Corte Costituzionale sentenza n. 238 SENTENZA 22 ottobre 2014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SENTENZA

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 1 della
legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni
Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945) e dell’art. 1
[recte: art. 3] della legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della
Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle
immunita’ giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New
York il 2 dicembre 2004, nonche’ norme di adeguamento
dell’ordinamento interno), promossi dal Tribunale di Firenze con tre
ordinanze del 21 gennaio 2014 rispettivamente iscritte ai nn. 84, 85
e 113 del registro ordinanze 2014, e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 23 e 29, prima serie speciale,
dell’anno 2014.
Visti gli atti di costituzione di S.F., di A.M. ed altri e di
B.D., nonche’ gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2014 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
uditi l’avvocato Joachim Lau per S.F., per A.M. ed altri e per
B.D. e l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con tre distinte ordinanze di identico tenore, adottate il 21
gennaio 2014 (reg. ord. n. 84, n. 85 e n. 113 del 2014), il Tribunale
di Firenze ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale: 1)
della «norma prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento,
ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost.», della consuetudine
internazionale accertata dalla Corte internazionale di giustizia
(CIG) nella sentenza del 3 febbraio 2012, nella parte in cui nega la
giurisdizione, nelle azioni risarcitorie per danni da crimini di
guerra commessi, almeno in parte, nello Stato del giudice adito, iure
imperii dal Terzo Reich; 2) dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957,
n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San
Francisco il 26 giugno 1945), nella parte in cui, recependo l’art. 94
dello Statuto dell’ONU, obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi
alla pronuncia della CIG quando essa ha stabilito l’obbligo del
giudice italiano di negare la propria giurisdizione nella cognizione
della causa civile di risarcimento del danno per crimini contro
l’umanita’, commessi iure imperii dal Terzo Reich, almeno in parte
nel territorio italiano; 3) dell’art. 1 (recte: art. 3) della legge
14 gennaio 2013 n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla
Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunita’ giurisdizionali degli
Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonche’
norme di adeguamento dell’ordinamento interno), nella parte in cui
obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG
anche quando essa ha stabilito l’obbligo del giudice italiano di
negare la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile
di risarcimento del danno per crimini contro l’umanita’, commessi
iure imperii dal Terzo Reich nel territorio italiano, in riferimento
agli artt. 2 e 24 della Costituzione.
Le richiamate norme vengono censurate in riferimento agli artt. 2
e 24 Cost., in quanto, impedendo l’accertamento giurisdizionale e
l’eventuale condanna delle gravi violazioni dei diritti fondamentali
subite dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanita’,
perpetrati sul territorio dello Stato italiano, investito
dall’obbligo di tutela giurisdizionale, ma commessi da altro Stato,
anche se nell’esercizio dei poteri sovrani (iure imperii),
contrasterebbero con il principio di insopprimibile garanzia della
tutela giurisdizionale dei diritti, consacrato nell’art. 24 Cost., il
quale e’ principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano
ed in quanto tale costituisce limite all’ingresso sia delle norme
internazionali generalmente riconosciute, ex art. 10, primo comma,
Cost., che delle norme contenute in trattati istitutivi di
organizzazioni internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11
Cost. o derivanti da tali organizzazioni.
1.1.- Il giudice rimettente premette di essere stato adito: in
riferimento al primo giudizio, dal signor F. S. per ottenere la
condanna della Repubblica federale tedesca al risarcimento dei danni
dal medesimo patiti nel corso della seconda guerra mondiale per
essere stato catturato nel territorio italiano da forze militari
tedesche e deportato a Mauthausen in dato 8 giugno 1944, dove fu
liberato solo il 25 giugno 1945, dopo innumerevoli sofferenze; in
riferimento al secondo giudizio, dai legittimi eredi del signor L. C.
per ottenere la condanna della Repubblica federale tedesca al
risarcimento dei danni dal medesimo patiti nel corso della seconda
guerra mondiale per essere stato catturato nel territorio italiano da
forze militari tedesche l’8 settembre 1943, deportato in Germania per
essere adibito al lavoro forzato, ucciso in uno dei lager di
Kahla-Thuringa in Germania e, secondo la Croce rossa internazionale,
sepolto in una fossa comune con seimila prigionieri, ridotti in
schiavitu’; in relazione al terzo giudizio, dal sig. D. B., per
ottenere la condanna della Repubblica federale tedesca al
risarcimento dei danni dal medesimo patiti nel corso della seconda
guerra mondiale per essere stato catturato nel territorio italiano da
forze militari tedesche il 9 settembre 1943 a Verona, nell’ospedale
dove era ricoverato, dal quale fu deportato in Germania per essere
adibito al lavoro forzato, segregato nel campo di concentramento di
Zeitz, uno dei sottolager di Buchenwald, prima di essere trasferito
nel campo di Hartmannsdorf Stammlager IVF e poi ancora a Granschutz
dove veniva liberato dagli alleati alla fine della guerra.
Il rimettente ricorda che la Repubblica federale di Germania,
costituitasi nei giudizi, eccepiva il difetto di giurisdizione
dell’autorita’ giudiziaria italiana e chiedeva al giudice di dare
attuazione alla sentenza del 3 febbraio 2012 della CIG, non
accettando il contraddittorio sul merito della vicenda. Pertanto, il
giudice rimettente sollevava la predetta questione di legittimita’
costituzionale delle norme che gli imponevano di declinare la
giurisdizione.
1.2.- Il Tribunale di Firenze osserva che la questione oggetto
dei giudizi consiste nel valutare se l’ordinamento giuridico entro il
quale il giudice italiano e’ chiamato a decidere le controversie, nel
conformarsi alle norme dell’ordinamento giuridico internazionale
generalmente riconosciute, imponga al giudice dello Stato dove il
crimine internazionale e’ stato commesso di negare l’accesso al
giudizio civile risarcitorio di accertamento e condanna, anche quando
sul proprio territorio sia stato leso un diritto fondamentale,
mediante un crimine di guerra e contro l’umanita’, ancorche’ ad opera
di uno Stato estero nell’esercizio di poteri sovrani.
Dopo aver precisato che non e’ in contestazione la natura di
crimine internazionale dei fatti oggetto di causa e la loro
potenzialita’ lesiva di diritti fondamentali, il rimettente ricorda
che, prima della sentenza della CIG, la Corte di cassazione aveva
affermato che l’immunita’ dalla giurisdizione civile degli Stati
esteri riconosciuta dal diritto internazionale non ha carattere
assoluto, ma puo’ trovare un limite anche quando lo Stato operi
nell’esercizio della sua sovranita’, ove le condotte integrino
crimini contro l’umanita’, tali da configurare un crimine
internazionale (sentenze n. 5044 del 2004 e n. 14202 del 2008).
Il giudice rimettente rileva, tuttavia, che, a seguito della
pronuncia emessa dalla CIG in data 3 febbraio 2012, secondo la quale
«il diritto consuetudinario internazionale continu[a] a prevedere che
ad uno Stato sia riconosciuta l’immunita’ in procedimenti per
illeciti presumibilmente commessi sul territorio di un altro Stato
dalle proprie forze armate ed altri organismi statali nel corso di un
conflitto armato», anche allorquando lo si accusi di gravi violazioni
delle leggi internazionali sui diritti umani, la Corte di cassazione,
mutando orientamento sulla scia della predetta decisione
internazionale, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
italiano rilevando che «la tesi inaugurata dalla Cass. n. 5044 del
2004 e’ rimasta isolata e non e’ stata convalidata dalla comunita’
internazionale di cui la CIG e’ massima espressione, sicche’ il
principio (…) non puo’ essere portato ad ulteriori applicazioni»
(sentenze n. 32139 del 2012 e n. 4284 del 2013).
A conferma di tale orientamento sarebbe, poi, sopraggiunta la
legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla
Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunita’ giurisdizionali degli
Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004 nonche’
norme di adeguamento dell’ordinamento interno) che all’art. 3
contiene l’espressa esclusione della giurisdizione italiana per i
crimini di guerra commessi dal Terzo Reich anche per i procedimenti
in corso.
Il Tribunale di Firenze precisa che la CIG ha ritenuto di non
dover valutare l’interferenza tra la tutela del diritto fondamentale
della persona umana ed il principio di sovranita’ dello Stato
chiamato a rispondere del fatto illecito, escludendo l’esistenza di
un conflitto tra norme di ius cogens materiali e norme (come
l’immunita’) ritenute formali o processuali in quanto operanti su
piani differenti. Pertanto il rimettente rileva che, se, da una
parte, al giudice italiano e’ sottratta l’interpretazione della
valenza imperativa ed inderogabile dello ius cogens, ambito nel quale
la Corte di giustizia ha una competenza assoluta ed esclusiva, non
puo’ negarsi la sua competenza a verificare se l’adozione
indifferenziata di tale protezione in favore dei singoli Stati ed in
danno dei singoli individui gravemente lesi sia conforme alla
Costituzione italiana ed alle sue fonti integrative anche
sovranazionali; se cioe’ l’apertura verso ordinamenti diversi,
contenuta negli artt. 10, 11 e 117 Cost. sia priva o meno di filtri
selettivi in grado di condizionare, nel caso in esame, la decisione
della pregiudiziale sollevata dalla Repubblica federale di Germania.
Ad avviso del rimettente, e’ dubbio che l’immunita’ degli Stati,
in specie fra quelli dell’Unione europea, possa ancora consentire,
ancorche’ solo per effetto di consuetudini internazionali anteriori
all’entrata in vigore della Costituzione e della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, l’esclusione incondizionata della
tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali violati da crimini di
guerra e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della
persona.
Posto che e’ la stessa CIG a riconoscere che, nella specie, si
determina una lesione concreta e definitiva della tutela
giurisdizionale del diritto violato, e, tuttavia, ritiene che la
violazione delle norme di natura materiale con valore imperativo
inderogabile (dei diritti fondamentali dell’uomo anche se calpestati
da una diffusa prassi di crimini di guerra e contro l’umanita’) non
contrasti con le norme internazionali di natura procedurale
sull’immunita’ statale, il Tribunale di Firenze dubita che,
nell’ambito del diritto interno, il principio di eguaglianza sovrana
degli Stati, con riguardo al suo corollario in materia di immunita’,
possa giustificare il sacrificio della tutela giurisdizionale di un
diritto fondamentale quando e se la tutela e’ richiesta verso uno
Stato, diverso da quello di appartenenza del giudice adito, che abbia
commesso un crimine internazionale ancorche’ nell’esercizio dei
poteri sovrani.
Sebbene non sia piu’ consentito alla giurisdizione interna
verificare se il singolo atto criminoso compiuto dal Terzo Reich sul
territorio italiano militarmente occupato sia o meno collocabile tra
gli atti iure imperii dal punto di vista internazionale, a seguito
della pronuncia della CIG, la quale non lascia piu’ margini di
valutazione sotto questo profilo, il rimettente ritiene che, pero’,
non possa non considerarsi che il carattere assoluto dell’immunita’
internazionale preclude, per gli individui interessati, qualsiasi
possibilita’ di veder accertati e tutelati i propri diritti, nella
specie gia’ negati nell’ordinamento interno tedesco.
Il Tribunale di Firenze ricorda che, sin da una risalente
sentenza (n. 48 del 1979), la Corte costituzionale ha affermato che,
nel contrasto fra norme internazionali immesse nell’ordinamento
italiano mediante l’art. 10, primo comma, Cost. e principi
fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, devono essere
questi ultimi a prevalere.
Con una successiva decisione (sentenza n. 73 del 2001), questa
medesima Corte – prosegue ancora il rimettente – ha ribadito il
principio secondo il quale «l’orientamento di apertura
dell’ordinamento italiano nei confronti sia delle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute, sia delle norme
internazionali convenzionali incontra i limiti necessari a garantirne
l’identita’ e, quindi, innanzitutto i limiti derivanti dalla
Costituzione». Pertanto, i principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituirebbero
limite tanto all’ingresso delle norme internazionali generalmente
riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma
in virtu’ dell’art. 10, primo comma, Cost., quanto delle norme
contenute in trattati istitutivi di organizzazioni internazionali
aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. o derivanti da tali
organizzazioni.
Considerato che il principio di cui all’art. 24 Cost. costituisce
uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano,
essendo «intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia
l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice
e un giudizio» (sentenza n. 18 del 1982), il rimettente dubita della
legittimita’ costituzionale della norma consuetudinaria. Infatti, il
principio supremo di insopprimibile garanzia della tutela
giurisdizionale dei diritti sarebbe insuscettibile di cedere di
fronte alla norma consuetudinaria di diritto internazionale che
rileva nel caso concreto, cosi’ come esplicitata dalla CIG,
ogniqualvolta a ledere il diritto fondamentale della persona umana
sia un crimine contro l’umanita’ commesso nello Stato investito
dall’obbligo di tutela giurisdizionale, ancorche’ commesso da altro
Stato nell’esercizio dei poteri sovrani.
In definitiva, ad avviso del rimettente, il giudice italiano non
potrebbe accogliere l’indicazione fornita dalla CIG e quindi negare
l’accesso al processo rimettendo la protezione individuale alle
dinamiche dei rapporti tra organi politici degli Stati che, per
decenni, non sono riusciti a trovare la soluzione. Negare il processo
civile di accertamento e condanna per le aberranti condotte del Terzo
Reich implicherebbe sacrificare irrimediabilmente il diritto alla
tutela dei diritti.
Il rimettente precisa, inoltre, che e’ una scelta obbligata
quella di sollevare questione di legittimita’ costituzionale, tenuto
conto di quanto gia’ affermato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 311 del 2009 e cioe’ che il verificarsi dell’ipotesi in
cui la norma internazionale risulti in contrasto con la Costituzione
«esclude l’operativita’ del rinvio alla norma internazionale e,
dunque, la sua idoneita’ ad integrare il parametro dell’art. 117,
primo comma, Cost.»: e, pertanto, «non potendosi evidentemente
incidere sulla sua legittimita’, comporta (…) l’illegittimita’
(…) della legge di adattamento (sentenze n. 348 e n. 349 del
2007)».
Per le ragioni esposte, il Tribunale di Firenze rimette la
questione al vaglio di legittimita’ costituzionale, ritenendo non
manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale
della norma interna, prodotta, ex art. 10, primo comma, Cost., in
conformita’ alla consuetudine internazionale formatasi prima della
Costituzione, che nega nelle azioni risarcitorie per danni da crimini
di guerra la giurisdizione dello Stato in cui l’illecito ha, almeno
in parte, prodotto i suoi effetti lesivi.
Aggiunge il rimettente che l’art. 94 dello Statuto delle Nazioni
Unite, che prescrive che «ciascun membro delle Nazioni Unite si
impegna a conformarsi alla decisione della Corte internazionale di
giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte», essendo
trasposto nell’ordinamento interno in forza della legge di ratifica
avente valore sub-costituzionale anche se in forza di norma di rango
costituzionale (l’art. 11 Cost.), obbliga l’ordinamento interno solo
se e nella parte in cui e’ compatibile con la Costituzione. Pertanto,
il dubbio di legittimita’ costituzionale deve coinvolgere – ad avviso
del rimettente – anche la legge n. 848 del 1957, nella parte in cui,
recependo la Carta ONU ed in particolare l’art. 94 della stessa,
vincola tutti gli organi dello Stato ad adeguarsi alle sentenze della
CIG, ivi compresa quella qui conferente del 3 febbraio 2012.
Sulla base dei medesimi argomenti il rimettente censura,
altresi’, l’art. 3 della legge n. 5 del 2013, in ragione del fatto
che in esso e’ stato ulteriormente disciplinato l’obbligo del giudice
nazionale di adeguarsi alla pronuncia della CIG che ha negato la
giurisdizione del giudice italiano nella causa di risarcimento del
danno per i crimini ritenuti iure imperii commessi dal Terzo Reich
nel territorio italiano.
Infine, il Tribunale di Firenze precisa che le norme censurate
sono tutte norme la cui legittimita’ costituzionale rileva
autonomamente nel giudizio principale, in quanto aventi ad oggetto
precetti che, anche singolarmente presi, sarebbero idonei ad
escludere il proprio potere giurisdizionale.
2.- Nei giudizi e’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, il quale chiede che la questione di legittimita’
costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile e/o infondata.
La difesa statale sostiene, in primo luogo, l’inammissibilita’
della questione sollevata, in quanto volta a sottoporre al sindacato
di legittimita’ costituzionale la norma consuetudinaria
sull’immunita’ che sarebbe riconducibile ad una fase anteriore
all’adozione della Costituzione e non sarebbe, pertanto,
sottoponibile al giudizio promosso dal giudice a quo, secondo
l’orientamento a suo dire consolidato della Corte costituzionale, la
quale avrebbe affermato che solo le consuetudini internazionali
venute ad esistenza dopo l’entrata in vigore della Costituzione
possono essere oggetto del giudizio di legittimita’ costituzionale (a
tale proposito, a pretesa conferma, sono richiamate le sentenze nn.
48 del 1979, 471 del 1992, 15 del 1996, 262 del 2009).
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, inoltre, che il
vaglio circa la sussistenza della giurisdizione assuma un carattere
logicamente pregiudiziale rispetto al sindacato di merito, cosicche’
sostenere che la semplice domanda di risarcimento per danni recati da
atti contrari a norme materiali inderogabili sia idonea a fondare la
giurisdizione dello Stato territoriale paleserebbe un inammissibile
rovesciamento dei rapporti di logica precedenza tra le due distinte
valutazioni in rito ed in merito.
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato, anzitutto,
richiama all’attenzione la circostanza che la Corte costituzionale
avrebbe affermato che l’art. 10, primo comma, Cost. rinvia alle norme
del diritto internazionale generalmente riconosciute, attribuendo ad
esse un valore di norme costituzionali ed avrebbe risolto l’apparente
contrasto tra immunita’ e diritto alla tutela giurisdizionale ex art.
24 Cost. alla luce del principio di specialita’, riconoscendo che la
compressione del principio espresso dall’art. 24 Cost. puo’
giustificarsi in virtu’ dei preminenti interessi sottesi all’esigenza
di garantire l’immunita’ degli Stati stranieri dalla giurisdizione
territoriale. La ragionevolezza insita nella conformazione del
diritto di difesa a fronte delle esigenze connesse al rispetto
dell’immunita’ dello Stato estero dimostrerebbe, pertanto,
l’infondatezza delle censure di illegittimita’ costituzionale rivolte
alle disposizioni impugnate.
L’obbligo di rispettare l’immunita’ dello Stato estero troverebbe
il suo fondamento anche in altre disposizioni (oggetto di
impugnativa) ed in specie nell’art. 94 dello Statuto dell’ONU,
recepito in Italia con la legge n. 848 del 1957, il quale impone a
ciascuno Stato membro di conformarsi alle decisioni della CIG, e
nell’art. 3 della legge n. 5 del 2013, che ne costituisce esatta
integrazione. Il dovere per l’Italia di conformarsi alle consuetudini
internazionali nonche’ alle decisioni della CIG, come statuito dal
citato art. 94 dello Statuto dell’ONU, troverebbe il proprio
fondamento anche nell’art. 11 Cost. il quale imporrebbe all’Italia di
rispettare le norme consuetudinarie di diritto internazionale come
individuate dalla CIG, alle cui decisioni l’Italia e’ tenuta a
conformarsi ai sensi dello Statuto dell’ONU.
3.- Si sono costituiti, in tutti e tre i giudizi, (reg. ord. n.
84, n. 85 e n. 113 del 2014), gli attori dei processi principali,
chiedendo che la Corte costituzionale accolga le questioni sollevate
dal Tribunale di Firenze.
3.1.- La difesa degli attori del processo principale premette che
la circostanza che la richiesta del risarcimento dei danni e’ stata
effettuata solo dopo sessantasette anni e’ dovuta alla moratoria che
la Repubblica federale tedesca aveva concordato con gli alleati,
vincitori della seconda guerra mondiale, e che anche l’Italia aveva
dovuto rispettare in base all’art. 18 del Trattato di pace. Precisa,
altresi’, che, dopo la fine della moratoria, le richieste di
risarcimento erano state rigettate dalla Repubblica federale tedesca
ed era stato negato qualsiasi altro rimedio per i crimini commessi
dal Terzo Reich e dal suo governo.
Con specifico riferimento alle questioni sollevate dal Tribunale
di Firenze, la difesa degli attori del processo principale svolge
alcune considerazioni preliminari.
Essa ricorda che, a partire dal 26 giugno 1945, a San Francisco,
in risposta alle gravi violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo,
gli Stati della Comunita’ internazionale si obbligavano, con l’art.
1, comma 3, e con l’art. 55, lettera c), della Carta dell’ONU, a
rispettare i diritti dell’uomo e le liberta’ fondamentali, senza
distinzioni di razza, sesso, lingua, religione. Fra tali diritti era
annoverato anche quello di adire un giudice (art. 14 del Patto per i
diritti civili e politici del 19 dicembre 1966), divenuto poi un
cardine del sistema internazionale per l’osservanza dei diritti
dell’uomo (Risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU n. 60/147
recante «Basic principles and Guidelines on the Right to a Remedy and
Reparation for Victims of Gross Violation of International Human
Rights Law and Serious violations of International Umanitarian Law»).
Pertanto, il conflitto tra la tutela dei diritti dell’uomo ed il
divieto di ingerenza negli affari interni (cui si collega l’immunita’
giurisdizionale degli Stati) non puo’ essere risolto a danno dei
diritti fondamentali.
La difesa, quindi, osserva che l’illegittimita’ costituzionale
della legge n. 5 del 2013 non deriverebbe soltanto da una violazione
dell’art. 24 Cost., ma dal contrasto con lo stesso diritto
internazionale e con la sua pretesa di tutelare i diritti
fondamentali, incluso il diritto di adire un giudice competente in
materia.
La difesa degli attori chiede, quindi, che la Corte
costituzionale accolga la questione di legittimita’ costituzionale
sollevata dal Tribunale di Firenze, anche al fine di evitare che la
CIG venga denunciata per aver ecceduto dalla sua competenza.
Rileva, inoltre, che, alla luce del diritto internazionale
vigente, esisterebbe la giurisdizione del giudice italiano e che,
quindi, le norme censurate, nella parte in cui escludono la
giurisdizione del giudice italiano per le azioni risarcitorie
inerenti ai danni derivanti dai crimini contro l’umanita’ posti in
essere dalle forze armate tedesche durante la seconda guerra
mondiale, si porrebbero in contrasto anche con gli artt. 10 e 117
Cost. in quanto lederebbero il diritto della parte privata di adire
il competente giudice per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi, in contrasto con il diritto internazionale consuetudinario
e convenzionale.
Pertanto, la difesa degli attori dei processi principali chiede
che la Corte costituzionale dichiari l’illegittimita’ costituzionale
della legge n. 5 del 2013 per contrasto con gli artt. 24, 11 e 117
Cost. ed ammetta la giurisdizione del giudice italiano, escludendo
l’efficacia anche indiretta della sentenza della CIG del 3 febbraio
2012.
Conseguentemente, chiede che vengano valutati ulteriori profili
di illegittimita’ costituzionale della normativa denunciata
attinenti, fra l’altro: al divieto di retroattivita’ di una legge
procedurale e al divieto di retroattivita’ del nuovo orientamento
giurisprudenziale relativo ai diritti fondamentali affermatosi
rispetto al precedente orientamento della Corte di cassazione; al
divieto di disapplicare il diritto internazionale generalmente
riconosciuto, in virtu’ del quale lo Stato convenuto puo’
implicitamente o esplicitamente rinunciare alla sua immunita’
giurisdizionale, non gode di immunita’ per cause fondate su illeciti
commessi mediante atti iure imperii se questi sono avvenuti nel
territorio dello Stato ove il giudice adito ha sede e non gode di
immunita’ in cause civili fondate su gravi violazioni dei diritti
fondamentali; all’obbligo di rispettare, in base agli artt. 11 e 117,
primo comma, Cost., l’art. 28, comma 2, della Convenzione europea per
il rimedio pacifico delle controversie tra gli Stati europei del 29
aprile 1957, e l’art. 6 della CEDU; al divieto di disattendere gli
artt. 24 e 111 Cost. e/o gli artt. 1, comma 3, e 55, lettera c),
della Carta dell’ONU se una persona fisica e’ stata vittima di un
crimine di guerra o di gravi crimini contro l’umanita’; agli artt.
101 e 102 Cost., in quanto l’impugnato art. 3 della legge n. 5 del
2013 contiene un ordine del Parlamento o del Governo al giudice, in
relazione a specifiche cause, di rinunciare alla propria competenza
giurisdizionale senza poter valutare i fatti e il diritto applicabile
e di annullare decisioni gia’ definite.
4.- All’udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio ed il
Presidente del Consiglio dei ministri hanno insistito per
l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale di Firenze dubita della legittimita’
costituzionale di alcune norme che gli imporrebbero di declinare la
giurisdizione, come eccepito dalla convenuta, in relazione a tre
giudizi instaurati contro la Repubblica federale di Germania (RFG)
per ottenere la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni
patiti nel corso della seconda guerra mondiale da tre cittadini
italiani, catturati nel territorio italiano da forze militari
tedesche e deportati in Germania per essere adibiti al lavoro forzato
nei campi di concentramento.
Piu’ precisamente, il Tribunale di Firenze ha sollevato questione
di legittimita’ costituzionale: 1) della norma «prodotta nel nostro
ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo
comma, Cost.», della norma consuetudinaria di diritto internazionale
sull’immunita’ degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri
Stati, cosi’ come interpretata dalla Corte internazionale di
giustizia (CIG) nella sentenza Germania c. Italia del 3 febbraio
2012, nella parte in cui comprende tra gli atti iure imperii
sottratti alla giurisdizione di cognizione anche i crimini di guerra
e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della persona,
commessi in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani
nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo Reich; 2) dell’art. 1
della legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (legge 17
agosto 1957, n. 848, recante «Esecuzione dello Statuto delle Nazioni
Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945»), nella parte in
cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della
CIG, pertanto, anche quando essa ha stabilito l’obbligo dello stesso
di negare la propria giurisdizione nella causa civile di risarcimento
del danno per crimini contro l’umanita’, commessi iure imperii dal
Terzo Reich nel territorio italiano; 3) dell’art. 1 (recte art. 3)
della legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana
alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunita’ giurisdizionali
degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004,
nonche’ norme di adeguamento dell’ordinamento interno), che ha
imposto al giudice di adeguarsi alla sentenza della CIG e per cio’
stesso di negare la propria giurisdizione in futuro per tutti gli
atti iure imperii dello Stato straniero, anche quando tali atti
consistano in violazioni gravi del diritto internazionale umanitario
e dei diritti fondamentali, quali i crimini di guerra e contro
l’umanita’ commessi in Italia e in Germania nei confronti di
cittadini italiani nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo
Reich, nonche’ di ammettere la revocazione delle sentenze gia’
passate in giudicato che non avessero riconosciuto l’immunita’.
Le richiamate norme vengono censurate in riferimento agli artt. 2
e 24 Cost., in quanto, impedendo l’accertamento giurisdizionale e la
valutazione della pretesa di risarcimento dei danni derivanti dalle
gravi violazioni dei diritti fondamentali subite dalle vittime dei
crimini di guerra e contro l’umanita’, commessi da altro Stato, anche
se nell’esercizio di poteri sovrani (iure imperii), contrasterebbero
con il principio di insopprimibile garanzia della tutela
giurisdizionale dei diritti, consacrato nell’art. 24 Cost., che e’ un
principio supremo dell’ordinamento costituzionale italiano e, quindi,
costituisce un limite all’ingresso sia delle norme internazionali
generalmente riconosciute, ex art. 10, primo comma, Cost., che delle
norme contenute in trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. o
derivanti da tali organizzazioni e oggetto di leggi di adattamento.
Il giudice rimettente muove dalla constatazione che la CIG, con
la sentenza del 3 febbraio 2012, ha affermato la perdurante vigenza
della norma consuetudinaria internazionale che sancisce l’immunita’
degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati per tutti
indistintamente gli atti ritenuti iure imperii, escludendo che si sia
formata, per consuetudine, un’eccezione relativa agli atti iure
imperii qualificabili, come espressamente riconosciuto nella specie
con riguardo agli episodi di deportazione, lavoro forzato, eccidi,
compiuti in Italia e in Germania nei confronti di cittadini italiani
nel periodo 1943-1945 dalle truppe del Terzo Reich, quali crimini di
guerra o contro l’umanita’ lesivi di diritti fondamentali della
persona; ed ha negato l’esistenza di un conflitto tra norme materiali
cogenti (diritto internazionale a tutela dei diritti umani) e norme
processuali (immunita’ degli Stati dalla giurisdizione di altri
Stati), in quanto operanti su piani diversi.
Tuttavia, pur riconoscendo alla CIG una "competenza assoluta ed
esclusiva" quanto all’interpretazione delle norme di diritto
internazionale, il giudice di Firenze dubita della conformita’ alla
Costituzione sia della norma interna corrispondente alla norma
consuetudinaria internazionale, che incontra il limite dei principi
fondamentali e dei diritti inviolabili costituzionalmente garantiti,
fra i quali vi e’ il diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti
inviolabili, sia delle corrispondenti norme di recepimento. Il
rimettente precisa, infatti, che non puo’ non tenersi in debito conto
che il «conferire all’immunita’ internazionale il carattere assoluto
confermato dalla Corte di giustizia internazionale vuol dire
precludere, per gli individui interessati, qualsiasi possibilita’ di
veder accertati e tutelati i propri diritti, nel caso di specie gia’
negati nell’ordinamento interno tedesco» (ordinanze di rimessione n.
84 del 2014, pag. 7; n. 85 del 2014, pag. 7, n. 113 del 2014, pag.
7). Conseguentemente, prospetta lo stesso dubbio di legittimita’
costituzionale nei confronti di quelle disposizioni contenute sia
nella legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (art. 1
della legge n. 848 del 1957), che nella legge di adesione alla
Convenzione di New York (art. 3 della legge n. 5 del 2013), nella
parte in cui gli impongono, al pari della richiamata norma
consuetudinaria internazionale, di negare la propria giurisdizione in
ottemperanza alla sentenza della CIG.
Infine, il Tribunale di Firenze precisa che quelle censurate sono
tutte norme la cui legittimita’ costituzionale rileva autonomamente
nel giudizio principale, in quanto aventi ad oggetto precetti che,
anche singolarmente presi, sarebbero idonei ad escludere l’esercizio
della sua giurisdizione.
Inoltre, lo stesso giudice rimettente limita le questioni
sollevate alla giurisdizione relativa alla cognizione della pretesa
risarcitoria, non anche alla esecuzione.
I tre giudizi, a ragione dell’identita’ di petitum e di
argomentazione, vanno riuniti e definiti con decisione unica.
2.- In via preliminare, questa Corte deve valutare le eccezioni
di inammissibilita’ delle questioni di legittimita’ costituzionale
sollevate dal Tribunale di Firenze.
2.1.- Con la prima eccezione, l’Avvocatura generale dello Stato
deduce che l’immunita’ dalla giurisdizione qui evocata e’ oggetto di
una norma internazionale consuetudinaria generalmente riconosciuta
formatasi in epoca precedente all’entrata in vigore della
Costituzione italiana e per tale ragione sarebbe insuscettibile di
verifica di costituzionalita’. Questa Corte avrebbe affermato, nella
sentenza n. 48 del 1979 (v. punto 2. del Ritenuto in fatto), che la
verifica di compatibilita’ costituzionale delle norme consuetudinarie
internazionali sarebbe consentita esclusivamente per le norme
formatesi successivamente all’entrata in vigore della nostra
Costituzione.
L’eccezione non e’ fondata.
Invero, nell’occasione evocata dall’Avvocatura, questa Corte
valuto’ precisamente la legittimita’ costituzionale della norma
consuetudinaria internazionale sulla immunita’ degli agenti
diplomatici, dopo averla definita espressamente «consuetudine piu’
che secolare degli Stati nelle loro reciproche relazioni» e
affermando che «La prospettazione della questione cosi’ come
formulata dal giudice a quo, riferita all’ordine di esecuzione di cui
alla legge n. 804 del 1967, in relazione all’art. 31, paragrafi 1 e 3
della Convenzione di Vienna, appare solo formalmente esatta perche’,
sul punto che interessa, la disposizione pattizia e’ meramente
ricognitiva della norma di diritto internazionale generale sopra
descritta. Il fondamento della questione va considerato, pertanto,
con riferimento a quest’ultima norma, ed il vero oggetto del
giudizio, cui va rivolto l’esame della Corte, concerne la
compatibilita’ con gli invocati principi costituzionali della norma
interna di adeguamento alla consuetudine internazionale generale»
(punto 3. del Considerato in diritto).
In un passaggio successivo, poi, questa Corte aggiunse: «Occorre
comunque affermare, piu’ in generale, per quanto attiene alle norme
di diritto internazionale generalmente riconosciute che venissero ad
esistenza dopo l’entrata in vigore della Costituzione, che il
meccanismo di adeguamento automatico previsto dall’art. 10 Cost. non
potra’ in alcun modo consentire la violazione dei principi
fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, operando in un
sistema costituzionale che ha i suoi cardini nella sovranita’
popolare e nella rigidita’ della Costituzione» (punto 3. del
Considerato in diritto).
Ora, indipendentemente dalla correttezza o meno della lettura
operata dall’Avvocatura della decisione n. 48 del 1979, questa Corte
intende confermare specificamente quanto rilevato con chiarezza nella
sentenza n. 1 del 1956: «L’assunto che il nuovo istituto della
"illegittimita’ costituzionale" si riferisca solo alle leggi
posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori non puo’
essere accolto, sia perche’, dal lato testuale, tanto l’art. 134
della Costituzione quanto l’art. 1 della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimita’
costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia
perche’, dal lato logico, e’ innegabile che il rapporto tra leggi
ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse
rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano
affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a
quelle costituzionali».
E qui oggi si riconosce, pertanto, che il principio affermato
nella appena ricordata sentenza n. 1 del 1956, secondo il quale il
controllo di legittimita’ costituzionale riguarda sia norme
posteriori che norme anteriori alla Costituzione repubblicana, vale
anche per le norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute di cui al meccanismo di adattamento automatico dell’art.
10, primo comma, Cost. che si siano formate prima o dopo la
Costituzione.
Neppure si puo’ escludere dallo scrutinio di legittimita’
costituzionale la norma oggetto del rinvio operato all’art. 10, primo
comma, Cost. ad una norma consuetudinaria internazionale solo perche’
l’art. 134 Cost. non contempla espressamente questa specifica
ipotesi. Tale disposizione assoggetta al controllo accentrato di
costituzionalita’ tutte le leggi, gli atti e le norme le quali, pur
provviste della stessa efficacia delle leggi formali, ordinarie e
costituzionali, siano venute ad esistenza per vie diverse dal
procedimento legislativo, anche quelle da ultimo richiamate. Sono
esclusi dallo scrutinio riservato a questa Corte soltanto gli atti
che hanno un rango ed una forza inferiori rispetto alla legge. In
definitiva, non sussistono, sul piano logico e sistematico, ragioni
per le quali il controllo di legittimita’ costituzionale dovrebbe
essere escluso per le consuetudini internazionali o limitato solo a
quelle posteriori alla Costituzione, tenuto conto che a queste ultime
e’ riconosciuta la medesima efficacia delle consuetudini formatesi in
epoca precedente ed il medesimo limite del rispetto degli elementi
identificativi dell’ordinamento costituzionale, vale a dire dei
principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona.
La prima eccezione della difesa del Presidente del Consiglio dei
ministri non e’ pertanto fondata.
2.2.- La seconda eccezione si fonda sull’assunto che il difetto
di giurisdizione non potrebbe essere verificato in base alla portata
della norma internazionale sull’immunita’ degli Stati per gli atti
ritenuti iure imperii, in quanto altrimenti si determinerebbe un
«inammissibile rovesciamento dei rapporti di logica precedenza tra le
due distinte valutazioni in rito e in merito».
Anche questa eccezione non e’ fondata, per il semplice motivo che
un’eccezione relativa alla giurisdizione richiede necessariamente una
valutazione del petitum in base alla prospettazione della domanda,
come formulata dalle parti.
2.3.- Ancora in via preliminare, occorre ribadire che sono
inammissibili le deduzioni della parte privata dirette ad estendere
il thema decidendum attraverso l’evocazione di ulteriori parametri
costituzionali.
L’oggetto del giudizio di legittimita’ costituzionale in via
incidentale e’ limitato alle disposizioni e ai parametri indicati
nelle ordinanze di rimessione (sentenza n. 32 del 2014; ma anche
sentenze n. 271 del 2011 e n. 56 del 2009). Pertanto, non possono
essere prese in considerazione le censure svolte dalle parti dei
giudizi principali, costituitesi nei giudizi davanti a questa Corte,
sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed alle
norme del diritto internazionale invocate per il suo tramite.
2.4.- Occorre, infine, rilevare che, benche’ nel dispositivo di
tutte e tre le ordinanze di rimessione, fra le norme censurate, sia
indicato l’art. 1 della legge n. 5 del 2013, dall’intero contesto
delle tre ordinanze si desume con chiarezza come le doglianze
riguardino non gia’ il predetto art. 1, che contiene l’autorizzazione
all’adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunita’
giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, del 2 dicembre 2004, ma
l’art. 3 della medesima legge nella parte in cui ha recepito – con
procedimento di adattamento ordinario – quanto deciso dalla CIG con
la sentenza del 3 febbraio 2012.
Pertanto, in linea con una costante giurisprudenza
costituzionale, secondo la quale il thema decidendum, con riguardo
alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione
delle ordinanze o comunque dell’intero contesto del provvedimento di
rimessione (ex plurimis, sentenze n. 258 del 2012 e n. 181 del 2011;
ordinanza n. 162 del 2011), e’ l’art. 3 della legge n. 5 del 2013, e
non gia’ l’art. 1, l’oggetto del sindacato di legittimita’
costituzionale.
3. – Nel merito, la questione di legittimita’ costituzionale
della norma «prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento,
ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost»., della norma
consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunita’ degli Stati
dalla giurisdizione civile degli altri Stati, non e’ fondata nei
termini di seguito precisati.
3.1.- E’ anzitutto da prendere atto che dal thema decidendum
sottoposto a questa Corte e’ stata esclusa dal giudice rimettente
ogni valutazione sulla interpretazione da parte della CIG della norma
internazionale consuetudinaria relativa all’immunita’ degli Stati
dalla giurisdizione civile degli altri Stati.
D’altra parte, la Corte non potrebbe procedere ad un tale
scrutinio. Si tratta, infatti, di una norma di diritto
internazionale, dunque esterna all’ordinamento giuridico italiano, la
cui applicazione da parte dell’amministrazione e/o del giudice, in
virtu’ del rinvio operato nella specie dall’art. 10, primo comma,
Cost., deve essere effettuata in base al principio di conformita’, e
cioe’ nell’osservanza dell’interpretazione che ne e’ data
nell’ordinamento di origine, che e’ l’ordinamento internazionale. In
questa occasione, la norma che interessa e’ stata interpretata dalla
CIG, precisamente in vista della definizione della controversia tra
Germania ed Italia, avente ad oggetto la giurisdizione del giudice
italiano su atti imputabili alla RFG.
Con la sentenza del 3 febbraio 2012, la CIG ha affermato che,
allo stato, non si rinvengono sufficienti elementi nella prassi
internazionale per dedurre l’esistenza di una deroga alla norma
sull’immunita’ degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri
Stati per atti iure imperii relativa alle ipotesi, che ha ritenuto
sussistenti nella specie, e come ammesso dalla stessa RFG, di crimini
di guerra e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della
persona. La medesima Corte ha anche espressamente riconosciuto
(sentenza, pag. 144, punto 104) – e risulta confermato dalla difesa
della RFG, che ha escluso l’esistenza di altri rimedi giurisdizionali
a tutela delle vittime dei predetti crimini (replica RFG, 5 ottobre
2010, pag. 11, punto 34) – che il difetto di giurisdizione dei
giudici italiani comporta un sacrificio dei diritti fondamentali dei
soggetti che hanno subito le conseguenze dei crimini commessi dallo
Stato straniero ed ha individuato, sul piano del diritto
internazionale, nell’apertura di un nuovo negoziato il solo strumento
per definire la questione.
Ora, deve riconoscersi che, sul piano del diritto internazionale,
l’interpretazione da parte della CIG della norma consuetudinaria
sull’immunita’ degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri
Stati per atti ritenuti iure imperii e’ un’interpretazione
particolarmente qualificata, che non consente un sindacato da parte
di amministrazioni e/o giudici nazionali, ivi compresa questa Corte.
Lo stesso principio e’ stato con chiarezza affermato gia’ nelle
sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 con riguardo all’interpretazione
delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
liberta’ fondamentali (CEDU) resa dalla Corte di Strasburgo.
E infatti il giudice rimettente non entra nel merito
dell’interpretazione resa dalla CIG della norma internazionale
sull’immunita’ per atti ritenuti iure imperii. Egli prende atto, sia
pure con preoccupazione, che quella e’ la portata attuale della norma
consuetudinaria internazionale in quanto cosi’ definita dalla CIG.
Riferisce, altresi’, che neppure e’ contestato che gli atti
attribuiti alla RFG siano atti illeciti, qualificati dalla stessa RFG
e dalla CIG crimini di guerra e contro l’umanita’, lesivi di diritti
inviolabili della persona, questione che comunque rientra nella
valutazione di merito della pretesa principale ed e’ dunque estranea
al thema decidendum affidato a questa Corte.
Cio’ premesso, e’ tuttavia evidente che resta da verificare e
risolvere il prospettato conflitto tra la norma internazionale da
immettere ed applicare nell’ordinamento interno, cosi’ come
interpretata nell’ordinamento internazionale, norma che ha rango
equivalente a quello costituzionale, in virtu’ del rinvio di cui
all’art. 10, primo comma, Cost., e norme e principi della
Costituzione che con essa presentino elementi di contrasto tali da
non essere superabili con gli strumenti ermeneutici.
E’ cio’ che si verifica con i principi qualificanti e
irrinunciabili dell’assetto costituzionale dello Stato e, quindi, con
i principi che sovraintendono alla tutela dei diritti fondamentali
della persona. In tali ipotesi spetta al giudice nazionale, ed in
particolare esclusivamente a questa Corte, una verifica di
compatibilita’ costituzionale, nel caso concreto, che garantisca
l’intangibilita’ di principi fondamentali dell’ordinamento interno
ovvero ne riduca al minimo il sacrificio.
Ed e’ precisamente questo il thema decidendum che ha sottoposto a
questa Corte il Tribunale di Firenze nel sollevare le questioni di
legittimita’ costituzionale precisate in epigrafe: di verificare la
compatibilita’ della norma internazionale sull’immunita’ degli Stati
dalla giurisdizione civile degli altri Stati, cosi’ come interpretata
dalla CIG, con un principio fondamentale del nostro ordinamento
costituzionale quale il diritto al giudice (art. 24), congiuntamente
al principio posto a tutela di diritti fondamentali della persona
(art. 2). D’altra parte, la possibilita’ della verifica di
compatibilita’ resta intatta comunque, anche tra norme – come nella
specie – entrambe di rango costituzionale, il bilanciamento
rientrando tra «le ordinarie operazioni cui questa Corte e’ chiamata
in tutti i giudizi di sua competenza» (sentenza n. 236 del 2011).
3.2.- Non v’e’ dubbio, infatti, ed e’ stato confermato a piu’
riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano
un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente
riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma
secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48
del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali "controlimiti"
all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze
n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n.
284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di
esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del
1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri
termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili
dell’ordinamento costituzionale, per cio’ stesso sottratti anche alla
revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: cosi’ nella sentenza
n. 1146 del 1988).
In un sistema accentrato di controllo di costituzionalita’, e’
pacifico che questa verifica di compatibilita’ spetta alla sola Corte
costituzionale, con esclusione di qualsiasi altro giudice, anche in
riferimento alle norme consuetudinarie internazionali. Vero e’,
infatti, che la competenza di questa Corte e’ determinata dal
contrasto di una norma con una norma costituzionale e, ovviamente,
con un principio fondamentale dell’assetto costituzionale dello Stato
ovvero con un principio posto a tutela di un diritto inviolabile
della persona, contrasto la cui valutazione non puo’ competere ad
altro giudice che al giudice costituzionale. Ogni soluzione diversa
si scontra – nel sistema accentrato di controllo – con la competenza
riservata dalla Costituzione a questa Corte, restando scolpito nella
sua giurisprudenza, fin dal primo passo, che «La dichiarazione di
illegittimita’ costituzionale di una legge non puo’ essere fatta che
dalla Corte costituzionale in conformita’ dell’art. 136 della stessa
Costituzione» (sentenza n. 1 del 1956). Anche di recente, poi, questa
Corte ha ribadito che la verifica di compatibilita’ con i principi
fondamentali dell’assetto costituzionale e di tutela dei diritti
umani e’ di sua esclusiva competenza (sentenza n. 284 del 2007); ed
ancora, precisamente con riguardo al diritto di accesso alla
giustizia (art. 24 Cost.), che il rispetto dei diritti fondamentali,
cosi’ come l’attuazione di principi inderogabili, e’ assicurato dalla
funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale (sentenza n.
120 del 2014).
3.3.- La norma internazionale consuetudinaria sull’immunita’
degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, in origine
assoluta in quanto comprensiva di tutti i comportamenti degli Stati,
in tempi meno remoti, ossia nella prima parte del secolo scorso, e’
stata oggetto di un’evoluzione progressiva dovuta alla giurisprudenza
nazionale della maggior parte degli Stati, fino alla individuazione
di un limite negli acta iure gestionis, formula di immediata
comprensione. Ed e’ notorio che e’ stato merito principalmente della
giurisprudenza italiana (ex multis, Tribunale di Firenze, 8 giugno
1906, Riv. Dir. Int. 1907, 379; Cass. 13 marzo 1926, idem 1926, 250;
Corte d’appello di Napoli, 16 luglio 1926, idem 1927,104; Corte
d’appello di Milano, 23 gennaio 1932, idem 1932, 549; Cassazione 18
gennaio 1933, idem 1933, 241) e di quella belga (ex multis, Cass. 11
giugno 1903, Journ dr. Int. Prive’ 1904, 136; App. Bruxelles 24
giugno 1920, Pasicrisie belge 1922, II, 122; App. Bruxelles, 24
maggio 1933, Journ. dr. Int. 1933, 1034) la progressiva affermazione
del limite appena ricordato all’applicazione della norma
sull’immunita’ (c.d. tesi italo-belga). In definitiva, si e’ ridotta,
ad opera delle giurisdizioni nazionali, la portata della norma del
diritto consuetudinario internazionale, nel senso che essa
attribuisce l’immunita’ dalla giurisdizione civile degli altri Stati
solo per gli atti ritenuti iure imperii. E cio’ principalmente allo
scopo di escludere la concessione del beneficio dell’immunita’ almeno
quando lo Stato agisce come privato, ipotesi che appariva una iniqua
limitazione dei diritti dei contraenti privati.
Questo processo di progressiva definizione del contenuto della
norma internazionale si e’ ormai da tempo affermato nella Comunita’
internazionale (sentenza n. 329 del 1992): e va valutata al giusto la
circostanza certo significativa che l’evoluzione nel senso precisato
sia stata provocata dalla giurisprudenza dei giudici nazionali, ai
quali e’ naturale spetti la valutazione del rispettivo titolo di
competenza, lasciando agli organi internazionali la ricognizione
della prassi ai fini della rilevazione delle norme consuetudinarie e
della loro evoluzione.
Se un simile effetto di ridimensionamento dell’immunita’ in una
prospettiva di tutela dei diritti si e’ delineato, anche per quanto
attiene all’ordinamento italiano, ad opera del controllo dei giudici
comuni, in un contesto istituzionale contraddistinto da una
Costituzione flessibile, nella quale il riconoscimento dei diritti
non era assistito che da ridotte garanzie, e’ ineludibile affermare
che nell’ordinamento costituzionale repubblicano, fondato sulla
tutela dei diritti e sulla connessa limitazione del potere ad essa
funzionale e garantito da una Costituzione rigida, lo stesso
controllo compete a questa Corte. Ad essa spetta in via esclusiva il
compito di assicurare il rispetto della Costituzione ed a maggior
ragione dei suoi principi fondamentali e quindi la necessaria
valutazione della compatibilita’ della norma internazionale
sull’immunita’ degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri
Stati con i predetti principi, con l’effetto di produrre un ulteriore
ridimensionamento della portata della predetta norma, limitato al
diritto interno ma tale da concorrere, altresi’, ad un’auspicabile e
da piu’ parti auspicata evoluzione dello stesso diritto
internazionale.
3.4.- Una simile verifica si rivela, peraltro, indispensabile
alla luce dell’art. 10, primo comma, Cost., il quale impone a questa
Corte di accertare se la norma del diritto internazionale
generalmente riconosciuta sull’immunita’ dalla giurisdizione degli
Stati stranieri, come interpretata nell’ordinamento internazionale,
possa entrare nell’ordinamento costituzionale, in quanto non
contrastante con principi fondamentali e diritti inviolabili. Il
verificarsi di tale ultima ipotesi, infatti, «esclude l’operativita’
del rinvio alla norma internazionale» (sentenza n. 311 del 2009), con
la conseguenza inevitabile che la norma internazionale, per la parte
confliggente con i principi ed i diritti inviolabili, non entra
nell’ordinamento italiano e non puo’ essere quindi applicata.
E cio’ e’ proprio quanto e’ accaduto nella specie.
Ripetutamente questa Corte ha osservato che fra i principi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale vi e’ il diritto di
agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti
riconosciuto dall’art. 24 Cost., in breve il diritto al giudice. A
maggior ragione, poi, cio’ vale quando il diritto in questione e’
fatto valere a tutela dei diritti fondamentali della persona.
Nella specie, il giudice rimettente ha non casualmente indicato
congiuntamente gli artt. 2 e 24 Cost., inestricabilmente connessi
nella valutazione di legittimita’ costituzionale chiesta a questa
Corte. Il primo e’ la norma sostanziale posta, tra i principi
fondamentali della Carta costituzionale, a presidio
dell’inviolabilita’ dei diritti fondamentali della persona, tra i
quali, nella specie conferente a titolo primario, la dignita’. Il
secondo e’ anch’esso a presidio della dignita’ della persona,
tutelando il suo diritto ad accedere alla giustizia per far valere il
proprio diritto inviolabile.
La diversita’ di piano, sostanziale e processuale, non consente
di scinderne la comune rilevanza rispetto alla compatibilita’
costituzionale della regola dell’immunita’ degli Stati dalla
giurisdizione civile degli altri Stati. Sarebbe invero arduo
individuare quanto resterebbe di un diritto se non potesse essere
fatto valere dinanzi ad un giudice per avere effettiva tutela.
Fin dalla sentenza n. 98 del 1965 in materia comunitaria, questa
Corte affermo’ che il diritto alla tutela giurisdizionale «e’ tra
quelli inviolabili dell’uomo, che la Costituzione garantisce all’art.
2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne e’ fatta
nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (punto
2. del Considerato in diritto). In una meno remota occasione, questa
Corte non ha esitato ad ascrivere il diritto alla tutela
giurisdizionale «tra i principi supremi del nostro ordinamento
costituzionale, in cui e’ intimamente connesso con lo stesso
principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi
controversia, un giudice e un giudizio» (sentenze n. 18 del 1982,
nonche’ n. 82 del 1996). D’altra parte, in una prospettiva di
effettivita’ della tutela dei diritti inviolabili, questa Corte ha
anche osservato che «al riconoscimento della titolarita’ di diritti
non puo’ non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli
valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura
giurisdizionale»: pertanto, «l’azione in giudizio per la difesa dei
propri diritti (…) e’ essa stessa il contenuto di un diritto,
protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi
tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di
diritto» (sentenza n. 26 del 1999, nonche’ n. 120 del 2014, n. 386
del 2004 e n. 29 del 2003). Ne’ e’ contestabile che il diritto al
giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti
inviolabili e’ sicuramente tra i grandi principi di civilta’
giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo.
Tuttavia, proprio con riguardo ad ipotesi di immunita’ dalla
giurisdizione degli Stati introdotte dalla normativa internazionale,
questa Corte ha riconosciuto che nei rapporti con gli Stati stranieri
il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale possa subire un
limite ulteriore rispetto a quelli imposti dall’art. 10 Cost. Ma il
limite deve essere giustificato da un interesse pubblico
riconoscibile come potenzialmente preminente su un principio, quale
quello dell’art. 24 Cost., annoverato tra i "principi supremi"
dell’ordinamento costituzionale (sentenza n. 18 del 1982); inoltre la
norma che stabilisce il limite deve garantire una rigorosa
valutazione di tale interesse alla stregua delle esigenze del caso
concreto (sentenza n. 329 del 1992).
Nella specie, la norma consuetudinaria internazionale
sull’immunita’ dalla giurisdizione degli Stati stranieri, con la
portata definita dalla CIG, nella parte in cui esclude la
giurisdizione del giudice a conoscere delle richieste di risarcimento
dei danni delle vittime di crimini contro l’umanita’ e di gravi
violazioni dei diritti fondamentali della persona, determina il
sacrificio totale del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti
delle suddette vittime: il che e’ peraltro riconosciuto dalla stessa
CIG, che rinvia la soluzione della questione, sul piano
internazionale, ad eventuali nuovi negoziati, individuando nella sede
diplomatica l’unica sede utile (punto 104 della sentenza del 3
febbraio 2012). Ne’ si ravvisa, nell’ambito dell’ordinamento
costituzionale, un interesse pubblico tale da risultare preminente al
punto da giustificare il sacrificio del diritto alla tutela
giurisdizionale di diritti fondamentali (artt. 2 e 24 Cost.), lesi da
condotte riconosciute quali crimini gravi.
L’immunita’ dalla giurisdizione degli altri Stati, se ha un
senso, logico prima ancora che giuridico, comunque tale da
giustificare, sul piano costituzionale, il sacrificio del principio
della tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili garantito dalla
Costituzione, deve collegarsi – nella sostanza e non solo nella forma
– con la funzione sovrana dello Stato straniero, con l’esercizio
tipico della sua potesta’ di governo.
Anche in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del
mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi
di pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a
limitazioni di sovranita’ (art. 11 Cost.), il limite che segna
l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale e
sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) e’ costituito, come questa
Corte ha ripetutamente affermato (con riguardo all’art. 11 Cost.:
sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170
del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art. 10, primo comma,
Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48 del 1979;
anche sentenza n. 349 del 2007), dal rispetto dei principi
fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo, elementi
identificativi dell’ordinamento costituzionale. E cio’ e’ sufficiente
ad escludere che atti quali la deportazione, i lavori forzati, gli
eccidi, riconosciuti come crimini contro l’umanita’, possano
giustificare il sacrificio totale della tutela dei diritti
inviolabili delle persone vittime di quei crimini, nell’ambito
dell’ordinamento interno.
L’immunita’ dello Stato straniero dalla giurisdizione del giudice
italiano consentita dagli artt. 2 e 24 Cost. protegge la funzione,
non anche comportamenti che non attengono all’esercizio tipico della
potesta’ di governo, ma sono espressamente ritenuti e qualificati
illegittimi, in quanto lesivi di diritti inviolabili, come
riconosciuto, nel caso in esame, dalla stessa CIG e, dinanzi ad essa,
dalla RFG (supra, punto 3.1.), ma cio’ nonostante sprovvisti di
rimedi giurisdizionali, come pure e’ attestato nella sentenza della
CIG, nella parte ove dichiara di non ignorare «che l’immunita’ dalla
giurisdizione riconosciuta alla Germania conformemente al diritto
internazionale puo’ impedire ai cittadini italiani interessati una
riparazione giudiziaria» (punto 104), auspicando conseguentemente la
riapertura di negoziati.
Pertanto, in un contesto istituzionale contraddistinto dalla
centralita’ dei diritti dell’uomo, esaltati dall’apertura
dell’ordinamento costituzionale alle fonti esterne (sentenza n. 349
del 2007), la circostanza che per la tutela dei diritti fondamentali
delle vittime dei crimini di cui si tratta, ormai risalenti, sia
preclusa la verifica giurisdizionale rende del tutto sproporzionato
il sacrificio di due principi supremi consegnati nella Costituzione
rispetto all’obiettivo di non incidere sull’esercizio della potesta’
di governo dello Stato, allorquando quest’ultima si sia espressa,
come nella specie, con comportamenti qualificabili e qualificati come
crimini di guerra e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili
della persona, in quanto tali estranei all’esercizio legittimo della
potesta’ di governo.
Vale, infine, precisare che il diritto al giudice sancito dalla
Costituzione italiana, come in tutti gli ordinamenti democratici,
richiede una tutela effettiva dei diritti dei singoli
(sull’effettivita’ della tutela giurisdizionale dei diritti ex art.
24 Cost., tra le tante, di recente, sentenze n. 182 del 2014 e n. 119
del 2013; anche sentenze n. 281 del 2010 e n. 77 del 2007).
Questa Corte, che pure aveva, come sopra ricordato, riconosciuto
che il sistema di controllo giurisdizionale previsto per
l’ordinamento comunitario appariva rispondere ai caratteri di un
sistema di tutela giurisdizionale equivalente a quello richiesto
dall’art. 24 Cost. (sentenza n. 98 del 1965), ha espresso una
valutazione diversa di fronte alla prassi della stessa Corte di
giustizia UE di differire gli effetti favorevoli di una sentenza su
rinvio pregiudiziale anche per le parti che avevano fatto valere i
diritti poi riconosciuti, cosi’ vanificando la funzione del rinvio
pregiudiziale, riducendo vistosamente l’effettivita’ della tutela
giurisdizionale richiesta e pertanto non rispondendo in parte qua a
quanto richiesto dal diritto al giudice sancito dalla Costituzione
italiana (sentenza n. 232 del 1989, che indusse la Corte di giustizia
UE a mutare la sua giurisprudenza in proposito).
Significativo e’ del pari che la Corte di giustizia UE, in
riferimento all’impugnazione di un regolamento del Consiglio che
disponeva il congelamento dei beni delle persone inserite in un
elenco di presunti terroristi predisposto da un organo del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite (comitato delle sanzioni), ha
anzitutto respinto la tesi del Tribunale di primo grado che aveva
sostanzialmente stabilito il difetto di giurisdizione del giudice
comunitario, affermandone il dovere di garantire il controllo di
legittimita’ di tutti gli atti dell’Unione, anche di quelli che
attuano risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La Corte ha poi affermato che gli obblighi derivanti da un accordo
internazionale non possono violare il principio del rispetto dei
diritti fondamentali che deve caratterizzare tutti gli atti
dell’Unione. L’esito e’ stato l’annullamento del regolamento
comunitario, per quanto di ragione, per la violazione del principio
di tutela giurisdizionale effettiva e la mancanza, nel sistema delle
Nazioni Unite, di un adeguato meccanismo di controllo del rispetto
dei diritti fondamentali (Corte di giustizia UE, sentenza 3 settembre
2008, cause C-402 P e 415/05 P, punti 316 e seguenti, 320 e
seguenti).
3.5. – Nella specie, l’insussistenza della possibilita’ di una
tutela effettiva dei diritti fondamentali mediante un giudice,
rilevata, come detto, dalla CIG e confermata, dinanzi alla predetta,
dalla RFG, rende manifesto il denunciato contrasto della norma
internazionale, come definita dalla predetta CIG, con gli artt. 2 e
24 Cost.
Tale contrasto, laddove la norma internazionale sull’immunita’
degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati comprende
anche atti ritenuti iure imperii in violazione del diritto
internazionale e dei diritti fondamentali della persona, impone a
questa Corte di dichiarare che rispetto a quella norma, limitatamente
alla parte in cui estende l’immunita’ alle azioni di danni provocati
da atti corrispondenti a violazioni cosi’ gravi, non opera il rinvio
di cui al primo comma dell’art. 10 Cost. Ne consegue che la parte
della norma sull’immunita’ dalla giurisdizione degli Stati che
confligge con i predetti principi fondamentali non e’ entrata
nell’ordinamento italiano e non vi spiega, quindi, alcun effetto.
La questione prospettata dal giudice rimettente con riguardo alla
norma «prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai
sensi dell’art. 10, primo comma, Cost.», della norma consuetudinaria
di diritto internazionale sull’immunita’ degli Stati dalla
giurisdizione civile degli altri Stati e’, dunque, non fondata,
considerato che la norma internazionale alla quale il nostro
ordinamento si e’ conformato in virtu’ dell’art. 10, primo comma,
Cost. non comprende l’immunita’ degli Stati dalla giurisdizione
civile in relazione ad azioni di danni derivanti da crimini di guerra
e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della persona, i
quali risultano per cio’ stesso non privi della necessaria tutela
giurisdizionale effettiva.
4.- Diversamente va valutata la questione di legittimita’
costituzionale sollevata nei confronti dell’art. 1 della legge di
adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (legge 17 agosto 1957, n.
848). Tale disposizione e’ censurata per violazione degli artt. 2 e
24 Cost., nella parte in cui, dando esecuzione alla Carta delle
Nazioni Unite, ed in specie all’art. 94 della medesima, che prescrive
che «ciascun membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla
decisione della CIG in ogni controversia di cui esso sia parte»,
impone espressamente all’ordinamento interno di adeguarsi alla
pronuncia della CIG anche quando essa, come nella specie, ha
stabilito l’obbligo del giudice italiano di negare la propria
giurisdizione in riferimento ad atti di quello Stato che consistano
in violazioni gravi del diritto internazionale umanitario e dei
diritti fondamentali quali i crimini di guerra e contro l’umanita’.
4.1.- La questione e’ fondata nei limiti di seguito precisati.
L’art. 1 della legge n. 848 del 1957 ha provveduto a dare «piena
ed intera esecuzione» allo Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San
Francisco il 26 giugno 1945, il cui scopo e’ il mantenimento della
pace e della sicurezza internazionale. Fra gli organi
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e’ istituita la CIG (art. 7),
organo giudiziario principale delle Nazioni Unite (art. 92), le cui
decisioni vincolano ciascuno Stato membro in ogni controversia di cui
esso sia parte (art. 94). Tale vincolo, che spiega i suoi effetti
nell’ordinamento interno tramite la legge di adattamento speciale
(autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione), costituisce
una delle ipotesi di limitazione di sovranita’ alle quali lo Stato
italiano ha consentito in favore di quelle organizzazioni
internazionali, come l’ONU, volte ad assicurare pace e giustizia fra
le Nazioni, ai sensi dell’art. 11 Cost., sempre pero’ nel limite del
rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili tutelati
dalla Costituzione (sentenza n. 73 del 2001). Ora, la previsione
dell’obbligo di conformarsi alle decisioni della CIG, che discende
dal recepimento dell’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, non
puo’ non riguardare anche la sentenza con la quale la predetta Corte
ha imposto allo Stato italiano di negare la propria giurisdizione
nelle cause civili di risarcimento del danno per i crimini di guerra
e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della persona,
commessi dal Terzo Reich nel territorio italiano.
Ed e’ comunque con esclusivo e specifico riguardo al contenuto
della sentenza della CIG, che ha interpretato la norma internazionale
generale sull’immunita’ dalla giurisdizione degli Stati stranieri
come comprensiva dell’ipotesi di atti ritenuti iure imperii
qualificati come crimini di guerra e contro l’umanita’, lesivi di
diritti inviolabili della persona, che si delinea il contrasto della
legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite con gli artt. 2 e
24 Cost. Considerato che, come si e’ gia’ ricordato piu’ volte, la
tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali costituisce uno dei
"principi supremi dell’ordinamento costituzionale", ad esso non puo’
opporre resistenza la norma denunciata (l’art. 1 della legge di
adattamento), limitatamente alla parte in cui vincola lo Stato
italiano, e per esso il giudice, a conformarsi alla sentenza del 3
febbraio 2012 della CIG, che lo costringe a negare la propria
giurisdizione in ordine alle azioni di risarcimento danni per crimini
contro l’umanita’, in palese violazione del diritto alla tutela
giurisdizionale dei diritti fondamentali.
Per il resto, e’ del tutto ovvio che rimane inalterato l’impegno
dello Stato italiano al rispetto di tutti gli obblighi internazionali
derivanti dall’adesione alla Carta delle Nazioni Unite, ivi compreso
il vincolo ad uniformarsi alle decisioni della CIG.
L’impedimento all’ingresso nel nostro ordinamento della norma
convenzionale, sia pure esclusivamente in parte qua, si traduce – non
potendosi incidere sulla legittimita’ di una norma esterna – nella
dichiarazione di illegittimita’ della legge di adattamento speciale
limitatamente a quanto contrasta con i conferenti principi
costituzionali fondamentali (sentenza n. 311 del 2009).
Cio’ e’ conforme alla prassi costante di questa Corte, come
emerge significativamente dalla sentenza n. 18 del 1982 con cui
questa Corte ha dichiarato, tra l’altro, «l’illegittimita’
costituzionale dell’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810
(Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi, e del
Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l’Italia, l’11
febbraio 1929), limitatamente all’esecuzione data all’art. 34, commi
quarto, quinto e sesto, del Concordato, e dell’art. 17, della legge
27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per l’applicazione del
Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella
parte relativa al matrimonio), nella parte in cui le suddette norme
prevedono che la Corte d’appello possa rendere esecutivo agli effetti
civili il provvedimento ecclesiastico, col quale e’ accordata la
dispensa dal matrimonio rato e non consumato, e ordinare
l’annotazione nei registri dello stato civile a margine dell’atto di
matrimonio» (nello stesso senso, fra le tante, sentenze n. 223 del
1996, n. 128 del 1987, n. 210 del 1986 e n. 132 del 1985).
Rimane ferma e indiscussa la perdurante validita’ ed efficacia
della legge di adattamento n. 848 del 1957 per la parte restante.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 1 della legge di adattamento n. 848 del 1957, limitatamente
all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite,
esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad
adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli
impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di
uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro
l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della persona.
5.- Occorre, infine, esaminare la questione di legittimita’
costituzionale avente ad oggetto l’art. 3 della legge n. 5 del 2013.
Sulla base di argomenti analoghi a quelli svolti a sostegno delle
altre questioni (supra, punto 3. e seguenti), il giudice rimettente
solleva, in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., il dubbio di
legittimita’ costituzionale del predetto articolo, nella parte in cui
obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG
anche quando essa, come nella specie, gli impone di negare la propria
giurisdizione di cognizione nella causa civile di risarcimento del
danno per crimini contro l’umanita’, ritenuti iure imperii, commessi
dal Terzo Reich nel territorio italiano. Tale articolo, infatti,
impedendo l’accertamento giurisdizionale e l’eventuale condanna delle
gravi violazioni dei diritti fondamentali subite dalle vittime dei
crimini di guerra e contro l’umanita’, perpetrati sul territorio
dello Stato italiano investito dall’obbligo di tutela
giurisdizionale, ma commessi da altro Stato nell’esercizio, ancorche’
illegittimo, dei poteri sovrani, contrasterebbe con il principio di
tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili, consacrato negli
artt. 2 e 24 Cost.
5.1.- La questione e’ fondata.
La norma censurata si inserisce nell’ambito della legge n. 5 del
2013, con la quale l’Italia ha disposto l’autorizzazione all’adesione
e la piena ed intera esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite
sulle immunita’ giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, adottata
a New York il 2 dicembre 2004. Tale Convenzione, che entrera’ in
vigore trenta giorni dopo la data del deposito del trentesimo
strumento di ratifica, e’ volta a recepire, in via convenzionale, il
principio del diritto internazionale consuetudinario dell’immunita’
giurisdizionale degli Stati generalmente riconosciuto, delimitandone
l’ambito di operativita’ mediante l’individuazione dei casi di
esenzione (quali, ad esempio, quelli inerenti alle transazioni
commerciali, ai contratti di lavoro ed alle lesioni all’integrita’
fisica delle persone: artt. 10, 11 e 12), al fine di garantire «la
certezza del diritto, in particolare nei rapporti tra gli Stati e le
persone fisiche e giuridiche» (cosi’ nel preambolo). Il legislatore
italiano, pertanto, con la citata legge di adattamento speciale n. 5
del 2013, ha provveduto a recepire nell’ordinamento interno la
suddetta Convenzione, mediante la richiamata previsione
dell’autorizzazione all’adesione (art. 1), nonche’ mediante la
formula dell’ordine di esecuzione (art. 2), vincolandosi a
rispettarne tutti i precetti. Esso ha, tuttavia, anche inserito il
censurato art. 3, con il quale ha testualmente disposto che «1. Ai
fini di cui all’articolo 94, paragrafo 1, dello Statuto delle Nazioni
Unite, […] quando la CIG, con sentenza che ha definito un
procedimento di cui e’ stato parte lo Stato italiano, ha escluso
l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla
giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia
relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio e anche quando ha
gia’ emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha
riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di
giurisdizione in qualunque stato e grado del processo. 2. Le sentenze
passate in giudicato in contrasto con la sentenza della CIG di cui al
comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate
per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’articolo 395 del
codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile
e in tale caso non si applica l’articolo 396 del citato codice di
procedura civile».
Si tratta, nella sostanza, di una disposizione di adattamento
ordinario, diretta alla esecuzione della sentenza della CIG del 3
settembre 2012. Con tale articolo, in altri termini, si e’ provveduto
a disciplinare puntualmente l’obbligo dello Stato italiano di
conformarsi a tutte le decisioni con le quali la CIG abbia escluso
l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla
giurisdizione civile, imponendo al giudice di rilevare d’ufficio, in
qualunque stato e grado del processo, il difetto di giurisdizione, e
giungendo fino al punto di individuare un ulteriore caso di
impugnazione per revocazione delle sentenze passate in giudicato,
rese in contrasto con la decisione della CIG.
Dall’esame dei lavori parlamentari risulta con evidenza che tale
articolo e’ stato adottato, peraltro a breve distanza dalla sentenza
del 3 febbraio 2012 della CIG, al fine di garantirne espressamente ed
immediatamente il rispetto ed «evitare situazioni incresciose come
quelle createsi con il contenzioso dinanzi alla Corte dell’Aja» (atti
Camera n. 5434, Commissione III Affari Esteri, seduta del 19
settembre 2012).
E cio’ senza escludere le ipotesi in cui la CIG, come nel caso
della sentenza del 3 febbraio 2012, abbia affermato l’immunita’ dalla
giurisdizione civile degli Stati in relazione ad azioni risarcitorie
di danni prodotti da atti che siano configurabili quali crimini di
guerra e contro l’umanita’, lesivi di diritti inviolabili della
persona, anche ove posti in essere dalle forze armate dello Stato sul
territorio dello Stato del foro. In tal modo la norma impugnata
deroga anche a quanto espressamente previsto dalla stessa Convenzione
delle Nazioni Unite sulle immunita’ giurisdizionali degli Stati e dei
loro beni, come risulta confermato dalla dichiarazione interpretativa
depositata, unitamente all’adesione, dal Governo italiano, nella
quale si esclude espressamente l’applicazione della Convenzione e
delle limitazioni in essa previste alla regola dell’immunita’ nel
caso di danni o lesioni prodotte dalle attivita’ delle forze armate
sul territorio dello Stato del foro.
L’obbligo del giudice italiano, stabilito dal censurato art. 3,
di adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli
impone di negare la propria giurisdizione nella causa civile di
risarcimento del danno per crimini contro l’umanita’, commessi iure
imperii da uno Stato straniero nel territorio italiano, senza che sia
prevista alcuna altra forma di riparazione giudiziaria dei diritti
fondamentali violati, si pone, pertanto, come si e’ gia’ ampiamente
dimostrato in relazione alle precedenti questioni (supra, punti 3. e
4.), in contrasto con il principio fondamentale della tutela
giurisdizionale dei diritti fondamentali assicurata dalla
Costituzione italiana agli artt. 2 e 24 Cost. Come si e’ gia’
osservato, il totale sacrificio che si richiede ad uno dei principi
supremi dell’ordinamento italiano, quale senza dubbio e’ il diritto
al giudice a tutela di diritti inviolabili, sancito dalla
combinazione degli artt. 2 e 24 della Costituzione repubblicana,
riconoscendo l’immunita’ dello Stato straniero dalla giurisdizione
italiana, non puo’ giustificarsi ed essere tollerato quando cio’ che
si protegge e’ l’esercizio illegittimo della potesta’ di governo
dello Stato straniero, quale e’ in particolare quello espresso
attraverso atti ritenuti crimini di guerra e contro l’umanita’,
lesivi di diritti inviolabili della persona.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 3 della legge n. 5 del 2013.
6.- L’affermazione della giurisdizione del giudice rimettente
lascia impregiudicato il merito delle domande proposte nei giudizi
principali, il cui esame resta a lui riservato.
La pretesa di danni avanzata dai ricorrenti, infatti, non rientra
nel thema decidendum attribuito al giudizio di questa Corte, per cio’
stesso neppure la valutazione di ogni elemento di fatto o di diritto
che ne confermi ovvero ne escluda il fondamento.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 3 della
legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla
Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunita’ giurisdizionali degli
Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonche’
norme di adeguamento dell’ordinamento interno);
2) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 1 della
legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni
Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), limitatamente
all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite,
esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad
adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia
(CIG) del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria
giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che
consistano in crimini di guerra e contro l’umanita’, lesivi di
diritti inviolabili della persona;
3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimita’ costituzionale della norma «prodotta nel
nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10,
primo comma, Cost.», della norma consuetudinaria di diritto
internazionale sull’immunita’ degli Stati dalla giurisdizione civile
degli altri Stati, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 24 della
Costituzione, dal Tribunale di Firenze, con le ordinanze indicate in
epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2014.

F.to:
Giuseppe TESAURO, Presidente
e Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 ottobre 2014.

Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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