Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37090

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – C.R., titolare dell’Impresa RDM Costruzioni con sede in Scilla è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 28 luglio 2010 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, siccome gravemente indiziato del delitto del delitto di tentata estorsione, aggravata D.L. 13 maggio 1991, n. 152, ex art. 7 (capo AAA della rubrica provvisoria), contestatogli per aver compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere, con minacce, i responsabili della Alpideco s.r.l. (società con sede in Belluno e specializzata, come la R.DM costruzioni, nella messa in sicurezza di pareti rocciose) a non partecipare alla gara inerente un subappalto per la messa in sicurezza di pareti rocciose sull’autostrada Salerno- Reggio Calabria, da realizzare in prossimità dello svincolo di Scilla. Tale condotta era consistita, in particolare, secondo le prospettazioni accusatorie, nell’attendere fuori dal cantiere Z. E., direttore tecnico della Alpideco s.r.l. che si era recato sul posto per eseguire un sopralluogo finalizzato alla formulazione di un’offerta, tenendo nei suoi confronti un comportamento ostentatamente intimidatorio, facendogli capire che sapeva perfettamente chi fosse e per quale ragione si fosse recato sul cantiere e invitandolo, con tono minaccioso, a "restarsene a Belluno" perchè in Calabria "dovevano lavorare solo le ditte calabresi". Non riuscendo nell’intento per cause, indipendenti dalla propria volontà. Con l’aggravante dell’utilizzo del cd. "metodo mafioso", consistito nell’ostentare, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sul soggetto passivo quella particolare coartazione, e quella conseguente intimidazione, proprie delle organizzazioni mafiose. In Scilla, in epoca anteriore e prossima al 16 maggio 2007. 2. – Il provvedimento restrittivo è stato confermato dal Tribunale di Reggio Calabria investito dell’istanza di riesame, che ha ritenuto sussistessero gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, con riferimento all’imputazione mossagli.

2,1 – Più specificamente i giudici del riesame, dopo aver premesso che il presente procedimento costituiva una "sostanziale prosecuzione" di una pregressa attività investigativa (la cosiddetta operazione (OMISSIS)) – che oltre a disvelare, nel luglio 2007, (anche in base alle rilevazioni di D.D.A., intraneo alla cosca Cirillo ed alle intercettazioni di alcune conversazioni telefoniche dell’ingegner D.G. capo Area della impresa esecutrice dei lavori di rifacimento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria), il coinvolgimento delle più importanti ‘ndrine di Rosarno nell’ "affare autostrada", aveva pure consentito, nei suoi successivi sviluppi, di "ricostruire importanti capitoli della storia criminale delle cosche (calabresi)" – hanno valorizzato, ai fini della gravita indiziaria: (a) le intercettazioni telefoniche relative a colloqui avuti dal D. con l’Ingegner S., coordinatore della società consortile committente per conto di Condotte S.p.A. e ritenuto, inizialmente, il destinatario delle minacce del C., nelle quali lo stesso riferiva, tra l’altro, i suoi sospetti in merito all’esistenza, all’interno della società, di dipendenti infedeli che fornivano ad imprese locali vicine alla ndrangheta, notizie riservate sulle assegnazioni dei lavori; (b) le attività di indagine espletate dopo l’esecuzione di una prima ordinanza in data 25 maggio 2010, e segnatamente l’assunzione di informazioni dall’ing. G., collaboratore tecnico dell’Alpideco e ritenuto persona di altissima attendibilità, sentito ex art. 391 bis c.p.p., comma 10; dall’ingegner S.G. e da ultimo, nell’agosto 2010, dal geometra Z.E., assolutamente convergenti nel riferire dell’attività d’intimidazione posta in essere dal C., ritenuto dagli inquirenti vicino alla cosca Nasone-Aietti operante sul territorio di Scilla, già in passato resosi aggiudicatario di numerosi appalti, anche di rilevante entità. 2.2 – In particolare, per quanto ancora specificamente rileva nel presente giudizio di legittimità, i giudici del riesame, disattendevano tutte le pur articolate deduzioni difensive riguardanti la valutazione di attendibilità e coerenza dei dati valorizzati dal Tribunale del riesame per i profili della gravita indiziaria e delle esigenze cautelari, evidenziando che i lavori, alla data del 16 maggio 2007, non erano affatto completati e che la presenza in loco di operai della impresa del C. era da riferirsi allo svolgimento di altri e diversi lavori ovvero all’atteggiamento ambiguo della società subappaltante (il consorzio Scilla) nei confronti delle Imprese calabresi; che la circostanza che l’avvicinamento e l’intimidazione dello Z. si fosse svolta all’interno di un bar alla presenza di altre persone, e prima che venisse avanzata dalla Alpideco qualsiasi offerta formale, non valeva ad escludere l’efficacia persuasiva della condotta posta in essere dall’indagato, risultando l’invio di un tecnico in loco attività prodomica di una partecipazione alla gara d’appalto e venendo l’attività posta in essere dall’indagato comunque percepita come una chiara ed in equivoca intimidazione, idonea a configurare l’aggravante speciale, la quale non richiede necessariamente, per la sua configurabilità, il compimento di atti violenti.

3. – Avverso tale pronuncia del tribunale hanno proposto autonomi ricorsi per cassazione, i difensori dell’indagato, gli avvocati Antonio Managò e Giacomo Iaria.

3.1 – Quanto al ricorso dell’avvocato Iaria, in esso si deduce, con un primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al carattere, ritenuto incongruo, delle argomentazioni svolte dai giudici del riesame, con riferimento ai dieci punti di criticità segnalati dalla difesa,con riferimento alla sostanziale reiterazione nella nuova ordinanza cautelare di elementi indiziari già valutati come insufficienti a fondare un’applicazione di misura cautelare nei confronti del C., con specifico riferimento al già avanzato stadio di avanzamento dei lavori di cui trattasi che rendevano illogico lo svolgimento di attività intimidatoria da parte dell’indagato, quale attestato dalle risultanze delle indagini difensive (testi P. e Ze.) con riferimento ad un offerta solo potenziale di un’impresa concorrente, che non poteva creare alcun timore; al carattere inusuale del luogo scelto dall’indagato per porre in essere un’attività asseritamene intimidatrice; l’assenza di conflittualità tra l’impresa dell’indagato e quelle del Nord Italia; l’illogicità di un’attività intimidatrice posta in essere nei confronti di un soggetto privo di effettivo potere decisionale; la caratura di impresa operante a livello nazione della RDN; la dubbia riferibilità proprio alla persona dell’Indagato, di anomale fonti informative all’interno della stazione appaltante; lo svolgimento del colloquio con lo Z. in area esterna al cantiere; l’insussistenza ,al momento dello svolgimento dell’asserita attività estorsiva, di un’effettiva offerta da parte dell’impresa bellunese, con conseguente esclusione della configurabilità di un tentativo estorsivo; l’errata interpretazione del contenuto delle frasi pronunciate dall’indagato, dirette esclusivamente ad evidenziare la scarsa convenienza per una impresa del nord, in termini di utilità economica, a rendersi aggiudicatala di lavori da svolgersi a così grande distanza dalla propria base operativa, circostanza tale da comportare maggiori costi; la svalutazione del dato costituito dalle numerose denunzie di danneggiamenti ed attentati presentate dal C., assolutamente incompatibili con l’asserita contiguità ad ambienti malavitosi.

3.2 – Con il secondo motivo si denunzia invece, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, segnalandosi, al riguardo, il carattere apodittico delle argomentazioni svolte sul punto dai giudici del riesame, basata più su considerazioni obiettive ricollegabili a dati storici ed ambientali più che su precisi elementi sintomatici di esercizio di un qualche potere mafioso od intento agevolatorio di associazioni criminose alle quali il C. risulta del tutto estraneo.

3.3 – Argomentazioni non dissimili vengono svolte anche nell’articolato ricorso proposto dall’avvocato Managò, che ulteriormente evidenzia l’insufficienza dell’apparato motivazionale anche in tema di qualificazione giuridica della condotta contestata all’indagato, con riferimento alle diverse e meno gravi fattispecie, dell’esercizio arbitrario delle proprie ragione, della violenza privata e della turbata libertà degli incanti.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di C.R. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

1.1 – Con riferimento alle argomentazioni sviluppate in entrambi i ricorsi, dirette a contestare, nelle loro poliformi articolazioni, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente relativamente al fatto delittuoso contestatogli, è opportuno premettere che è consolidato orientamento di questa Corte ritenere che, per l’applicazione di una misura cautelare in questa fase del procedimento, è richiesto solo il requisito della gravita degli indizi nel senso che questi devono essere tali da lasciar desumere la qualificata probabilità di attribuzione all’indagato del reato per cui si procede.

Orbene, nel caso in esame, il Tribunale risulta essersi adeguato al suddetto principio, ancorando il proprio giudizio ad elementi specifici risultanti dagli atti – solo sommariamente illustrati al paragrafo 2.1 – tanto da trarre dalla loro valutazione globale un giudizio in termini di elevata probabilità circa l’attribuzione del reato all’indagato, laddove le argomentazioni, di merito e ripetitive di argomenti già adeguatamente confutati, secondo cui al contenuto delle frasi rivolte dall’indagato al geometra Z. non poteva attribuirsi effettivo carattere intimidatorio e l’aggiudicazione dell’appalto costituiva soltanto la mera conseguenza della presentazione di un’offerta economicamente più vantaggiosa per la stazione appaltante, risultando prive di adeguato e verificabile riscontro, non superano la soglia della ricostruzione alternativa e meramente congetturale.

1.2 – Prive di fondamento si rivelano anche le deduzioni difensive volte a ravvisare nell’ordinanza impugnata profili di insufficienza motivazionale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, in quanto, a prescindere dalla genericità e non verificabilità delle argomentazioni svolte sul punto, le deduzioni difensive non considerano, che come più volte affermato da questa Corte "la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, art. 7, conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203, qualifica l’uso del metodo mafioso, fondato sull’esistenza in una data zona di associazioni mafiose, anche in riguardo alla condotta di un soggetto non appartenente a dette associazioni" (in termini Sez. 1, Sentenza n. 4898 del 26/11/2008, dep. il 4/02/2009, Rv. 243346, imp. Cutolo) e che per la sua sussistenza, pertanto, non si richiede alcun rigoroso e preventivo accertamento dell’effettiva intraneità del soggetto agente ad un sodalizio di tipo mafioso.

1.3 – Quanto infine all’ulteriore argomento difensivo relativo ad un’errata qualificazione giuridica dei fatti contestati all’indagato integrando la condotta dell’indagato, a tutto concedere, gli estremi di meno gravi fattispecie (esercizio arbitrario delle proprie ragione, violenza privata e turbata libertà degli incanti), a prescindere dai profili di novità della deduzione, deve osservarsi, anzitutto, che lo stesso risulta prospettato in termini assolutamente generici e astratti; che in ricorso neppure si precisa il preteso diritto vantato dal ricorrente nei confronti dell’impresa concorrente; che la violenza privata ha natura di reato residuale;

che nella giurisprudenza di questa Corte risulta prevalente – in piena sintonia, d’altra parte, con la dottrina espressasi sul punto – l’orientamento secondo il quale i delitti di estorsione e quello di turbata libertà degli incanti, previsti, rispettivamente, dagli artt. 629 e 353 cod. pen., possono concorrere formalmente, in quanto le due norme hanno diversa obiettività giuridica, tutelando la prima il patrimonio, attraverso la repressione di atti diretti a coartare la libertà di autodeterminazione del soggetto negli atti di disposizione patrimoniale e la seconda la libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private (In tal senso, da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 13505 del 13/03/2008, dep. il 31/03/2008, Rv. 239794, imp. Gennaro).

2. – Al rigetto del ricorso consegue per legge ( art. 616 cod. proc. pen.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *