Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-09-2011) 14-10-2011, n. 37097 Falsità ideologica in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. T.G. e gli altri dodici imputati indicati in epigrafe, nonchè le due società loro facenti capo, erano stati oggetto di richiesta di rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze per rispondere:

1 – tutti, salvo le società:

– del reato (capo A) di cui l’art. 416 cod. pen., L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 4, per avere costituito e partecipato ad un’associazione per delinquere destinata a commettere una serie indeterminata di contrabbandi doganali, e reati connessi; contestato come commesso in Firenze da luglio 2001 a giugno 2007;

2 – C., + ALTRI OMESSI :

– del reato (capo B) di cui agli artt. 319 e 321 c.p., art. 322-bis c.p., comma 2, n. 2, art. 61 c.p., n. 2, per avere corrotto funzionari dell’Autorità doganale delle Filippine al fine di far loro rilasciare certificati d’origine Form-A ideologicamente falsi perchè falsamente attestanti la produzione delle merce nelle Filippine; contestato come commesso in Campi Bisenzio, Firenze e Manila dal 2001 alla fine del 2004;

– del reato (capo C) di cui all’art. 480 c.p. e art. 61 c.p., n. 10 per avere dato apporto alla compilazione dei medesimi certificati d’origine falsi; fatto contestato ai sensi dell’art. 6 cod. pen. come in parte commesso in Campi Bisenzio e Firenze dal 2001 alla fine del 2004;

– del reato (capo D) di cui agli artt. 48 e 479 c.p., art. 61 c.p., n. 2, per avere, con l’inganno consistito nell’allegazione delle dichiarazioni doganali Form-A di cui ai capi precedenti, indotto in errore i funzionari doganali italiani, così portandoli ad "attestare falsamente fatti dei quali i loro atti erano destinati a provare la verità", ossia a formare bollette doganali nelle quali era attestato contrariamente al vero che la merce era stata prodotta nelle Filippine anzichè, come nella realtà, in Cina; fatti contestati come commessi in la Spezia, Genova, Firenze, Milano e Livorno dal 2001 alla fine del 2004;

– del reato (capo E) di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, art. 295, comma 2, lett. c) e d), in relazione all’art. 1 reg. CE n. 1470 del 2001; D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 67 e art. 70, comma 1; L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 4, per avere, con le condotte prima indicate, sottratto merce al pagamento dei diritto di confine nella percentuale dovuta; fatto riferiti a bollette dal 2001 al 2004 e contestati come accertati in Firenze nell’ottobre 2007;

3 – C., + ALTRI OMESSI :

– del reato (capo F) di cui agli artt. 319 e 321 c.p., art. 322-bis c.p., comma 2, n. 2, art. 61 c.p., n. 2, e, dall’aprile 2006, di cui alla L. 16 marzo 2006, n. 146, artt. 3 e 4, per avere corrotto funzionari del Ministero dell’Industria della Malesia al fine di far loro rilasciare certificati d’origine Form-A ideologicamente falsi perchè falsamente attestanti la produzione di merce nella Malesia, anzichè in Cina; fatto riferito a Form-A emessi dal 9.12.2004 al 21.4.2006 e contestato come commesso il Campi Bisenzio, Firenze e Kuala Lampur dal dicembre 2004 all’aprile 2006;

– del reato (capo G) di cui all’art. 480 c.p. e art. 61 c.p., n. 10, per avere dato apporto alla compilazione dei medesimi certificati d’origine falsi; fatto contestato ai sensi dell’art. 6 cod. pen. come in parte commesso in Campi Bisenzio e Firenze dalla fine del 2004 all’aprile del 2006;

– del reato (capo H) di cui agli artt. 48 e 479 c.p., art. 61 c.p., n. 2, e, dall’aprile 2006, di cui alla L. 16 marzo 2006, n. 146, artt. 3 e 4, per avere, con l’inganno consistito nell’allegazione delle dichiarazioni doganali Form-A di cui ai capi F e G, indotto in errore i funzionari doganali italiani, così portandoli ad "attestare falsamente fatti dei quali i loro atti erano destinati a provare la verità", ossia a formare bollette doganali nelle quali era attestato contrariamente al vero che la merce era stata prodotta in Malesia anzichè, come nella realtà, in Cina; fatti contestati come commessi in la Spezia, Genova, Roma, Milano e Pisa dalla fine del 2004 a maggio 2006;

– dei reati (capi I e M) di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292, art. 295, comma 2, lett. c) e d), in relazione all’art. 1 reg. CE n. 1470 del 2001; D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 67 e art. 70, comma 1; L. n. 146 del 2006, artt. 3 e 4 per avere sottratto con i comportamenti merce al pagamento dei diritto di confine nella percentuale dovuta; fatti contestati come accertati in Firenze nell’ottobre 2007;

4 – A., + ALTRI OMESSI – del reato (capo N) di cui agli artt. 319 e 321 c.p., art. 322-bis c.p., comma 2, n. 2, art. 61 c.p., n. 2, L. 16 marzo 2006, n. 146, artt. 3 e 4 per avere corrotto funzionari del Ministero dell’Industria della Malesia al fine di far loro ostacolare gli accertamenti Olaf; fatto contestato come commesso in Campi Bisenzio, Firenze e Manila dall’ottobre 2006 al gennaio 2007;

5 – Duralamp s.p.a. e Targhetti Stankey s.p.a.:

degli illeciti (capi O e R) di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 8 e art. 5, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25, comma 2, in relazione ai delitti di corruzione transazionali.

2. Con sentenza pronunciata il 30 settembre 2010, depositata il 14 ottobre 2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze dichiarava la propria incompetenza affermando che, ai sensi dell’art. 16 cod. proc. pen., era competente per ragioni di territorio, in relazione ai più gravi reati contestati ai capi D) e H) il Tribunale di Livorno.

Osservava, a ragione, che trattandosi di contestazione che faceva riferimento a falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atti fidefacenti, la pena edittale per tali reati superava quella prevista per il delitto di associazione per delinquere, anche calcolando, per entrambi, l’aggravante del reato transnazionale.

2. Con l’ordinanza in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Livorno propone conflitto.

Osserva che le falsità ideologiche contestate con le imputazioni ai capi D) e H) non potevano considerarsi riferiti ad atti, o meglio a parti di atti, facenti fede fino a querela di falso. La falsità concerneva difatti la provenienza e origine dei prodotti, dichiarata in Italia dallo spedizioniere per conto della società produttrice e non gli aspetti riferibili alla provenienza del documento dal Pubblico ufficiale, ovvero alle dichiarazioni delle parti ed altri fatti attestati come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (indicati dall’art. 2700 cod. civ.).

3. L’Agenzia della Dogane ha prodotto memoria tramite l’Avvocatura dello Stato, con la quale sposa la tesi del Giudice di Livorno, insistendo per la competenza di Firenze sul rilievo che la falsità della dichiarazione e della documentazione prodotta dallo spedizioniere – revisionabile ai sensi del D.Lgs. n. 372 del 1990, art. 11 (recte, n. 374) – recepita suo tramite nella bolletta doganale (IM4), non incide sulla parte dell’atto che ha forza certificativa privilegiata, la bolletta non può attestare perciò sino a querela di falso la veridicità dell’origine della merce.

Motivi della decisione

1. Sussiste materia di conflitto negativo ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen. giacchè sia il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze sia il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Livorno hanno ricusano la competenza. E il conflitto va risolto dichiarando la competenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze.

2. E’ principio consolidato (Sez. 5, Sentenza n. 17425 del 13/03/2007, Giuliano) che l’efficacia fidefacente può essere riconosciuta soltanto ad atti tipici, espressamente disciplinati dalla legge come idonei a conferire certezza legale a quanto in essi documentato, anche se non può confondersi codesta tipicità con le categorie cui si riferiscono gli artt. 2699 e 2700 cod. civ., che non esauriscono gli atti fidefacenti perchè si riferiscono solo alle rogazioni e alle verbalizzazioni (sent. Giuliano e ivi citate: Sez. 6, 07/10/1969, Doddi, Rv. 113391; Sez. 5, 30/06/1971, Paolini, Rv.

119096), Dal collegamento tra veste di pubblico ufficiale del rogante e fede privilegiata dell’atto, discende direttamente, invece, che la natura di documenti dotati di fede privilegiata può riconoscersi soltanto a quei documenti, o meglio a quei contenuti documentati, che – in quanto emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire all’atto medesimo pubblica fede – presentino "i requisiti dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu, di fatti giuridicamente rilevanti e della formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione". Non basta perciò a rendere l’atto facente fede "fino a querela di falso" la circostanza che l’atto provenga da Pubblico ufficiale investito di potestà certificatrice, ma occorre anche che esso abbia un suo particolare contenuto concernente "l’opera propria del Pubblico ufficiale", ovverosia quanto da lui attestato come fatto, rilevato od avvenuto in sua presenza (Sez. 5, n. 4568 del 24/03/1972, Garbo) o, al più, quanto da lui attestato in relazione a constatazioni o accertamenti che era in sua facoltà e nella sua discrezionalità eseguire (Sez. 3, n. 5471 del 17.3.1987, Rapetti, Rv. 175868).

3. Ora, nel caso in esame, l’imputazione che potrebbe rilevare ai fini dello spostamento di competenza da Firenze a Livorno, perchè in tesi più grave rispetto all’associazione per delinquere aggravata ai sensi della legge n. 146 del 2006, contestata a tutti gli imputati, è soltanto quella al capo H), contestata soltanto a parte degli imputati, relativa a falsità ideologica continuata, e pure essa aggravata ai sensi della L. n. 146 del 2006 per l’ultima frazione della condotta.

La falsità, secondo il capo d’imputazione commessa inducendo in errore i funzionari doganali italiani circa il luogo di produzione della merce (Malesia anzichè Cina) mediante l’allegazione alle dichiarazioni doganali in importazione dei falsi certificati d’origine (Form-A) oggetto dei precedenti capi, è riferita però soltanto a quella parte dei contenuti delle bollette in cui i pubblici ufficiali italiani recepiscono documentazione eteroformata, accettata ai sensi del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 8, circa il luogo di produzione della merce. E poichè in relazione il luogo di produzione l’accertamento dell’ufficiale doganale è per forza di cose limitato alla verifica della rispondenza tra la dichiarazione per l’importazione e la documentazione allegata, l’attestazione in proposito contenuta nella bolletta doganale, non riconducibile ad un controllo sul fatto documentato effettuato direttamente dal Pubblico ufficiale, ha mero valore derivato e non può acquisire valore fidefacente in ordine a tale fatto.

Nè può incidere, come sostengono le difese degli imputati, la circostanza che la falsità delle bollette doganali sia stata contestata ai soggetti privati ai sensi dell’art. 48 cod. pen. (per l’induzione appunto dei pubblici ufficiali). Il rapporto di causa- effetto tra il fatto attestato, o documentato mediante allegazioni, dal privato, quale presupposto dell’emanazione dell’atto del pubblico ufficiale, ed il contenuto dispositivo di quest’ultimo e la stretta connessione logica tra l’uno e l’altro, comportano (come dice Sez. U, n. 35488 del 28/06/2007, Scelsi) che "la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicchè la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità". Ma la idoneità dell’atto a provare la verità su di un fatto in esso attestato, che costituisce requisito base della fattispecie prevista dall’art. 479 cod. pen., non comporta necessariamente che esso debba assumere, in relazione a tale suo contenuto o parte di contenuto, valore di fede privilegiata.

3. Ne consegue che, non apparendo e non potendo ritenersi contestata in fatto l’aggravante dell’art. 476, comma 2, per rinvio dall’art. 479 cod. pen., il reato edittalmente più grave è l’associazione per delinquere aggravata ai sensi della L. n. 146 del 2006, la cui commissione in Firenze non risulta confutata da alcuno, e la competenza a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio appartiene al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze.

P.Q.M.

Dichiara la competenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, cui dispone trasmettersi gli atti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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