Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-03-2012, n. 4993 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 15.10.1996 P.T. e P. A. convenivano in giudizio avanti il Tribunale di Roma la spa Rainalter, e premesso la medesima aveva loro promesso in vendita una unità immobiliare sita in (OMISSIS), deducevano di essere venuti a conoscenza, prima di procedere al rogito, di "diffusi abusi edilizi in sede di realizzazione dell’immobile" che ostavano alla stipula dell’atto pubblico di compravendita; chiedevano pertanto che il giudice adito, dichiarasse con sentenza – che tenesse luogo dell’atto pubblico ex art. 2932 c.c. – la loro proprietà dell’immobile in questione, ordinando alla promittente venditrice di eliminare gli abusi edilizi commessi, in modo da poter ottenere il trasferimento del bene….." senza il pregiudizio alcuno, al fine di ottenere l’agibilità e l’abitabilità dell’appartamento e quindi dell’intero stabile".

Si costituiva la società convenuta rilevando che le predette denunziate difformità progettuali riguardavano altre parti dell’edificio diverse dalla porzione immobiliare in oggetto, precisando peraltro che le altre unità immobiliari erano state nel frattempo vendute. Intervenivano quindi in causa, su istanza degli attori, i compratori di tali unità immobiliari site nello stesso stabile ( B.M. P., Ma.Ma., D.O. F. e D.P.), nei confronti dei quali gli attori proponevano una domanda di risarcimento del danno in conseguenza degli abusi edilizi che costoro avrebbero commesso e che avrebbero impedito la regolarizzazione urbanistica dell’immobile. La causa veniva quindi interrotta in conseguenza del fallimento della srl Rainalter ed era successivamente riassunta dalla curatela fallimentare la quale, nel costituirsi dichiarava di volersi sciogliere il contratto L. Fall., ex art. 72.

Quindi il tribunale adito, con sentenza n. 38868/02 dichiarava lo scioglimento del contratto preliminare a seguito del recesso esercitato dal Fallimento; rigettava , siccome non provata, domanda di risarcimento dei danni nei confronti dei terzi chiamati in causa, che non si erano più costituiti in giudizio dopo la riassunzione ad opera del fallimento. Avverso la sentenza proponevano appello il P. e la Pa. lamentando che il tribunale non avesse qualificato il contratto oggetto dell’originaria loro domanda come accordo definitivo anzichè quale preliminare di vendita, con ogni consequenziale effetto in merito all’istanza della curatela fallimentare L. Fall., ex art. 72, domanda, che pertanto avrebbe dovuto essere disattesa. Lamentavano, inoltre gli appellanti che il 1 giudice non si era pronunciato sulla domanda di risarcimento da essi formulata nei confronti dei terzi chiamati nonostante il CTU avesse accertato l’esistenza del lamentato pregiudizio; invero si trattava di una domanda di condanna soltanto generica, per cui la sentenza era incorsa nel vizio di ultrapetizione per avere ritenuto non provato l’ammontare del pregiudizio patito.

Resisteva il fallimento chiedendo l’inammissibilità del gravame che verteva sull’accertamento del trasferimento della proprietà del bene, mentre il primo grado era stata proposta diversa domanda ex art. 2932 c.c.. Non si costituivano gli altri chiamati che venivano dichiarati contumaci. L’adita Corte d’Appello , con sentenza n. 1500/07 depos. in data 29.03.2007, dichiarava inammissibile il 1 motivo d’appello in quanto eccezione nuova e rigettava l’altra censura in quanto non era configurabile alcun vizio di ultrapetizione, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

Avverso la predetta sentenza P.T. e A. P. ricorrono in cassazione formulando n. 3 censure; resiste con controricorso il fallimento illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.; non hanno svolto difese gli altri intimati.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo del ricorso gli esponenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 345 c.p.c. con riferimento alla declaratoria d’inammissibilità della doglianza da essi dedotta con il primo motivo d’appello. Invero, con detta censura gli appellanti non avevano affatto proposto una domanda nuova rispetto a quella originariamente formulata (domanda ex art. 2932 c.c. a fronte di contratto preliminare, sostituita dalla domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprietà in forza della stessa scrittura privata del 15.10.1986). Essi in effetti, con l’indicata censura, si erano limitati ad eccepire l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scioglimento del contratto preliminare ai sensi della L. Fall., art. 72, trattandosi nella specie di "un atto di compravendita che avrebbe prodotto i suoi effetti in epoca anteriore al fallimento della Rainalter, atto con effetti traslativi immediati". Sottolineano i ricorrenti che la domanda giudiziale a suo tempo da essi formulata era stata ritualmente trascritta presso i Registri Immobiliari di Roma, prima che intervenisse la dichiarazione di fallimento della società e che fin dal 1986 si erano realizzati gli effetti del contratto, in quanto essi erano stati immessi nel possesso dei beni ed avevano pagato il relativo prezzo. In effetti gli esponenti, configurando in sede d’appello il contratto come definitivo, intendevano contestare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda della curatela, "perchè infondata ed improponibile rispetto ad un atto di compravendita che aveva prodotto i suoi effetti in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento della Rainalter SpA".

Con il 2 motivo gli esponenti deducono: la violazione e falsa applicazione degli art. 2932 c.c. in relazione a quanto disposto degli obblighi del giudice nell’interpretazione del contratto ex art. 1362 c.c.; insufficiente motivazione sul punto. Lamentano che la Corte distrettuale, ai fini della corretta valutazione della scrittura privata del 15.10.86 (se preliminare o atto definitivo) non avevano tenuto conto dell’effettiva volontà delle parti, "attraverso puntuali riscontri con il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto".

Entrambe le doglianze – congiuntamente esaminate stante la loro stretta connessione – non hanno fondamento.

Non v’è dubbio che – come puntualmente rilevato dalla Corte territoriale -la domanda proposta aveva ad oggetto l’esecuzione specifica di una contratto preliminare ex art. 2932 c.c., come chiaramente emerge sia dalla qualifica di contratto preliminare espressamente attribuita dagli attori stessi alla scrittura privata del 15.10.1986, sia dalla natura della sentenza sollecitata volta a trasferire agli istanti l’immobile. Nè hanno rilevanza l’intervenuto trasferimento del bene o l’avvenuto pagamento del prezzo trattandosi di effetti prodromici ed anticipatori (Cass. 12634/2011; Cass. 4863/2010).

Secondo questa S.C.: nel contratto preliminare di vendita d’immobile, ancorchè siano previsti la consegna del bene e il pagamento del prezzo prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica di per sè l’anticipazione di tutti gli effetti traslativi del contratto definitivo, se il giudice del merito, ricostruendo la comune intenzione delle parti e valutando il loro comportamento anche successivo al contratto, accerti che trattasi di contratto preliminare improprio, cioè con alcuni effetti anticipati, ma comunque senza effetto traslativo, in quanto la disponibilità del bene ha luogo nella piena consapevolezza dell’altruità della cosa (Cass. n. 12634 del 09/06/2011).

Ciò posto non può non ritenersi nuova la domanda contenuta nell’atto d’appello, diretta ad accertare l’intervenuto trasferimento della proprietà in forza della menzionata scrittura privata del 15.10.86 per cui s’imponeva da parte della Corte distrettuale la declaratoria d’inammissibilità della domanda stessa. Le due domande infatti differiscono sia per petitum che quanto alla causa "petendi", atteso "che nella prima ipotesi l’attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell’immobile; nella seconda un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato." (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15541 del 07/12/2000). Quanto alla facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto L. Fall., ex art. 72 essa, com’è noto, costituisce l’esercizio di un diritto potestativo ed è manifestazione di una scelta discrezionale spettante al curatore stesso, che opera direttamente sul contratto, e che può essere effettuata anche in sede stragiudiziale e posta in via d’eccezione, come nella fattispecie (eccezione consistente nelle prospettazione di una fatto impeditivo della pretesa azionata dall’attore) (Cass n. 33 del 07/01/2008).

Passando infine al terzo motivo del ricorso, con esso si deduce il vizio di motivazione sulla domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti dei terzi chiamati in causa; "in specie, l’omesso esame in ordine a quanto accertato dai CTU, anche allo scopo, nel giudizio di 1 grado." La doglianza riguarda il punto della decisione che ha ritenuto esclusa l’esistenza di uno specifico pregiudizio patrimoniale, mentre la domanda degli allora attori era diretta ad ottenere semplicemente una condanna generica nei confronti dei proprietari degli altri appartamenti ricompresi nel medesimo stabile.

Secondo i ricorrenti non si trattava di domanda nuova in quanto con l’atto d’appello, contrariamente all’originaria formulazione della domanda, era stato chiesto il risarcimento dei danni nell’ammontare da liquidarsi nel prosieguo del giudizio; invero, sollecitando la determinazione del danno stesso in altra sede processuale era stato semplicemente emendato il contenuto della domanda stessa. La doglianza è infondata.

La Corte capitolina ha infatti puntualmente escluso il denunciato vizio di ultrapetizione da parte degli appellanti, rilevando che nell’atto di chiamata in causa era stato richiesta la condanna dei terzi "ad eliminare entro breve termine" gli abusi edilizi loro rispettivamente ascritti, mentre, "in difetto" era stata sollecitata la loro condanna "al risarcimento dei danni subiti e subendi …per il mancato trasferimento ex art. 2932 c.c. dell’appartamento compromesso in vendita". Dunque non si trattava certo di una domanda di condanna solo generica avuto riguardo inoltre alla comparsa conclusionale del 13.6.2002 "nella quale l’accertamento definitivo dei danni e la loro liquidazione venivano riservati al prosieguo del giudizio"- e quindi non ad una causa futura – solo qualora il Giudicante non ritenesse ricorrere alla liquidazione equitativa. Si appalesava dunque infondata la censura di ultrapetizione de qua, mentre risultava inammissibile in assenza di un consenso degli appellati, rimasti contumaci, la domanda di condanna generica richiesta nell’atto di gravame".

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3.800,00, di cui Euro 3.600,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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