Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-03-2012, n. 4984 Piano di lottizzazione convenzionato Piano regolatore comunale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

la srl Saccheria Piave citò innanzi al Tribunale di Venezia – sezione distaccata di San Dona di Piave – la srl Immobiliare Marmolada, per sentir emettere sentenza di trasferimento della proprietà di un terreno edificabile di mq 3195,giusta preliminare di vendita del 19 luglio 2001 rimasto inadempiuto; la società convenuta costituendosi eccepì – per quello che in questa sede rileva – la contrarietà a norme imperative della stipula in quanto, non essendo stato definitivamente approvato il piano di lottizzazione, la vendita di un appezzamento di terreno, scorporato da altro di maggior estensione, avrebbe concretato una lottizzazione abusiva.

Il Tribunale adito, pronunziando sentenza 119/2006, pur riconoscendo che il piano di lottizzazione non si era perfezionato, per mancata stipula della convenzione urbanistica, tuttavia accolse la domanda, non ritenendo concretizzati i presupposti della lottizzazione, vietata, in considerazione: del mancato frazionamento del terreno;

della mancata conseguente vendita di più lotti così realizzati che per le loro caratteristiche denunciassero in modo non equivoco la loro destinazione a scopo edificatorio; della dichiarata volontà della promittente venditrice di non procedere ad ulteriori alienazioni.

La Corte di Appello di Venezia accolse invece il gravame della Immobiliare Marmolada osservando: a – che nella fattispecie, non si era perfezionata la lottizzazione sia per la mancanza della stipula della relativa convenzione, sia anche per l’assenza di una doppia approvazione da parte del consiglio comunale, à sensi della L. n. 61 del 1985, art. 60 della Regione Veneto, necessaria in quanto si sarebbe trattato di un piano di lottizzazione non proposto da tutti i proprietari interessati bensì solo da una parte di essi, pur se titolari di tre quarti del valore degli immobili secondo l’imponibile catastale; b – che di conseguenza, mancando lo strumento attuativo ( piano particolareggiato o piano di lottizzazione) la semplice previsione di edificabilità del terreno da parte dello strumento generale (il piano regolatore generale, che aveva inserito l’intera area nella zona D, destinata ad insediamenti produttivi) non sarebbe stata sufficiente a render lecita la commercializzazione di singoli lotti destinati ad essere edificati; c – che le particolarità della fattispecie, poste dal Tribunale a giustificazione dell’accoglimento della domanda, non sarebbero state correttamente valutate, atteso che proprio dalle stesse si sarebbe dovuto trarre il convincimento che l’unica destinazione dell’attività di frazionamento sarebbe stata quella di alienare un lotto destinato all’edificazione e che irrilevante – oltre che non provata- sarebbe stata la volontà della promittente venditrice di limitare a quel solo lotto l’alienazione; d – che la con figurabilità della lottizzazione abusiva come sopra configurata non sarebbe stata smentita dalle previsioni del TU delle leggi sull’edilizia – D.P.R. n. 380 del 2001- disciplinante all’art. 30 diverse ipotesi di nullità con riferimento alla vendita di terreni in mancanza di certificato di destinazione urbanistica o di trasferimento pur dopo l’ordinanza sindacale di sospensione delle operazioni di lottizzazione abusiva, trattandosi, in entrambi i casi, di tutela preventiva del pubblico interesse sotteso alle norme di governo del territorio; e – che la rilevanza pubblicistica delle norme di riferimento, da un lato permetteva di identificare un’ipotesi di nullità negoziale a prescindere da un’espressa previsione legislativa e, dall’altro, consentiva di estenderne l’applicabilità anche a negozi non immediatamente traslativi, quali i contratti preliminari.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la srl Saccheria Piave, articolandolo su tre motivi, successivamente illustrati con memoria; ha resistito con controricorso la srl Stella, nella dichiarata qualità di incorporante la srl Immobiliare Marmolada.

Motivi della decisione

1 – La ricorrente ha preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione della società Stella in quanto la documentazione che avrebbe attestato la fusione della srl Immobiliare Marmolada in detta società sarebbe stata disponibile sin dal giudizio di secondo grado – risalendo l’incorporazione al 2007 – così che sarebbe stata tardiva la sua produzione in sede di legittimità. 1/a – L’eccezione non è fondata in quanto l’art. 372 c.p.c., allorchè consente la produzione nel giudizio in sede di legittimità, dei documenti attestanti l’ammissibilità – per quello che qui interessa – del controricorso, non fa distinzione in merito alle cause di tale ammissibilità che la produzione dovrebbe dimostrare; è poi errato sottolineare la possibilità della produzione anche nel precedente grado di giudizio in quanto la norma in esame, nel dettare l’eccezione al divieto di deposito di "nuovi "documenti, prevede appunto anche l’ipotesi di loro pregressa formazione , come è reso evidente dalla lettera della legge ("non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli…").

1/b – Va altresì messo in rilievo che neppure avrebbe potuto imputarsi alla società Stella di non aver fatto emergere tempestivamente un fatto rilevante al fine della corretta prosecuzione del giudizio, dal momento che l’incorporazione della Immobiliare Marmolada nella srl Stella, intervenuta successivamente all’introduzione dell’art. 2504 bis cod. civ., ad opera del D.Lgs. n. 6 del 2003, non poteva inquadrarsi nel novero degli eventi che, se dichiarati, avrebbero potuto determinare l’interruzione del processo (dando solo vita ad una vicenda lato sensu successoria: cfr. Cass. S.U. n. 19.698/2010).

2 – Sempre in via logicamente preliminare va scrutinata l’eccezione di giudicato interno sollevata dalla contro ricorrente: sostiene detta parte che non vi sarebbe stato un motivo di appello (incidentale) diretto a contestare la statuizione del Tribunale secondo cui non vi sarebbe stato un valido ed efficace piano di lottizzazione sull’area di proprietà della promittente venditrice in mancanza della stipula della convenzione urbanistica, rivolta a dar vita alla lottizzazione e rappresentante condizione di operatività della medesima; il gravame principale della deducente sarebbe stato invece diretto a contestare solo la statuizione della mancata approvazione del piano di lottizzazione in mancanza della doppia approvazione consiliare.

2/a – L’eccezione non è fondata in quanto, come emerge dalla descrizione del fatto contenuta a fol 3 della sentenza della Corte di Appello, la Saccheria Piave, nel resistere al gravame avversario, aveva sostenuto che, anche senza la convenzione attuativa, il piano di lottizzazione sarebbe stato efficace: così operando aveva quindi riproposto la tesi che svalutava la stipula della predetta convenzione come elemento di efficacia dell’intero piano di lottizzazione: dal momento che detta parte era risultata completamente vittoriosa in primo grado, non era latrice di un interesse ad impugnare il rigetto della suindicata prospettazione difensiva, ben potendosi limitare, come visto, a riprodurre ex art. 346 c.p.c., le difese del primo grado: da ciò deriva che correttamente la Corte di merito analizzò tale aspetto della controversia.

3 – Con il primo motivo parte ricorrente lamenta innanzi tutto l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale là dove ritenne non sufficiente la delibera comunale di approvazione del piano di lottizzazione al fine del suo perfezionamento, opinando in contrario che fosse all’uopo necessaria un’ulteriore approvazione, essendo stato proposto, detto piano, da una parte soltanto dei proprietari; in contrario osserva che siccome il piano venne approvato e reso esecutivo e considerato che tra gli allegati obbligatori al piano di lottizzazione vi erano l’elenco catastale delle proprietà, doveva allora desumersi che in tali documenti fosse contenuta anche la documentazione della proprietà totalitaria dell’area interessata, come sarebbe stato "verosimilmente" dimostrato dalla produzione del piano particolare;

nè, aggiunge parte ricorrente, la questione della proposizione del piano da parte di alcuni soltanto dei proprietari, sarebbe mai stata sollevata innanzi al consiglio comunale in sede di approvazione dello strumento urbanistico.

2/a – Sempre nell’ambito del medesimo motivo la parte ricorrente sindaca l’affermazione secondo cui il mancato perfezionamento della lottizzazione sarebbe dipeso dalla mancata formale stipula della convenzione di lottizzazione, rilevando in contrario che, a corredo del piano di lottizzazione da sottoporre all’approvazione comunale, vi sarebbe stata anche la suddetta convenzione e che, in ogni caso, la stipula per rogito notarile non avrebbe costituito condizione di efficacia della lottizzazione, come avrebbe dimostrato la previsione della L.R. n. 61 del 1985, art. 60, comma 7 citata, che collegava l’efficacia alla sola esecutività della delibera di approvazione, in effetti – e pacificamente – intervenuta; conferma dell’assunto interpretativo verrebbe rinvenuta anche nella funzione di detta convenzione che sarebbe quella di regolamentare i rapporti tra il Comune ed 1 lottizzanti e non già di condizionare l’efficacia e la vincolatività dello strumento urbanistico già perfettamente esecutivo a seguito della ricordata approvazione comunale.

2/b – La complessiva censura è inammissibile là dove non identifica il vizio del procedimento logico seguito dal giudice del gravame – mettendone in luce, in via di ipotesi, la insufficienza o la mancanza su un punto essenziale della controversia o, anche, la contraddittorietà rispetto alle premesse dell’argomentazione – ma si limita a non condividerne i risultati interpretativi, adducendo un’erronea ricognizione dei dati di causa attestanti che il piano di lottizzazione comprendente area più vasta, in cui era ricompresa anche quella oggetto di preliminare di vendita – al quale sarebbe stata allegata, assieme all’altra documentazione necessaria, anche la convenzione di lottizzazione – era stato approvato dal Consiglio comunale di San Dona di Piave l’8 luglio 1999. 2/c – Quanto poi al profilo, contenuto nello stesso mezzo che, pur senza richiamare espressamente il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ne denunzia l’esistenza – in quanto viene fatta valere la ritenuta erronea perimetrazione dell’ambito applicativo della L.R. Veneto n. 61 del 1985, art. 60 – deve rilevarsi innanzi tutto l’erroneità dell’assunto di partenza della ricorrente – là dove attribuisce alla stipula della convenzione una funzione meramente interna, rispetto al processo formativo della fattispecie della lottizzazione – in quanto detta convenzione, essendo diretta a disciplinare il successivo rilascio di concessioni edilizie e l’esecuzione concordata tra le parti di opere di urbanizzazione, rientra tra gli accordi sostitutivi del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 11, comma 5, (cfr. Cass. Sez. Un. 15388/2009); e rappresenta dunque condizione di efficacia del provvedimento di autorizzazione a lottizzare (vedi Cons. Stato 1989/82); deve altresì sottolinearsi che la motivazione della Corte lagunare si fondò su due argomenti – relativi alla mancanza della stipula della convenzione ed alla mancanza della seconda approvazione – ciascuno dei quali idoneo in astratto a sostenere la pronunzia in merito alla carenza dei presupposti di diritto per aversi lottizzazione legittimamente approvata.

3 – Con il secondo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 60 – approvante il testo unico delle leggi disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – là dove descrive le caratteristiche della lottizzazione abusiva c.d. negoziale, dolendosi parte ricorrente che la Corte di merito abbia omesso di considerare che la fattispecie sottesa alla disciplina in esame prevedeva una trasformazione urbanistica – attuabile con l’attività di frazionamento – di fondi generalmente agricoli o comunque a basso indice di edificabilità e non già a comparti, come quello in esame, destinati alle attività industriali, turistiche e commerciali, giusta indicazione contenuta nel certificato di destinazione urbanistica; da tale constatazione non sarebbe decisivo, al fine di identificare una attività negoziale vietata, il rilievo, sottolineato nella decisione impugnata, attribuito alla sostanziale destinazione all’edificazione che le parti avevano sancito nel preliminare. – La censura è fondata, pur con le precisazioni che seguono.

3/a – Invero la configurazione della lottizzazione c.d. negoziale – o, indiziaria, così denominata per la necessità di una ricerca della direzione della volontà dei soggetti a derogare le previsioni dell’assetto urbanistico del terreno – costituisce una difesa avanzata che l’ordinamento appresta contro i consapevoli tentativi di aggirare le previsioni urbanistiche e di derogarvi: il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, a tal fine accomuna le manifestazioni di autonomia privata, con le quali tipicamente si dispone di una parte del territorio, a quelle diverse forme negoziali (riassunte nella denominazione di "atti equivalenti") che conseguano – ed abbiano l’efficacia di conseguire – il medesimo scopo vietato. Nella sistematica della legge però non è sufficiente l’atto di iniziativa privata se ad esso non si accompagni un’ulteriore, pur se connessa, attività diretta – e come tale immediatamente percepibile – all’inveramento di tale scopo derogatorio delle previsioni urbanistiche.

3/b – Posto quanto precede, si è discusso in passato in dottrina ed in giurisprudenza sulla possibilità di far rientrare il contratto preliminare nel novero degli "atti equivalenti" , essendosi peraltro stabilizzato, in tempi recenti, l’indirizzo interpretativo che non sanziona di nullità tale accordo – in quanto direttamente non incidente sulla destinazione urbanistica, essendo privo di effetti traslativi – bensì ne mette in rilievo l’inidoneità a costituire il presupposto per la emissione della sentenza ex art. 2932 cod. civ. (cass. 4522/2008); appare peraltro chiaro che, anticipando in tal modo la difesa del territorio, ricomprendendovi – pur se solo nella prospettiva della loro esecuzione giudiziale- anche contratti preliminari, assume maggiore pregnanza la valutazione della idoneità dello strumento negoziale scelto ad incidere sul prefissato assetto territoriale, attraverso l’opera di frazionamento; in altri termini, quanto meno direttamente lo strumento negoziale è idoneo ad incidere su detto assetto tanto più deve essere rigorosa l’analisi degli indici indiziali della volontà di frazionare.

3/c – Conferma l’assunto anche la constatazione che la interpretazione di legittimità in merito ai requisiti minimi per aversi lottizzazione negoziale ha trovato espressioni di particolare rigore – tali da rinvenire indice univoco della volontà di lottizzare anche in ipotesi di mutamento di destinazione d’uso di complessi immobiliari già esistenti od in corso di realizzazione , assentiti come strutture turistico-alberghiere ma di fatto destinati per effetto del loro preventivo frazionamento, all’uso come civile abitazioni (vedi Cass. pen 2/3/2004 Repino) – in sede di tutela penale, laddove la configurazione del delitto di lottizzazione abusiva come reato di pericolo non solo ne anticipa la consumazione e la rilevanza degli elementi indiziari inquadraci nella fase preparatoria, ma determina un diverso approccio sistematico rispetto al giudice civile, che pure con la medesima qualificazione dell’attività negoziale deve confrontarsi; va in proposito rilevato che pur essendo il medesimo il bene protetto – dalla sanzione di nullità virtuale da un lato e dall’inquadramento come fattispecie penalmente rilevante dall’altro – il diverso esito sanzionatorio della condotta in violazione della previsione normativa impedisce di utilizzare, sic et simpliciter gli approdi interpretativi ai quali è pervenuta la giurisprudenza di legittimità penale di questa Corte.

4 – Ciò posto deve dirsi che il perimetro applicativo del T.U. edilizia del 2001, art. 30 può ricomprendere solo un’attività che non sia solo univocamente diretta alla deroga di prescrizioni urbanistiche – che allora potrebbe trovare la sua sanzione anche nella sola disciplina attinente alle condizioni per il rilascio del permesso di costruire – ma che sia altresì idonea – per le forme negoziali scelte- ad incidere sull’assetto urbanistico. Essenziale dunque appare il concreto frazionamento negoziale che non può rinvenirsi nel mero scorporo di un appezzamento minore da uno maggiore, pur con la previsione del futuro – e sperato – inserimento nella urbanizzazione di cui era pendente l’approvazione – perchè la direzione della volontà a porre in essere una condotta potenzialmente lesiva (vendita di più lotti) deve essere indagata nelle sue manifestazioni concrete e soprattutto nel suo carattere univoco.

5 – Erra dunque il Giudice dell’appello allorchè interpreta l’area di applicazione della fattispecie astratta di cui all’art. 30 T.U. cit. attribuendole una tale latitudine applicativa da farvi rientrare la semplice promessa di vendere un appezzamento di terreno da scorporare da altro di dimensioni maggiori, pur nella previsione della destinazione edificatoria del lotto stesso, senza che ex actis fossero risultati altri clementi sintomatici della idoneità della vendita, che in esecuzione del preliminare fosse stata stipulata, ad incidere sull’assetto urbanistico del territorio nel senso diffusivo sopra delineato.

6 – Con il terzo motivo viene denunciato il non congruo richiamo, a sostegno dell’interpretazione dell’art. 30 T.U. citato, operato dalla Corte territoriale a sentenze della Cassazione penale: il mezzo deve dirsi inammissibile in quanto eccentrico rispetto ai vizio di violazione e falsa applicazione della norma in scrutinio, integrando semmai una censura alla motivazione del giudice.

7 – La sentenza va dunque cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata a diversa sezione della Corte di Appello di Venezia che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo; dichiara inammissibile il terzo; cassa la gravata decisione e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 22 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2012

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