Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-09-2011) 14-10-2011, n. 37058

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza della Corte d’appello di Brescia del 14.7.2010 veniva parzialmente riformata la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo in data 7.5.2009, che aveva condannato S.A.D. per varie ipotesi delittuose: la Corte riconosceva la colpevolezza del medesimo in ordine ai reati di associazione a delinquere, finalizzata al reclutamento e favoreggiamento della prostituzione di transessuali, tra cui M.S.R.C. e D.C. V.P.M., nonchè per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di costoro e di altri soggetti e lo condannava alla pena di anni sei e mesi sette di reclusione.

Il nome dell’imputato era emerso a seguito di attività investigativa condotta in occasione dell’omicidio di un viados occorso l’1.2.2006;

le intercettazioni telefoniche disposte portavano all’imputato ed alla sua fidanzata Ma.De.Ol., che risultavano responsabili del reato di procurato ingresso di M.S. R.C. e di D.C.V.P., ingresso ritenuto mirato al loro inserimento nel giro della prostituzione. Di qui anche l’accusa di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, essendo emerso da più voci che il S., oltre che pretendere gli incassi, fungeva da autista per condurre sul luogo del meretricio.

Gli elementi a carico del prevenuto si fondavano sulle indicazioni dei militari che avevano operato controlli ed appostamenti e sulle indicazioni delle persone offese. In particolare, D.C.V. aveva riferito di essere venuto in Italia per prostituirsi, che il biglietto gli era stato inviato via e-mail dal S. e che tutto il guadagno dell’attività di prostituzione lo aveva ceduto a quest’ultimo. Altri soggetti riferivano che il S. era intervenuto per convincerli a versare i denari a tale J. (alias F.S.R.); da ciò i giudici di merito rilevavano che lo stesso gruppo di persone che si era occupato del reclutamento e dell’introduzione in Italia di cittadini stranieri da immettere sul mercato della prostituzione, costringeva a pagare al F. alias J. che risiedeva in Brasile, verso cui venivano dirottate le somme acquisite, di talchè il S. veniva considerato associato di un gruppo strutturato per la commissione di reati. Quanto agli addebiti specifici – che poi sono contestati in sede di ricorso – di cui ai capi 3, 4, 5 e 6 l’accusa si basava sull’esito delle intercettazioni telefoniche, da cui emergeva che l’arrivo dei viados era stato programmato ed organizzato dal S. il quale aveva voluto prima di organizzare il viaggio visionare la fotografia di coloro che stava per introdurre in Italia, aveva spedito il biglietto aereo via e-mail ed aveva preteso 10.000 Euro a titolo di rimborso per le spese del viaggio.

La Corte sottolineava che, anche volendo ammettere che le due donne siano venute spontaneamente nel nostro paese, non poteva non essere apprezzata come integrata l’ipotesi di reato di cui al D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 12, atteso che è sufficiente per configurare il reato l’attività di ricerca di persone da reclutare e di persuasione a recarsi in un determinato luogo. Nè poteva rilevare in senso difensivo che l’ingresso dei due stranieri fosse avvenuto regolarmente, laddove finalizzato ad una permanenza illegale, atteso che le due donne vennero in Italia per esercitare la prostituzione.

L’intervento dell’imputato poi si esternò prima ancora che le donne giungessero in Italia, il che porta ad escludere che si possa parlare di solo favoreggiamento della permanenza.

2. Avverso detta sentenza, interponeva ricorso per cassazione l’imputato personalmente per dedurre con unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis, nonchè violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, carenza ed illogicità della motivazione sul punto. Viene sottolineato che era contestato all’imputato di avere, in concorso con Ma.De.

O., posto in essere atti idonei diretti a favorire l’ingresso in Italia di M.S.R. e D.C.V.P., laddove invece emergeva che la scelta di venire in Italia per prostituirsi fu fatta liberamente da costoro, il che significa che la sentenza impugnata avrebbe recepito dati di fatto diversi rispetto a quelli emergenti. Ancora, nessuna coartazione fisica sarebbe stata mai posta in essere nei confronti delle persone offese, che decisero liberamente di prostituirsi e continuarono a farlo una volta che l’imputato venne arrestato. Le stesse avevano libertà di movimento, ampia libertà di scelte, senza dover dare conto a nessuno. Quando venne arrestato il S., il visto di ingresso di d.C.V. P. non era ancora scaduto di validità, ragion per cui non doveva considerarsi verificata la condizione di illegalità richiesta affinchè potesse dirsi consumato il reato in oggetto.

Sul punto quindi l’imputato chiede di essere assolto dal reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, o quanto meno che il reato sia riqualificato come tentativo. Viene poi anche proposto di fare rientrare la condotta contestata nell’ipotesi di cui all’art. 12, comma 5, nell’ambito però solo del tentativo punibile, come favoreggiamento della permanenza del cittadino straniero: l’uso di vettori internazionali rappresenta mera modalità di esecuzione del favoreggiamento dell’ingresso illegale, mentre la finalità di lucro costituisce già il dolo specifico del reato di agevolazione della permanenza e quindi non può avere rilevanza ulteriore.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè riproduttivo di doglianze già avanzate in sede di appello, su cui è intervenuta ampia e congrua motivazione che è stata del tutto trascurata.

Il Tribunale e la Corte territoriale hanno fatto invero corretta applicazione del principio da questa Corte più volte affermato (cfr.

Sez. 1, 10.10.2007, n. 42985, Turbatu; Sez. 1, 12/5/04, Delnita, rv.

228.254; Sez. 1, 27/10/04, Passaro, rv. 229.823; Sez. 6 16/12/04, Buglione, rv. 230.950) secondo cui il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, sussiste ugualmente quando l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, anche se formalmente regolare, risulti in realtà finalizzato ad una permanenza illegale. E’ stato correttamente ritenuto del tutto irrilevante, ai fini della configurazione del reato in questione, che M.S.R. C. e D.C.V.P.M. possano essere entrate in Italia per esercitare la prostituzione senza alcuna costrizione.

Infatti è stato posto in evidenza che l’attività dell’imputato fu quella di fare arrivare in Italia le menzionate non per un soggiorno temporaneo, bensì per una permanenza irregolare mirata allo svolgimento dell’attività di prostituzione: non è un caso che la P. il giorno dopo il suo arrivo, come era stato constatato dalle stesse forze dell’ordine, fosse stata condotta sul luogo del meretricio e che prima di organizzare il viaggio in Italia, il S. abbia preteso di visionare una sua fotografia. Circostanze queste che non potevano che portare alle conclusioni a cui sono giunti i giudici di merito, senza forzatura alcuna, tanto più che il S. è stato ritenuto partecipe (e sul punto non ha mosso alcuna doglianza in detta sede, per cui la sentenza quanto all’addebito di cui all’art. 416 cod. pen. ha da intendersi definitiva) di un gruppo criminale che aveva come scopo proprio quello di gestire il reclutamento, lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione.

Nè può trovare condivisione la tesi difensiva secondo cui si avrebbe riguardo ad un caso di tentativo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ovvero si verserebbe nell’ipotesi di cui all’art. 12, comma 5, D.Lgs. citato: in primis va detto che la fattispecie criminosa in oggetto corrisponde ad un reato di pericolo o a consumazione anticipata che si perfeziona con il solo fatto di compiere atti diretti a favorire l’ingresso, con il che è di immediata evidenza come il reato nel caso di specie sia stato pienamente consumato. In secundis va ribadito che, come opportunamente osservato dalla corte territoriale, nella condotta dell’imputato non è solo apprezzabile un contributo diretto a favorire la permanenza degli stranieri irregolari, bensì un’attività svolta ben prima che gli stranieri giungessero in Italia, avendo il S. loro inviato via e-mail i documenti di viaggio.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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