Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37365

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 26 gennaio 2010, ha riformato la sentenza del Tribunale di Modica del 19 marzo 2009 ed ha condannato V.G. per il delitto di lesioni personali in danno di P.T..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) una motivazione illogica in merito all’affermazione della penale responsabilità;

b) una violazione di legge in ordine alle valutazioni della prova;

c) la prescrizione del reato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Giova premettere in diritto e quanto al primo motivo di ricorso, come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

3. Ancora più infondato è il secondo motivo dell’odierno ricorso posto che il Giudicante, con motivazione pienamente logica, ha chiarito il perchè della validità delle dichiarazioni testimoniali della parte offesa, corroborate da idonea certificazione medica in merito alle subite lesioni.

Anche in questo caso una rilettura delle risultanze probatorie del giudizio di merito non si concilia con il presente giudizio di legittimità, allorquando la motivazione del giudicante non si appalesi, come nella specie, manifestamente illogica.

4. Dalla declaratoria d’inammissibilità del ricorso derivano, quali ulteriori conseguenze, l’impossibilità di accertare l’intervenuta prescrizione del reato, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende nonchè la rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado liquidate in complessivi Euro 1.800, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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