Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-03-2012, n. 4899 Pensione di anzianità e vecchiaia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Trani del 12 dicembre 2008, ha rigettato la domanda di R.A. intesa ad ottenere la condanna dell’I.N.P.S. alla riliquidazione della pensione in godimento sulla base del salario medio convenzionale rilevato in ciascuno degli anni da considerare ai fini pensionistici, in luogo di quello pubblicato in ciascuno di detti anni. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui, in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va calcolata applicando il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 28 e, dunque, in forza della determinazione operata anno per anno da D.M. sulla media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale nell’anno precedente, ciò trovando conferma – oltre che nella impossibilità di rinvenire un diverso e più funzionale sistema di calcolo, che non pregiudichi l’equilibrio stesso della gestione previdenziale di settore – anche nella disposizione di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21, che, nell’interpretare autenticamente la L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3, concernente le prestazioni temporanee in favore dei lavoratori agricoli, ha inteso estendere ai lavoratori agricoli a tempo determinato l’applicazione della media della retribuzione prevista dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente prevista per i salariati fissi, così da ricondurre l’intero sistema ad uniformità, facendo operare, ai fini del calcolo di tutte le prestazioni, le retribuzioni dell’anno precedente.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la A. affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’I.N.P.S..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione del D.P.R. 488 del 1968, art. 28, nonchè della L. n. 457 del 1972, art. 3, comma 3, come interpretato autenticamente dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21; e violazione degli artt. 3 e 38 Cost.. In particolare si lamenta che la corte territoriale avrebbe accolto acriticamente un orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione senza considerare altre pronunce della stessa Corte di segno contrario secondo cui, in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va calcolata, sia applicando il D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28, sia applicando la L. n. 457 del 1972, art. 3, comma 3, nel testo risultante dalla norma di interpretazione autentica del 1999 ( L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21), sulla base delle retribuzioni medie annualmente vigenti, mentre nessuna disposizione appare idonea a giustificare il diverso sistema di calcolo improntato sulla media vigente nell’anno precedente, atteso che il citato D.P.R. n. 488, art. 28 rimette al D.M. la determinazione delle retribuzioni medie su cui calcolare la pensione, prescrivendo, però, senza alcun margine di discrezionalità, che la media sia quella vigente per ciascun anno, e, che l’ente previdenziale è già tempestivamente a conoscenza della media delle retribuzioni su cui determinare la retribuzione pensionabile di ciascun anno.

Con secondo motivo si rappresenta la sopravvenienza della norma di cui alla L. n. 191 del 1999, art. 2, comma 5, norma interpretativa della L. n. 457 del 1972, art. 3, secondo cui il termine previsto per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi di lavoro ai fini della determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato si applica il medesimo criterio previsto dall’art. 3, comma 2, suddetto per gli operai a tempo indeterminato, e si deduce l’illegittimità costituzionale di tale norma che prevederebbe, in violazione dell’art. 3 Cost., un’ingiustificata disparità di trattamento fra lavoratori agricoli e le altre categorie di lavoratori, in quanto solo per i primi la retribuzione non verrebbe calcolata sulla base delle retribuzioni percepite negli anni precedenti il collocamento in quiescenza; inoltre la stessa norma sarebbe in violazione dell’art. 36 Cost., che tutela il diritto del lavoratore a conservare, all’atto del pensionamento, un regime di vita quanto più prossimo possibile a quello tenuto in costanza di attività lavorativa; tale norma costituirebbe comunque uno ius superveniens applicabile solo per il futuro.

I motivi possono essere trattati congiuntamente.

Il ricorso è infondato, avendo la Corte rimeditato il precedente orientamento espresso con la sentenza n. 2377 del 5 febbraio 2007 alla luce di ulteriori e diverse argomentazioni. La questione oggetto del giudizio attiene alla misura della retribuzione pensionabile da prendere a base del calcolo della pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato. Com’è noto il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, che viene in applicazione nel caso in esame, ha compiuto una integrale trasformazione del sistema pensionistico, introducendo il sistema retributivo in luogo del previgente sistema contributivo.

Detto D.P.R., fu emanato in base alla delega conferita dalla L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 39, e che dettava, tra l’altro, il principio di "migliorare gradualmente l’attuale rapporto tra salari, anzianità di lavoro e livelli di pensione e attuare il conseguente equilibrio contributivo, in modo da assicurare, al compimento di 40 anni di attività lavorativa e di contribuzione, una pensione collegata all’80% della retribuzione media dell’ultimo triennio".

Pertanto al criterio contributivo, basato cioè sul calcolo dei contributi concretamente versati ed accreditati, si sostituì quello retributivo, che essendo essenzialmente collegato alle ultime retribuzioni percepite, era ispirato al criterio di conservazione del tenore di vita conseguito attraverso l’attività lavorativa, che non si voleva venisse depauperato dopo il pensionamento. Il D.P.R. n. 488 del 1968, dettò quindi le nuove regole, per cui (art. 5, comma 2), la pensione si determinava applicando, alla retribuzione annua pensionabile, la percentuale indicata in una tabella parametrata agli anni di anzianità contributiva, mentre la retribuzione pensionabile era costituita dalla media di quanto percepito nell’ultimo triennio.

Naturalmente al mutamento del sistema di computo delle pensioni faceva riscontro il mutamento del sistema di computo dei contributi (art. 4). Si comprende che, con il nuovo sistema, il dato retributivo diveniva fattore indispensabile ai fini del calcolo, sia dei contributi, sia delle pensioni, e quindi si poneva il problema di determinare la misura della retribuzione da prendere in considerazione per gli operai agricoli a tempo determinato, problema reso complicato non solo a causa della gran massa di lavoratori aventi diritto, che consigliava di adottare un sistema di agevole applicazione, ma anche perchè, proprio in considerazione della esistenza di vari contratti a termine, contenenti anche dati diversi l’uno dall’altro, il dato retributivo variava nel corso dell’anno, con conseguente difficoltà di rilevazione della retribuzione sui cui commisurare i contributi e determinare le pensioni. A questi inconvenienti, che avrebbero reso oltremodo difficile pervenire ad un tempestivo calcolo delle pensioni, si ovviò ricorrendo ad un sistema di determinazione annuale delle retribuzioni medie convenzionali provinciali, ossia ricavando il dato retributivo, su cui commisurare contributi e prestazioni, da decreti ministeriali che riproducevano le medie risultanti annualmente dai contratti provinciali vigenti per le varie categorie.

Invero il D.P.R. n. 488 del 1968, non enunciava espressamente quale fosse, per queste categorie, e cioè per i lavoratori agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile, ma faceva a tal fine riferimento al sistema di versamento dei contributi, ed infatti all’art. 5, comma 6, prevedeva che, quando la contribuzione si doveva determinare sulla base di salari medi o convenzionali, la retribuzione pensionabile si determinava allo stesso modo, e cioè sulla base delle retribuzioni medie o convenzionali medesime. L’art. 28 del medesimo D.P.R., in relazione al versamento dei contributi, prevedeva che i contributi base per l’anzianità, vecchiaia e superstiti fossero dovuti nelle misure stabilite dalla tabella allagata divise per sei, "in rapporto alle retribuzioni medie da determinarsi annualmente per provincia, con decreto del Ministro per il lavoro… sulla base delle retribuzioni risultanti dai contratti collettivi di lavoro stipulati per le suddette categorie di lavoratori dalla organizzazioni sindacali interessate". La retribuzione contributiva e la retribuzione pensionabile si determinavano quindi non già sulla retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, ma su quella risultante dalla media delle retribuzioni rissate dalla contrattazione collettiva provinciale, media che veniva poi trasfusa nel decreto ministeriale.

L’applicazione di detto sistema, prevista originariamente fino al 30 dicembre 1970, è stato poi prorogata, senza limiti di tempo, dalla L. 8 agosto 1972, n. 459, art. 8, che ha convertito il D.L. 1 luglio 1972, n. 287. E’ poi seguita la L. 8 agosto 1972, n. 457, intitolata "Miglioramenti ai trattamenti previdenziali ed assistenziali nonchè disposizioni per la integrazione del salario in favore dei lavoratori agricoli". L’art. 1 di detta legge prevedeva l’erogazione della indennità economica di malattia, giornaliera, ai lavoratori agricoli, sia salariati fissi, sia giornalieri di campagna (e quindi sia ai dipendenti a tempo indeterminato, sia a quelli a tempo determinato). L’art. 3 ne determinava la misura facendo riferimento, al comma 1, alla retribuzione fissata secondo le modalità di cui al D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28, che sopra si è riportato, mentre, ai commi 2 e 3, poneva una distinzione tra il sistema applicabile ai salariati fissi e quello applicabile invece ai lavoratori a tempo determinato: per i primi (comma 2) l’ammontare della retribuzione era costituito "dalla media della retribuzione prevista per ciascuna qualifica dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente", mentre per i giornalieri di campagna era costituito "dalla media tra le retribuzioni delle diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro vigenti al 30 ottobre di ogni anno". Lo stesso sistema di liquidazione era previsto nella citata L. n. 257, per l’indennità di maternità (art. 3, comma 3) e per il trattamento speciale per la disoccupazione (art. 25). Non mette conto esaminare (se non per quanto più oltre si dirà) le successive evoluzioni della normativa attinente alle prestazioni temporanee ( L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21) giacchè si discute nella presente causa, non già della retribuzione da considerare a quei fini, e cioè per la indennità di disoccupazione, malattia e maternità, ma di quella da considerare ai fini pensionistici.

5. E’ pacifico che i decreti ministeriali di determinazione delle retribuzioni medie giornaliere, emanati annualmente e vincolanti per gli istituti previdenziali, hanno sempre fatto riferimento ai dati salariali relativi all’anno precedente alla loro emanazione. Il decreto ministeriale non può infatti che intervenire nell’anno successivo a quello di rilevazione delle retribuzioni stabilite dalla contrattazione collettiva della categoria a livello provinciale. Si sottolinea con il ricorso che, se questo è il sistema, la retribuzione pensionabile da prendere in considerazione è sì quella fissata nei decreti ministeriali emanati ai sensi del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28, ma, per ogni anno, dovrebbe farsi riferimento al salario medio convenzionale risultante, non già del decreto emanato in quel medesimo anno, perchè questo determina il salario medio convenzionale dell’anno precedente, ma a quello risultante dal decreto ministeriale emanato nell’anno successivo, perchè solo in tal modo vi sarebbe la corrispondenza, per ciascun anno, tra retribuzione pensionabile e retribuzione riferita al lavoro prestato.

La tesi non è condivisibile in quanto il D.P.R. del 1968 rimanda direttamente, per la determinazione della retribuzione pensionabile, ai decreti ministeriali, i quali, inevitabilmente, non possono che rilevare le medie sulla base delle retribuzioni fissate dai contratti collettivi provinciali dell’anno precedente. Vi è quindi sicuramente una discrasia tra i dati del decreto e quelli concernenti i dati retributivi provinciali, ma detta discrasia è insita nel sistema e quindi la sua legittimità è presupposta. Se non è possibile determinare, con sufficiente precisione e semplicità di calcolo, la retribuzione pensionabile sulla base di quella effettivamente percepita o comunque dovuta – perchè non lo consente la frammentazione dei rapporti di lavoro degli operai agricoli a tempo determinato, che non percepiscono, nel corso di ciascun anno, retribuzioni in misura costante – è giocoforza ricorrere ad un sistema di conteggio in qualche modo forfetizzato, che però, al pari di quanto avviene per le altre categorie di lavoratori, sia commisurato alle retribuzioni spettanti e quindi percepite, dal momento che il parametro da usare è pur sempre quello determinato dalla contrattazione collettiva provinciale. La impossibilità di adottare un sistema di conteggio diverso giustifica invero la discrasia che sopra si è rilevata tra il decreto e l’anno cui si riferisce la contrattazione collettiva provinciale. Inoltre, se così non fosse, il sistema non sarebbe in condizione di funzionare.

Occorre infatti considerare che anche i contributi vengono pagati dai datori di lavoro sulla base dei medesimi decreti ministeriali, e quindi sulla base delle retribuzioni dei contratti provinciali dell’anno precedente e, d’altra parte, stante la rigida cadenza dell’obbligo di versamento dei contributi, non vi sarebbe possibilità di effettuare i versamenti dovuti sulla base di un parametro non ancora rilevato, come la media delle retribuzioni contrattuali dell’anno in corso. Vi è quindi simmetria, sotto questo aspetto, tra pensioni e contributi da versare, perchè entrambi sono parametrati ai decreti ministeriali che riproducono le medie delle retribuzioni concordate per l’anno precedente, mentre non sarebbe possibile differenziare, ossia commisurare i contributi al decreto dell’anno (che si riferisce alle medie dell’anno precedente), e commisurare invece la retribuzione pensionabile al decreto dell’anno successivo (che si riferisce alle medie dell’anno di riferimento), giacchè nessuna norma del D.P.R. del 1968 in commento lo prevede, facendo anzi riferimento allo stesso dato, e cioè allo stesso decreto ministeriale per calcolare contributi e pensioni. D’altra parte, una tale discrasia di dati tra il sistema di determinazione delle pensioni e il sistema di commisurazione dei contributi, condurrebbe sicuramente allo squilibrio economico della gestione, giacchè il decreto dell’anno recepisce, in genere, retribuzioni in misura maggiore rispetto a quelle recepite nel decreto dell’anno precedente. Ed ancora, nella legge non si trova alcun meccanismo che, al fine di eliminare la discrasia cui sopra si è fatto cenno, preveda, sia per la erogazione delle pensioni, sia per il pagamento dei contributi, un sistema di liquidazione provvisoria, cui faccia seguito un pagamento definitivo all’esito dei conteggi da effettuare dopo la conoscenza dei dati prescritti. Mentre un meccanismo di liquidazione provvisoria sarebbe indispensabile ove si pretendesse di effettuare i calcoli alla luce di dati non ancora disponibili al tempo di scadenza dell’obbligo contributivo e dell’obbligo di erogazione della pensione. La possibilità della liquidazione provvisoria deve infatti essere espressamente prevista dalla legge (cfr. L. 15 febbraio 1958, n. 46, art. 10, per cui la concessione del trattamento di liquidazione provvisoria della pensione è consentita, per le pensioni dirette, nei soli casi in cui per particolari motivi non si sia potuto provvedere alla liquidazione definitiva nei tempi prescritti; ed ancora il D.L. 2 marzo 1974, n. 30, art. 2 decies, convertito in L. 16 aprile 1974, n. 114). Invero, l’unica forma di liquidazione provvisoria viene prevista in relazione alle prestazioni temporanee dalla citata L. n. 457 del 1972, art. 3, comma 4. Come già rilevato al punto 2, detto art. 3, disponeva che per i giornalieri di campagna la indennità di disoccupazione fosse costituito "dalla media tra le retribuzioni delle diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro vigenti al 30 ottobre di ogni anno". Ebbene, per costoro vi era necessità di determinare immediatamente, all’atto stesso dello stato di disoccupazione, e prima ancora della vigenza del contratto provinciale del 30 ottobre, la misura della indennità ed a ciò si provvide, stabilendo che "fino alla emanazione dei relativi decreti ministeriali è stabilita una retribuzione media di L. 3.250 giornaliere". La mancanza di previsione che contempli la liquidazione provvisoria anche in materia di pensioni, conferma che di questa non vi è necessità, e che i dati rilevanti da considerare sono quelli dei decreti ministeriali, che riproducono le medie retributive dell’anno precedente. Peraltro la citata L. n. 257 del 1972, art. 3, è stato interpretato autenticamente dalla disposizione sopravvenuta di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21, nel senso che si deve fare applicazione della media della retribuzione prevista dai contratti collettivi vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente anche per i lavoratori agricoli a tempo determinato. Detta norma conduce quindi ad uniformità il sistema, valendo ormai, per il calcolo di tutte le prestazioni, le retribuzioni dell’anno precedente. Inoltre è ben vero che secondo il sistema retributivo operante per le altre categorie, la retribuzione pensionabile veniva ancorata (prima della entrata in vigore della L. 8 agosto 1995, n. 335, che ha reintrodotto il sistema contributivo) alla retribuzione percepita nelle ultime settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione (le ultime 260 settimane ai sensi della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, comma 4, e le ultime 520 settimane ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 2, comma 3), ciò in quanto il sistema di calcolo retributivo della pensione, essendo ispirato all’intento di non alterare negativamente il regime di vita acquisito in costanza di attività lavorativa, tendeva a garantire una prestazione pensionistica di misura prossima il più possibile all’ultimo trattamento retributivo percepito. Tuttavia, per quanto riguarda i lavoratori agricoli a tempo determinato, il sistema che sopra si è descritto di determinazione della retribuzione pensionabile sulla base di decreti ministeriali, oltre ad essere quello che consentiva una agevole e rapida liquidazione, era comunque legato all’ammontare delle retribuzioni di cui ai CCNL provinciali, ancorchè con la discrasia temporale sopra rilevata, la quale peraltro non sempre era destinata a procurare pregiudizio all’interessato, ben potendo la retribuzione ivi fissata restare costante nell’uno e nell’altro anno (da ultimo Cass. 30 gennaio 2009 n. 2531, 3 febbraio 2009 n. 2596; 23 febbraio 2009 n. 4355).

Il ricorso va quindi rigettato.

La peculiarità della questione trattata e l’esistenza di orientamento giurisprudenziale di merito difforme costituiscono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso; Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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