cui avendo la sentenza impugnata riferito che alcune delle costruzioni erano state interessate da modifiche non autorizzate, occorreva anzitutto accertare non certamente al lume della menzionata circolare del Ministero dei L.P. n. 1918 del 1977, ma in ottemperanza alle disposizioni contenute nel D.p.R. n. 380 del 2001, artt. 6, 10 segg. in materia edilizia quali e quante di esse erano consentite o meno dalla menzionata normativa: dato che in quest’ultimo caso la modifica doveva essere considerata tamquam non esset e la costruzione apprezzata senza tener conto di essa. Mentre soltanto nel caso in cui l’intera costruzione o parte di essa (capannone, cabina elettrica ecc.) fosse risultata abusiva poteva trovare applicazione la prima parte del menzionato il comma 2, art. 38 per il quale doveva essere stimata la sola area di sedime.

Infine, nessun rilievo può avere l’astratta possibilità di sanatoria di taluna o di tutte le difformità edilizie riscontrate dal c.t.u., dedotta dalla società, posto che l’obbligo di compiere il relativo accertamento è subordinato dall’art. 38, comma 2 bis alla "pendenza" di "una procedura finalizzata alla sanatoria della costruzione"; che nel caso nè la decisione impugnata nè alcuna delle parti hanno prospettato. Per cui agli accertamenti indicati dovrà provvedere il giudice di rinvio per determinare la quota di indennità inerente alla superficie costruita prescindendo dalla sopravvenuta normativa della L. n. 244 del 2007, art. 2, invocata da entrambe le parti (per le disposizioni di interesse di ciascuna), applicabile esclusivamente alle aree edificabili, già oggetto della declaratoria di incostituzionalità di cui alla decisione 348/2007 della Consulta, e non alla stima dei fabbricati.

5. Per quanto riguarda l’ulteriore superficie di terreno estesa mq.

2.398, di cui è incontestata la destinazione edificatoria, anche perchè inclusa in zona D4 (piccola industria, artigianato, attività terziarie), è anzitutto esatto, che per il combinato disposto degli artt. 32 e 37 del T.U. il giudice di merito deve tener conto dei vincoli conformativi apposti dagli strumenti urbanistici indicati nel comma 4, art. 37; ma come risultava già dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, come interpretato dalla Corte Costituzionale (sent.442/1993), nonchè dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass.sez.un. 173/2001 e succ.), ora recepito dal comma 1, art. 32 e dal comma 3, art. 37, T.U., deve trattarsi di vincoli e limitazioni "non aventi natura espropriativa" insistenti sul "bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio": in quanto apposti direttamente dalla legge ovvero dagli strumenti urbanistici indicati dal comma 4, art. 37, cui la norma ha aggiunto quelli provenienti dai piani attuativi tuttavia soltanto "per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi" allorchè previsti dalla pianificazione generale senza tuttavia preventiva determinazione ed individuazione della zona specifica deputata a ricevere le menzionate destinazioni : come esemplificativamente si verifica proprio per quelle destinate ad insediamenti produttivi indicate nella pianificazione generale soltanto per estensione ovvero in base ad indici parametrici;che necessita di essere completata ed integrata onde poter ricevere concreta attuazione proprio dai piani di terzo livello. Mentre nessun riferimento la normativa consente a vincoli e limitazioni successivamente apposti sull’opera pubblica o di interesse pubblico realizzanda in conseguenza dell’espropriazione, dalle leggi che la riguardano, come preteso dal Consorzio; il quale ha inutilmente elencato tutti quelli derivanti dal PRTC e dal Regolamento ASI per il complesso industriale dopo la sua costruzione e successiva assegnazione ai singoli beneficiari del piano, nonchè quelli derivanti dalla Convenzione stipulata dal Consorzio con comune e provincia relativa alle assegnazioni che renderebbe gli immobili espropriati "extra commercium" (pag.13 segg. ric.): che se illegittimamente estesa alle precedenti (e già realizzate) espropriazioni queste renderebbe del tutto incompatibili con i precetti contenuti nell’art. 42 Cost. e art. 32 del T.U. secondo cui invece "l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene… alla data dell’emanazione del decreto di esproprio".

Conclusivamente, il solo vincolo del quale doveva tenersi conto per la determinazione del valore venale dell’area in questione era proprio quello conformativo proveniente dalla sua ubicazione nella menzionata zona D4, che doveva orientare e nel contempo limitare le ricerche della Corte di appello con il prescelto metodo sintetico- comparativo per accertarne il prezzo di mercato in comune commercio alla data suddetta.

La sentenza impugnata, invece, ha attribuito al terreno espropriato il valore di Euro 149 mq. perchè in tale misura accertato dal c.t.u. sulla base di atti di comparazione tratti esclusivamente da procedure di esecuzione forzata e fallimentari non altrimenti identificabili.

Per cui è incorsa anche nel vizio di omessa motivazione, denunciato dal consorzio, il quale ricorre non solo quando il giudice abbia completamente omesso di esaminare una questione proposta, ma anche quando sia reso impossibile il controllo del criterio logico in base al quale egli ha affermato il proprio convincimento;e, perciò, sussiste quando detto giudice si sia limitato ad affermazioni apodittiche non corredate dall’indicazione degli elementi a sostegno della decisione.

A questa situazione è, peraltro, equiparabile quella in cui la sentenza argomenta sulla base di elementi di prova menzionati in modo tale da presupporre che essi siano già conosciuti, perchè li fa oggetto di mero richiamo, invece che di una descrizione sufficiente a dar conto della loro rilevanza: posto che anche in tal caso non è ricostruibile l’iter logico attraverso cui si è formato il convincimento del giudice e non è quindi esercitabile il controllo della sufficienza e coerenza delle ragioni che lo sorreggono.

D’altra parte, è vero che il giudice, quando accoglie le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, non è tenuto a confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni delle parti. Ma è pur vero che, quando le parti muovano alla consulenza argomentati rilievi e contrappongano specifici elementi di comparazione non presi in esame dal consulente, come nel caso ha fatto il consorzio che ha riportato e riproposto tutte le proprie contestazioni rivolte a ciascun parametro utilizzato dall’ausiliario, il giudice di merito non poteva lasciarle senza alcuna risposta anche dopo la seconda consulenza disposta e comunque disattenderle con generiche e non controllabili affermazioni di adesione agli accertamenti suddetti, ma era tenuto ad una puntuale e dettagliata motivazione che ne dimostri le ragioni dell’infondatezza: ed in particolare quelle per le quali dovevano essere preferiti elementi di comparazione riguardanti terreni non aventi una disciplina urbanistica comparabile con quelli espropriati, e per converso trascurati quelli offerti dal consorzio riguardanti atti anche riferibili ad altre espropriazioni per p.u. attuate nella medesima zona.

6. Al riguardo la Corte deve ribadire nuovamente che siccome il criterio di stima cd. sintetico-comparativo privilegiato dal giudice di merito si risolve nell’attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili "omogenei", con riferimento non solo agli elementi materiali – quali la natura, la posizione, la consistenza morfologica e simili – e temporali ma anche e soprattutto alla sua condizione giuridica urbanistica all’epoca del decreto ablativo, occorreva che la Corte di appello indicasse gli elementi di comparazione utilizzati e che ne documentasse la rappresentatività del mercato immobiliare dei terreni inclusi nella zona D4 delimitata dalla destinazione ASIrin cui è compreso quello espropriato (Cass.18254/2004; 10265/2004; 16710/2003). Senza considerare che non è consentito invocare, da un lato, il metodo suddetto, ma poi, in realtà disapplicarlo, adeguando i prezzi rinvenuti negli atti di comparazione (con riferimento ad un periodo temporale) in base agli indici ISTAT per il rilievo del costo della vita: e cioè con parametri aventi tutt’altra funzione, avendo la giurisprudenza di legittimità ripetutamente affermato che il mercato immobiliare risente, invece, di variabili macroeconomiche diverse dalla fluttuazione della moneta nel tempo, anche se a questa parzialmente legate, e di condizioni microeconomiche dettate dallo sviluppo edilizio di una determinata zona, e queste sono completamente avulse dal valore della moneta. E che l’andamento del mercato immobiliare, dunque, non può essere ricostruito in base alle modificazioni nel tempo del valore della moneta, ma richiede un’indagine specifica nel settore, anche perchè gli indici Istat riflettono le variazioni dei pressi al consumo, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato degli immobili (Cass. 14031/2000; 8706/2006; 24857/2006; 3189/2008).

Ad una nuova valutazione anche del terreno edificatorio, in base ai principi esposti, provvedere, dunque il giudice di rinvio.

7. Infondati sono infine: a)l’ultima censura del consorzio, per cui rientrando l’espropriazione fra quelle "finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale", l’indennità, pur calcolata in base al valore venale del fondo, doveva essere ridotta del venticinque per cento, come previsto dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, n. 1; b) il primo motivo del ricorso incidentale con cui la società si duole che non sia stata apportata alla stima l’aumento del 10% previsto dalla medesima norma allorchè l’indennità offerta dall’espropriante è inferiore agli 8/10 di quella determinata giudizialmente. Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato, anche a sezioni unite: a)che dopo la declaratoria di incostituzionalità dei primi due commi, art. 5 bis ad opera della sentenza 348/2007 della Corte Costituzionale è tornato a trovare applicazione ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, il criterio del valore venale del bene previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, sostanzialmente corrispondente con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU;

b)che non è invocabile neppure lo ius superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89 perchè la norma intertemporale di cui al successivo comma 90 prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di espropriazione solo con riferimento "ai procedimenti espropriativi" e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un.5269/2008; 22756/2009, nonchè 21389/2011). Ha evidenziato altresì la corrispondenza di questa opzione ermeneutica con la giurisprudenza della Corte Edu, nonchè della Grande Chambre della Corte, la quale, pur non escludendo che in materia civile una nuova normativa possa avere efficacia retroattiva, ha ripetutamente considerato lecita l’applicazione dello ius superveniens in causa soltanto in presenza di "imperieux motifs d’interet general"; per cui siccome nel caso il giudizio è pendente da epoca antecedente alla sentenza 348/07 correttamente la Corte di appello ha sostanzialmente applicato non già il criterio introdotto dalla menzionata L. n. 244 del 2007 (con il sistema delle riduzioni e delle maggiorazioni dalla stessa riproposto), ma la regola generale dell’art. 39 della legge fondamentale ribadita dall’art. 32 del T.U. per la quale "la indennità dovuta all’espropriato consisterà nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compravendita": anche per il principio più volte ricordato dalla Corte Costituzionale che sul giudice comune grava l’obbligo di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia permesso dal suo tenore.

8. Conclusivamente il Collegio deve cassare la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinviare alla medesima Corte di appello di Salerno, che in diversa composizione provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso principale e, per quanto di ragione il secondo dell’incidentale, rigetta tutti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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