Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-03-2012, n. 4893

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. G.A. e gli altri ricorrenti sono medici che frequentarono i corsi di specializzazione post-universitaria nel periodo compreso tra gli anni accademici 1983/1984 e 1990/1991 nell’Università degli studi di Chieti. Convennero in giudizio l’Università di Chieti e il Ministero dell’Università per far accertare il loro diritto a percepire i compensi indennitari previsti dalla normativa comunitaria per l’attività svolta, con conseguente condanna delle amministrazioni ai relativi pagamenti. Le amministrazioni si costituirono chiedendo il rigetto dei ricorsi.

2. Il Tribunale di Chieti, dichiarò la giurisdizione dell’AGO, la competenza funzionale del giudice del lavoro, il difetto di legittimazione passiva dell’Università e la legittimazione del Ministero. Ritenne, però, che il diritto si fosse estinto per prescrizione quinquennale, respingendo il ricorso e compensando le spese.

3. I ricorrenti proposero appello. La Corte d’appello dell’Aquila ha respinto l’appello ed ha confermato la sentenza.

4. La Corte di merito, dopo aver dato atto del fatto che Corte di cassazione e Corte di giustizia europea hanno qualificato come perfetto il diritto dei medici specializzandi ad una adeguata remunerazione previsto dalle norme comunitarie, ha ritenuto che, nel caso di specie, tale diritto si sia prescritto, perchè il carattere risarcitorio della domanda comporta che essa ricade nella disciplina dell’art. 2947 c.c., comma 1. 5. I ricorrenti hanno articolato due motivi di ricorso. Il Ministero si è difeso con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

6. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la decisione per errata applicazione della normativa sulla decorrenza della prescrizione, che la Corte d’appello indica con il 31 dicembre 1982, termine concesso agli stati membri per recepire le direttive comunitarie.

7. Con il secondo si censura l’applicazione del termine quinquennale, sostenendo che il termine è invece decennale. Nella sua memoria per l’udienza la difesa ministeriale ha rilevato che la materia è stata regolata dalla L. n. 183 del 2011, art. 4, comma 43, chiedendo l’applicazione di tale nuova norma.

8. Tre sono quindi le questioni da affrontare: decorrenza e durata del termine prescrizionale, applicabilità al caso in esame della nuova normativa.

9. Sulle prime due questioni la giurisprudenza è consolidata.

10. Le sezioni unite, con la decisione 17 aprile 2009, n. 9147, hanno affermato che la prescrizione in questa materia è quella "ordinaria decennale", perchè la pretesa dei medici è "diretta all’adempimento di una obbligazione ex lege (di natura indennitaria), riconducibile come tale all’area della responsabilità contrattuale". La giurisprudenza successiva della Corte non si è discostata da tale principio di diritto, nè in questa sede sono state prospettate argomentazioni idonee a motivare un’ordinanza di nuova rimessione alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c..

11. La giurisprudenza è ormai consolidata anche sul tema della decorrenza della prescrizione. Al termine di un’ampia panoramica della situazione normativa e giurisprudenziale, Cass. 17 maggio 2011, n. 10813, ha affermato sul punto che "Il diritto al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento della direttiva 82/76/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11". 12.L’affermazione è stata ribadita dalla successiva Cass., 31 agosto 2011, n. 17868, che ha potuto tener conto della sentenza 19 maggio 2011 (in causa C-452/09) della Corte di giustizia dell’Unione europea, resa su domanda pregiudiziale del Tribunale di Firenze, spiegando le ragioni per le quali la nuova pronuncia della Corte di giustizia non richiede modifiche nell’orientamento del giudice italiano. Si rinvia alle articolate motivazioni di tali sentenze, dai cui enunciati non vi sono ragioni per discostarsi.

13.Deve, invece, essere affrontata la questione posta da una nuova previsione legislativa sul punto, introdotta dalla L. 12 dicembre 2011, n. 183, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" (Legge di stabilità 2012).

14.Si tratta dell’art. 4, comma 43, che così recita: "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è affettivamente verificato". 15. La disposizione concerne tutti i casi di azione per il risarcimento del danno derivante dal mancato recepimento nell’ordinamento italiano di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari.

16. Vengono fissate due regole. La prima è che la prescrizione in questi casi è quella disciplinata dall’art. 2947 c.c., che tratta della prescrizione del diritto al risarcimento del danno sancendo che il termine è di cinque anni. La seconda regola concerne la decorrenza del termine di prescrizione. Viene stabilito che esso decorre "dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato". 17. E’ indubbio che in tale situazione rientri il caso dell’inadempimento delle direttive sul compenso dei medici specializzandi ed è chiaro che, a causa di tale nuova disposizione, cambia la regolamentazione della prescrizione (anche) di questa specifica materia.

18. Il problema è di stabilire con che efficacia temporale cambia.

La tesi, sostenuta dalla difesa del Ministero, che la legge avrebbe efficacia retroattiva, non è fondata.

19. La regola generale in materia di efficacia della legge nel tempo è che "la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo" ( art. 11 preleggi).

2O. In materia civilistica questa regola può trovare eccezioni, ma il legislatore, se decide di introdurre un’eccezione, lo deve disporre, dichiarando che la norma è retroattiva, e da quando, oppure indicandone la natura interpretativa di altra previsione legislativa. Nel caso in esame il legislatore non ha dato alcuna indicazione in tal senso. Non vi è nella formula legislativa nessuna espressione, che possa far pensare ad una volontà legislativa di far retroagire la previsione.

21. La legge nel suo complesso, in base a quanto stabilito dal suo art. 36, entra in vigore il 1 gennaio 2012. Il medesimo articolo specifica che la decorrenza di alcune disposizioni è anteriore. Tra queste disposizioni non è indicato l’art. 4, comma 43. 22. L’art. 4, in cui è inserito il comma 43, si intitola "riduzione delle spese non rimodulabili dei Ministeri" ed è impostato nel suo complesso verso il futuro, disponendo una serie di modifiche che riguardano i bilanci dei vari ministeri per il 2012. 23. Ma quel che più conta è che la disposizione specifica, il comma 43, non contiene alcun elemento semantico che possa indicare una volontà del legislatore, sia pure implicita, di far retroagire la norma. A fortiori non si rinviene alcun elemento da cui si possa dedurre a che data la stessa verrebbe fatta retroagire. Non si dice che la norma opera retroattivamente, non si dice che la norma ha valore interpretativo di altra previsione, collegando in tal modo l’efficacia retroattiva all’entrata in vigore della disposizione interpretata.

24. In particolare, non si può attribuire efficacia retroattiva alla norma in forza dell’espressione in ogni caso. L’inciso è così collocato: "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatoli comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina dell’art. di cui all’art. 2947 c.c. e decorre dalla data ….". E’ evidente che con quell’inciso il legislatore ha voluto affermare (o rafforzare l’affermazione) che tutte le possibili azioni risarcitorie derivanti dal mancato recepimento di direttive comunitarie o di altri provvedimenti obbligatori comunitari da parte dello Stato italiano soggiacciono alla prescrizione quinquennale, senza distinzioni di sorta (in ogni caso). Significato e collocazione dell’inciso impongono di ritenere che esso concerna forme, contenuti ed oggetto delle azioni, non certo che in tal modo il legislatore abbia voluto conferire efficacia retroattiva alla previsione imponendo la nuova regola anche nelle controversie in corso.

25. Il legislatore, in questa occasione, sembra essere stato particolarmente attento a non introdurre elementi volti a modificare le regole, e quindi l’esito, di controversie in corso, anche al fine di evitare quei problemi di conformità ai principi sanciti dall’art. 6 CEDU, che sono derivati da altri interventi legislativi meno cauti.

26. La norma sopravvenuta incide, su di un termine che, per doversi considerare decennale ormai in base a giurisprudenza consolidata delle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 9147 del 2009, cit.), abbrevia. Va allora applicato l’art. 252 disp. trans. c.c. che, parimenti per affermazione delle Sezioni unite (n. 6173 del 2008) nonchè della Corte costituzionale (n. 128 del 1996), è di applicazione generale ossia non limitata alle questioni di diritto transitorio che si posero all’entrata in vigore del codice civile.

L’affermazione è avvalorata anche dalla comparazione: l’art. 2222 c.c. francese, introdotto con la novella n. 2008-561, corrisponde al nostro art. 252 cit., nè la dottrina dubita che esso "constitue le droit commun". 27. Il nuovo e più breve termine si applica perciò dal giorno di entrata in vigore della legge che lo dispone (purchè a norma della legge precedente non rimanga a decorrere un termine minore, ma questo problema qui non si pone) e tutto questo comporta che il precedente termine decennale è stato tempestivamente interrotto con l’atto introduttivo del presente giudizio.

28. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio ad altra Corte d’appello che deciderà applicando i principi di diritto su specificati. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Roma anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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