Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 26-03-2012, n. 4770 Concessioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L’Iren Energia s.p.a., subentrata nella gestione dell’impianto di produzione di energia idroelettrica (OMISSIS), ha chiesto al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche di annullare la determinazione della Provincia di Torino in data 16 novembre 2007, di rettifica della potenza nominale media di concessione (OMISSIS), e dei provvedimenti presupposti, connessi e conseguenti.

L’amministrazione aveva in precedenza chiesto i dati delle portate, della produzione e dei rendimenti delle macchine dell’impianto, dichiarando di voler perfezionare i relativi atti amministrativi, considerando che i collaudi, effettuati nel 1954, avevano carattere di provvisorietà. La società ha sostenuto che i provvedimenti di concessione già rilasciati avevano carattere definitivo, che i collaudi eseguiti non avevano carattere provvisorio e neppure attinenza con la determinazione della potenza nominale degli impianti, e che le concessioni si trovavano in regime di proroga legale.

2. Il Tribunale superiore, con sentenza 27 maggio 2011, ha respinto la domanda. Ha ritenuto assorbente la necessità di far riferimento alla potenza sviluppabile in rapporto alla risorsa idrica che l’impianto può utilizzare, per cui la potenza nominale media non si ricollega alla semplice capacità produttiva, ma alla portata d’acqua che il concessionario trova a propria disposizione e può sfruttare per finalità energetiche. Ha quindi considerato i disciplinari del 1921 e del 1924 e il verbale di collaudo, ritenuto non definitivo, e ha rilevato che i primi contemplano un aggiornamento periodico dei canoni e sovra canoni, onde conservarne la proporzionalità rispetto all’attività imprenditoriale svolta dal concessionario, e che ciò rientra nell’esercizio di una potestà riconosciuta all’ente provinciale sia dalla Regione Piemonte, la cui disciplina normativa si applica in luogo di quella statale, e sia dal Ministero dell’ambiente.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre Iren Energia s.p.a. a norma del R.D. n. 1775 del 1933, art. 201, per quattro motivi.

Resistono con controricorso Provincia di Torino, Regione Piemonte, Comunità Montana Valli Orco e Soana.

Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio non ha svolto difese.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso (per violazione di legge e difetto assoluto di motivazione) si deduce che, nonostante le intervenute pronunce d’incostituzionalità delle norme di proroga legale succedutesi dal 1999, le concessioni erano in regime transitorio di proroga legale D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ex art. 15, comma 6 ter, lett. e), convertito in legge con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, norma che consente al concessionario attuale di proseguire nella gestione fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, nei caso in cui, alla scadenza della concessione, non sia ancora concluso il procedimento d’individuazione del nuovo gestore, com’era stato confermato dalla sentenza della Corte cost. n. 205/2011. Le concessioni, infatti, erano in regime di proroga in forza delle loro caratteristiche risultanti dagli atti di regolazione in precedenza emanati, e le norme applicabili non contemplavano alcuna possibilità d’incidere su di esse modificandone i contenuti.

5. Il motivo di censura, invocando le proroghe legali delle concessioni, suppone che la sentenza impugnata le abbia ritenute scadute. L’assunto non ha alcun fondamento. E’ vero che il D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 12, comma 8 bis (aggiunto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 15, comma 6 ter, lett. e) coordinato con la legge di conversione 30 luglio, n. 122 del 2010), norma tuttora in vigore, prevede che, anche qualora alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario, il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, "alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti". La scadenza della concessione, sin quando non sia individuato il nuovo concessionario, non comporta dunque un regime normativo diverso da quello proprio della concessione scaduta.

Ora, il Tribunale superiore, applicando i disciplinari delle concessioni, per ciò stesso non è incorso nell’errore di supporre che la scadenza delle concessioni attribuisse all’amministrazione concedente poteri diversi e maggiori di quelli consentiti in precedenza. L’espresso riferimento della sentenza ai disciplinari, inoltre, fa sì che l’affermazione della società ricorrente, secondo la quale le norme applicabili non contemplerebbero alcuna possibilità di modificare il contenuto delle concessioni, quanto alla potenza nominale degli impianti, è generica e inammissibile. La ricorrente non indica le disposizioni normative che negherebbero la possibilità della revisione della potenza nominale, mostrando di ritenere il divieto implicito nel fatto stesso della proroga legale, e non considera che, nello schema argomentativo del Tribunale superiore, la proroga invocata non può essere di ostacolo, ed è al contrario argomento favorevole, all’applicazione degli istituti contrattuali contemplati dal disciplinare, e utilizzati nella decisione.

6. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di norme di diritto, non precisate, nonchè difetto assoluto e contraddittorietà di motivazione. Si muove dalla premessa che nel regolamento n. 1285 del 1920 è il collaudo che determina l’effettiva capacità della derivazione dalla quale dipende direttamente la determinazione del canone. In tale quadro la Provincia aveva motivato la sua iniziativa con la necessità di perfezionare gli atti amministrativi, perchè i collaudi effettuati nel 1951 avrebbero avuto carattere di provvisorietà, e ciò con una nota che aveva valore di avvio del procedimento della L. n. 241 del 1990, ex artt. 7 e 8. L’ente non aveva tuttavia proceduto poi al collaudo, ma aveva rettificato la potenza nominale degli impianti utilizzando i dati offerti dalla società concessionaria, e non aveva dunque rispettato l’indicazione offerta dell’oggetto del procedimento amministrativo, che pure era vincolante L. n. 241 del 1990 cit., ex art. 8. 7. Il motivo è inammissibile, sollevando una questione di diritto di cui non v’è traccia nella sentenza impugnata. Dalla lettura di essa non risulta, infatti, che la violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8 costituisse uno dei motivi d’impugnazione dell’atto.

8. Con il terzo motivo, denunciando la violazione di norme di diritto non precisate nonchè difetto assoluto e contraddittorietà di motivazione, la società censura affermazione dell’impugnata sentenza, per cui la peculiare disciplina normativa della Regione Piemonte si applica alla fattispecie in luogo di quella statale, senza precisare a quali norme regionali si faccia riferimento, e in base a quale principio la prevalenza della legislazione regionale sia stata affermata. La ricorrente aggiunge che i regolamenti regionali richiamati dalla Provincia di Torino (D.P.G.R. n. 10 del 2003 e n. 15 del 2004) si applicano per la determinazione dei canoni, mentre qui si verte in materia di concessioni di derivazione.

9. I motivo è inammissibile per la sua genericità. L’omessa indicazione delle norme applicabili alla fattispecie non integra di per sè il vizio di violazione di norme di diritto, e non dispensa la parte ricorrente dall’onere di indicare le norme che sarebbero state violate o falsamente applicate. Nella fattispecie il vizio del ricorso è tanto più grave, in quanto nella sentenza impugnata si afferma che il potere in capo all’ente provinciale, di procedere a un aggiornamento periodico dei canoni e sovra canoni, è riconosciuto non solo della normativa regionale (di cui si predica la prevalenza), ma anche dal Ministero dell’ambiente.

Quanto al vizio di motivazione, è ben noto che esso non è configurabile rispetto alle questioni di diritto.

10. Con il quarto motivo (violazione di norme di diritto non precisate, nonchè difetto assoluto e contraddittorietà di motivazione), la società cen-sura la falsa applicazione delle clausole dei due disciplinari, sul presupposto della loro qualificazioni come norme di diritto, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., n. 3. La – pur contestata, e non prevista dal R.D. 14 agosto 1920, n. 1285, art. 24 – possibilità di revisione della potenza nominale, se contemplata dalla concessione o dal disciplinare, potrebbe aver luogo solo nel caso espressamente previsto e contemplato dagli atti di regolazione della derivazione. Il disciplinare suppletivo del 28 novembre 1924 prevedeva la possibilità di variare la potenza motrice solo in caso di accertamenti effettuati "all’atto del collaudo". 11. Il motivo è infondato. Il R.D. 14 agosto 1920, n. 1285, art. 14 non contiene alcuna disposizione concernente la revisione della potenza nominale degli impianti o il contenuto del disciplinare. Il motivo si basa interamente sull’errata premessa che le clausole del disciplinare, previsto dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 40, sarebbero norme di diritto, nell’accezione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il disciplinare in questione, invece, è un atto amministrativo che integra la concessione, e le cui previsioni, applicabili esclusivamente al rapporto concessorio regolato, non hanno carattere di generalità e astrattezza. L’interpretazione delle clausole del disciplinare, conseguentemente, deve essere condotta con i criteri valevoli per l’interpretazione degli atti amministrativi, e non già con quelli dettati dalle disposizioni sulla legge in generale. Le clausole medesime, inoltre, non sono conosciute d’ufficio dal giudice, e, qualora la loro applicazione sia oggetto di censura per cassazione, nei limiti compatibili con questo giudizio, devono essere integralmente riprodotte nel ricorso. Nel motivo in esame, la clausola che, nel disciplinare suppletivo del 28 novembre 1924 invocato, disciplina la possibilità di variare la potenza motrice, oltre a non essere censurata in modo adeguato, non è riprodotta, e il motivo è inammissibile.

12. In conclusione il ricorso è rigettato. Le spese sono a carico della ricorrente, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate a favore di ciascuna delle parti resistenti in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,000 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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