Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37092 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza deliberata il 16 marzo 2011, il Tribunale di L’Aquila, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., rigettava la richiesta di riesame proposta dalla difesa di P. E. avverso l’ordinanza emessa dalla Corte d’assise d’appello di L’Aquila il 23 febbraio 2011, che aveva disposto nei confronti dell’istante la misura cautelare della custodia in carcere, contestualmente alla condanna dello stesso alla pena di anni 27 di reclusione ed Euro 5000,00 di multa, siccome colpevole del delitto di omicidio volontario, porto e detenzione illegale di armi e spaccio di sostanza stupefacente.

2. Il Tribunale del riesame, condividendo le argomentazioni svolte nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, riteneva, infatti:

(a) che la pronunzia della sentenza di condanna in grado di appello – che aveva confermato quella emessa in primo grado dalla Corte di assise, la quale, però, non aveva ritenuto di adottare alcun provvedimento restrittivo nei confronti dell’imputato – costituiva un fatto nuovo che, in quanto tale, era idoneo a influire sulla consistenza delle esigenze cautelari ed a legittimarne un’autonoma valutazone, configurando, in particolare, la sussistenza di un pericolo di fuga, concreto ed attuale, desumibile, per altro, anche dalla personalità del P., il quale, già nel corso del procedimento di cui trattasi, si era già reso latitante per diversi mesi; (b) che sussisteva, altresì, un elevato, concreto ed attuale pericolo di reiterazione di reati da parte dell’istante, desumibile dalla estrema gravita della condotta materiale a lui ascritta; (c) dalla sussistenza a carico del condannato di diversi precedenti, anche se non specifici e dall’ulteriore circostanza che, il predetto, era stato scarcerato per decorrenza termini, con riferimento ad altre imputazioni (rapina e ricettazione)^oggetto di diverso procedimento.

Osservava, inoltre, il Tribunale, quanto all’eventuale applicazione di una diversa misura meno affittiva, per un verso, che le stesse non fornivano sufficienti garanzie di tutela dei ravvisati pericula libertatis, richiedendo la volontaria collaborazione del soggetto passivo; dall’altro, che in relazione al reato più grave, trovava applicazione, altresì, la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il P., personalmente, deducendone l’illegittimità:

– con il primo motivo, per vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un fatto nuovo idoneo a giustificare l’applicazione della misura cautelare;

– con il secondo, per violazione di legge ( art. 275 c.p.p., comma 3), non operando la presunzione di cui alla norma citata nel caso di accertata insussistenza di esigenze cautelari, con riferimento al requisito dell’attualità. In particolare, con il primo motivo di impugnazione si evidenzia, per un verso, l’assenza del requisito dell’attualità delle esigenze cautelari, a fronte di delitti commessi nel 1999, e per i quali il giudice di primo grado non aveva ritenuto di applicare alcuna misura; dall’altro, l’incongruità delle motivazioni addotte, sia allorquando viene ricollegato un pericolo di fuga, alla sola entità della pena inflitta ovvero ad un provvedimento di scarcerazione per decorrenza termini emesso in altro procedimento, senza indicazione di alcun elemento concreto da cui desumere una effettiva volontà del condannato di sottrarsi a prossimi provvedimenti restrittivi; sia allorquando viene affermata l’esistenza di un pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, desunto da precedenti condanne, nonostante esso ricorrente sia stato condannato, in via definitiva, solo per reati contro il patrimonio.

Motivi della decisione

1. L’ordinanza impugnata, adeguatamente motivata, resiste a tutte le censure prospettate in ricorso, che va quindi rigettato.

1.1 Al riguardo va anzitutto precisato che l’art. 275 cod. proc. pen., modificato da ultimo dal D.Lgs. 24 novembre 2000, n. 341, art. 16, conv. con modificazioni dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 e, successivamente, dalla L. 26 marzo 2001, n. 128, art. 14 comprende, per effetto dei citati interventi legislativi, il comma 1 bis e il comma 2 ter.

Il primo impone al giudice, contestualmente alla pronuncia di una sentenza di condanna, un particolare esame delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., lett. b) e c), comprensivo dell’esito del procedimento, della sanzione applicata, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, al fine di stabilire se, a seguito della decisione di condanna, si renda necessaria l’adozione di una misura cautelare personale.

Il secondo regola, invece, l’applicazione di misure cautelari personali nei casi di condanna in appello per uno dei reati indicati dall’art. 380 c.p.p., comma 1, commessi da un soggetto recidivo, stabilendo l’obbligatorietà dell’adozione della misura cautelare in presenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. pen., esaminate secondo i parametri fissati dal comma 1 bis della medesima disposizione.

Risulta, dunque, evidente la diversa portata delle due disposizioni, delle quali la prima, come è reso palese anche dal chiaro e univoco tenore letterale, impone al giudice che pronunci una sentenza di condanna una valutazione discrezionale, in base a parametri predefiniti, della sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. b) e c), mentre la seconda stabilisce l’obbligo per il giudice di appello, quando l’anzidetta valutazione si risolva nell’accertamento della sussistenza delle esigenze cautelari, di adottare la misura nei casi in precedenza indicati di condanna per uno dei reati elencati nell’art. 380 c.p.p., comma 1, commessi da soggetto recidivo (Cass., Sez. 4, 12 giugno 2002, n. 28094, rv. 222130; Cass., Sez. 1, 24 aprile 2003, n. 30298, rv.

226250). L’interpretazione logico sistematica dell’art. 275 cod. proc. pen., commi 1 bis e 2 ter rende evidente che, al di fuori delle ipotesi ( art. 275 c.p.p., comma 2 ter) in cui l’adozione della misura è obbligatoria, rimane comunque salva la facoltà del giudice d’appello di valutare discrezionalmente la necessità o meno della misura, non diversamente da quanto può fare il giudice di primo grado. Una differente lettura delle due disposizioni porterebbe a risultati paradossali, attribuendo al giudice di primo grado un potere più ampio e incisivo rispetto a quello d’appello, pur In presenza di un accertamento di merito più approfondito in conseguenza dell’intervenuto vaglio delle censure mosse alla decisione del giudice di prime cure.

Si può, quindi, affermare che l’art. 275 c.p.p., comma 1 bis, che impone al giudice di osservare determinati criteri ai fini della valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari "contestualmente" a una sentenza di condanna, lungi da limitare l’applicabilità delle misure cautelari al momento stesso della pronuncia della sentenza di condanna, impone solo una particolare regola di giudizio in ordine all’esame delle esigenze cautelari qualora l’imputato sia stato condannato. Pur se la previsione può apparire scontata – essendo ovvio che dopo una condanna il giudice investito di una domanda cautelare debba tener conto degli elementi che a tale pronuncia si accompagnino – appare chiaro che la sua ratto sia quella di ampliare i margini di applicabilità delle misure cautelari in termini di apprezzamento della sussistenza di esigenze cautelari e dei criteri di scelta tra esse e, nello stesso tempo, di imporre al giudice, in presenza di una richiesta del pubblico ministero, di non ritardare a un tempo successivo alla pronuncia di condanna la decisione circa l’applicazione della misura (Cass., Sez. 6, 19 gennaio 2005, n. 14223, rv. 231377).

2. Alla stregua di questi principi, nel caso in esame i giudici del riesame, pur senza affermarlo espressamente, hanno implicitamente ritenuto che la struttura dell’ordinanza adottata dalla Corte d’assise d’appello, il suo contenuto, la concreta articolazione logico-argomentativa modulata sui parametri normativi fissati dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 1 bis, quale desumibile dall’espresso riferimento all’intervenuta pronunzia di condanna e dalla valutazione tempestiva ed orientata della sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), alla stregua dei particolari criteri fissati dalla predetta disposizione, deponevano per la sua riconducibilità alla previsione contenuta nell’art. 275 c.p.p., comma 1 bis.

3. Ciò premesso, le doglianze difensive volte a contestare la insussistenza di esigenze cautelari legittimanti l’adozione della misura e manifeste incongruenze motivazionali, risultano prive di pregio. Il Tribunale del riesame, infatti, con motivazione compiuta e correttamente argomentata, ha specificamente enunciato le ragioni poste a base del provvedimento limitativo della libertà personale, richiamando, da un lato, l’intervenuta sentenza di condanna all’esito del giudizio d’appello, confermativa dell’affermazione di penale responsabilità in ordine al delitto di omicidio volontario da parte del giudice di primo grado, e, dall’altro, nella prospettiva di cui all’art. 274 c.p.p., lett. b) e c), la particolare gravita del fatto omlcidiario e delle ulteriori imputazioni ascritte al ricorrente, quale desumibile anche dall’entità della pena inflitta (27 anni di reclusione), la negativa personalità del P., gravato da numerosi precedenti, anche se non specifici; la circostanza che l’istante, già in passato, si era reso latitante. In questo contesto, basato su una pluralità di dati processuali obiettivamente indicativi di un concreto pericolo di fuga e di reiterazione degli illeciti, il richiamo alla data di commissione dei fatti per cui è intervenuta condanna (1999) ovvero alla mera constatazione che il ricorrente, nell’imminenza della pronuncia in grado di appello, non si sia reso irreperibile, non incide sulla consistenza del quadro cautelare, già pienamente integrato dagli altri dati processuali acquisiti. Il provvedimento impugnato appare, infine, rispettoso dei principi di proporzionalità e adeguatezza nella parte in cui ha esaurientemente illustrato i motivi per i quali le ritenute esigenze cautelari possono essere garantite solo mediante l’adozione della misura più afflittiva, tenuto conto della gravita dei delitti per i quali è intervenuta sentenza di condanna, della natura della sanzione inflitta, dell’elevato periodo di pena da espiare anche per gli altri fatti delittuosi, dell’attitudine alla fuga già in passato dimostrata, della spiccata propensione a delinquere messa in luce. La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

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