Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37356

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bolzano, con la sentenza del 17 aprile 2009 ha riformato la sentenza del Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Silandro del 29 maggio 2007 ed ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di W.C. per essere il reato di ingiurie in danno di G.A. estinto per prescrizione, confermando però gli effetti civili della pregressa condanna.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) una violazione di legge in merito alla mancata dichiarazione d’improcedibilità dell’ascritto reato, con impossibilità, quindi, di una pronuncia sulla proposta azione civile;

b) una omessa motivazione sul punto dell’affermata responsabilità civile;

c) una tardività della proposta querela.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

2. Il primo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto si risolvono nell’esame della medesima questione e cioè la pretesa tardività della querela, che avrebbe dovuto portare alla declaratoria d’improcedibilità del reato con l’impossibilità, per il Giudice del merito, di statuire sulle richieste civili della parte lesa.

Orbene, in punto di diritto, giova premettere come l’onere della prova della intempestività della querela sia a carico di chi alleghi l’inutile decorso del termine (v. da ultimo, Cass. Sez. 5, 19 giugno 2009 n. 30801) e che la detta prova non possa basarsi su semplici presunzioni o mere supposizioni (v. Cass. Sez. 6, 15 maggio 1998 n. 6567).

La decadenza del diritto a proporre la querela deve, infatti, essere accertata secondo criteri rigorosi e non può ritenersi verificata in base a semplici presunzioni prive di valore probatorio.

E’, altresì, opportuno rilevare come la eventuale situazione di incertezza debba essere risolta a favore del querelante (v. Cass. Sez. 6, 24 giugno 2003 n. 35122) proprio perchè l’onere della prova della intempestività incombe a chi la deduce.

Tuttavia, per dimostrare la sussistenza del vizio logico-giuridico di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il ricorrente non può limitarsi ad addurre l’esistenza di "atti del processo" non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o di "atti" processuali che non sarebbero stati correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dalla sentenza impugnata;

c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (v. da ultimo Cass. Sez. 6, 2 dicembre 2010 n. 45036).

Tale onere a carattere composito nel caso in esame non è stato assolto dal ricorrente, con particolare riferimento al dianzi indicato punto c), che propone censure generiche e del tutto inidonee a dimostrare che, in effetti, la querela fosse tardiva.

3. Il secondo motivo di ricorso è chiaramente infondato alla luce della pacifica giurisprudenza di questa Corte, a partire dalle Sezioni Unite 11 luglio 2006 n. 25083, che afferma, ex art. 578 c.p.p., la possibilità di una pronuncia sugli effetti civili nascenti dal reato pur in presenza dell’accertamento dell’intervenuta prescrizione.

La motivazione della Corte territoriale, inoltre, non può essere tacciata d’illogicità sul punto del mancato proscioglimento dell’imputato, in quanto anche in tal caso si è fatto corretto uso della giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. Un. 28 maggio 2009 n. 35490), secondo la quale in presenza di una causa di estinzione del reato il Giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il Giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.

4. Dal rigetto del ricorso deriva, infine, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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