Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-09-2011) 14-10-2011, n. 37056

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del giorno 8.6.2010 la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza emessa nei confronti di I.A. V. dal gip del Tribunale di Milano, in data 28.9.2009, di condanna per il reato di tentato omicidio ai danni di T.N. D.R., aggravato dai futili motivi.

I fatti occorsero il 20.10.2008, in Milano, a seguito di un litigio tra un gruppo di peruviani e uno contrapposto di salvadoregni all’esterno della discoteca "Classe a parte" di piazza Udine. Era emerso dall’indagine svolta che l’imputato aveva ideato una spedizione punitiva a seguito di un affronto (forse addirittura una botta o una coltellata che lo aveva costretto a letto) subito il giorno precedente e unitamente al minore L.E.A. – che aveva reso poi importanti dichiarazioni per la ricostruzione del fatto – aveva rincorso da tergo la vittima designata e mentre L. lo teneva per un braccio, lui lo aveva colpito ripetutamente con un coltello con sette fendenti. Il coltello era stato rinvenuto nella disponibilità del prevenuto, al momento del suo arresto, occorso a tre mesi di distanza dal fatto.

I giudici di merito avevano ritenuto che le motivazioni dell’aggressione erano da ricondurre a motivi futili; il fatto veniva qualificato come tentato omicidio, considerato a) l’elevato numero di coltellate inferte, b) la zona attinta (anche in sede ascellare, tanto da aver provocato pneumotorace), c) l’uso di coltello con lama lunga tredici centimetri, d) il fatto che l’imputato inseguì il malcapitato, mentre questi cercava di scappare, nell’intento di finirlo. La pena inflitta in primo grado di anni sei e mesi due di reclusione veniva ritenuta congrua.

2. Avverso la sentenza, interponeva ricorso per cassazione l’imputato personalmente per dedurre, con unico motivo, violazione della legge penale ( artt. 56 e 575 cod. pen.) ed errata qualificazione giuridica del fatto. Viene ribadito che la consulenza medica aveva evidenziato un breve decorso della malattia, la insussistenza di postumi permanenti, il fatto che l’offeso non incorse mai in pericolo di vita; si sottolinea inoltre che il fatto andava inquadrato in una logica di pestaggio, senza alcuna volontà omicida, tanto è vero che i fendenti erano stati indirizzati tutti verso parti periferiche della persona offesa. Si doleva, quindi il ricorrente dell’indagine condotta sull’elemento soggettivo dell’imputato, perchè il fatto andava riqualificato in termini di lesioni, non ricorrendo quel quid pluris che caratterizza il tentato omicidio.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La obiezione difensiva secondo cui non sarebbe configurabile il tentato omicidio, atteso il breve decorso della malattia e l’insussistenza di postumi permanenti, non può essere apprezzata, poichè la valutazione che deve essere compiuta, non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti dall’azione: così opinando infatti, la condotta, per non aver conseguito l’evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato. Il giudizio di idoneità, come è stato ripetutamele sottolineato, consiste in una prognosi ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili nel caso particolare. I giudici di merito si sono attenuti a tali parametri ed hanno correttamente concluso, riconoscendo la idoneità degli atti in funzione omicidiaria. Dal punto di vista soggettivo, l’animus necandi è stato desunto da un compendio che imponeva tale giudizio, poichè ritenuto correttamente dotato di inequivoca incidenza dimostrativa: basti pensare all’uso di arma micidiale, con lama lunga tredici centimetri, all’inseguimento della vittima, alla ripetitività dei colpi inferti ed alle delicatezza delle zone attinte (tutt’altro che periferiche, come sostenuto, avendosi riguardo alla sede ascellare e a quella ipogastrica), tutti fattori deponenti, senza possibilità di errore, per una manifesta volontà diretta ad uccidere: in altre parole i giudici hanno logicamente ritenuto, che gli accadimenti e la loro sequenza portavano ad affermare che l’imputato non aveva voluto altro che uccidere il suo antagonista, nel senso cioè che l’evento morte non era stato rappresentato come possibile, ma accettato nella sua concreta e probabile prevedibilità.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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