Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37053

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. M.R. è stato condannato alla pena di giustizia – dal Giudice dell’udienza preliminare di Arezzo, all’esito di giudizio abbreviato, prima, e dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, poi – siccome ritenuto colpevole del reato di omicidio volontario, contestatogli per aver cagionato la morte di L. F. colpendolo più volte alla testa ed al volto con un attrezzo munito di una parte tagliente, fatto contestato come commesso in (OMISSIS).

1.1. Il L. – secondo quanto da lui stesso riferito agli anziani genitori con i quali, essendo celibe, ancora conviveva in Arezzo – era uscito di casa sabato 15 novembre 2008 alle ore 19,30, per recarsi, con la propria autovettura (una Mercedes), prima a cena fuori e poi in un locale di San Zeno, ove era atteso dagli amici, e non vi aveva fatto più ritorno. Il suo cadavere – dopo che il fratello B., ne aveva denunciato la scomparsa ai Carabinieri sin dal lunedì 17 novembre – veniva ritrovato da alcuni cacciatori lungo il canale maestro della Chiana in località Quarata, in fondo ad una scarpata alta circa quattro metri, la mattina del 22 novembre, nello stesso giorno in cui il fratello ne aveva ritrovato l’auto, abbandonata in sosta nel parcheggio del cimitero urbano, con le portiere aperte ma senza le chiavi nel quadro di accensione.

Il L., che presentava ferite al cranio provocate da un corpo contundente, aveva la camicia sollevata fino all’altezza delle spalle, priva di quattro bottoni, perchè aperta violentemente senza sbottonarla; anche i pantaloni, di un completo la cui giacca veniva ritrovata all’interno dell’auto, erano stati abbassati in modo violento, come dimostrato dalla rottura del gancio di chiusura.

Secondo i primi accertamenti medico-legali, la morte del L. era da collocarsi tra il 15 ed il 17 novembre, ed era certo, secondo gli inquirenti, che lo stesso fosse stato aggredito ed ucciso con un corpo contundente (verosimile un martello a testa quadra) nel luogo stesso di ritrovamento del corpo, deponendo In tal senso il ritrovamento in loco di macchie di sangue, frammenti ossei e dei bottoni della sua camicia.

1.2. Una svolta delle indagini – dirette a definire, inizialmente, tramite l’audizione di parenti ed amici, la personalità della vittima, descritto come un quarantanovenne di buon carattere, mite e cordiale, di buone possibilità economiche ma particolarmente parsimonioso nello spendere, che lavorava come muratore nell’impresa edile del fratello B., ed era solito, la sera, frequentare locali notturni e club per "scambisti" – veniva impressa dall’acquisizione dei tabulati telefonici relative alle due utenze cellulari in uso alla vittima che consentivano di accertare che il L. ed il M. – che avendo lavorato come barista in un locale frequentato dalla vittima, l’Hermitage, aveva instaurato con la vittima un rapporto di amicizia – si erano cercati più volte telefonicamente il giorno della scomparsa del L. (sabato 15 novembre). Orbene, tralasciando una illustrazione dettagliata degli sviluppi dell’attività investigativa, minuziosamente descritti nella sentenza di primo grado, che portavano all’incriminazione del M., mette conto evidenziare, in questa sede, che secondo la convergente valutazione del giudici di merito a carico dell’indagato sono stati acquisiti "numerosi, gravi, precisi e concordanti indizi che conducono, oltre ogni ragionevole dubbio, alla certezza processuale della sua colpevolezza".

Tali elementi indiziari – che dai giudici di appello risultano essere stati "programmaticamente" sottoposti sia ad una "preventiva valutazione di indicatività di ciascuno di essi" sia ad un successivo "esame globale e unitario", possono così sintetizzarsi:

– il M., la sera e all’ora dell’omicidio si incontrò con L., come si ricava dai tabulati dei rispettivi cellulari e come confermato da lui stesso;

– il M., in ora compatibile con l’omicidio, si trovava in una zona molto vicina a quella del delitto;

– dopo il giorno del delitto l’imputato si è comportato In modo tale da denunciare con evidenza una sua attiva partecipazione all’omicidio.

In sede di valutazione degli indizi, inoltre, secondo la valutazione dei giudici di appello – che ha richiamato, sul punto, un consolidato pronunciamento di questa Corte, (si veda in termini ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 995 del 04/11/1985, dep. il 25/01/1986 Rv. 171686, imp. Tozzetti) – assumeva rilievo, altresì, anche il mendacio dell’imputato, che "allorquando investa circostanze essenziali di fatto", si sostiene, "può contribuire alla formazione del convincimento di colpevolezza, inserendosi nel processo di coordinamento degli indizi". Orbene sul plano indiziario, rilevavano, secondo i giudici di appello, le non veritiere dichiarazioni dell’imputato in ordine:

alle ragioni dell’incontro con L.;

alla partecipazione ad esso di due stranieri (il rumeno R. e l’albanese A. o A.), che intendendo impartire al L. una "lezione", dietro promessa di un compenso, avevano indotto l’imputato a fissare un appuntamento con la vittima, presso il cimitero di Arezzo, ma dei quali l’imputato non ha saputo indicare nemmeno i numeri di telefono;

all’uso da parte sua della Mercedes della vittima (la vettura essendo stata certamente condotta sino al luogo dell’omicidio);

al luogo in cui egli si trovava mentre il L. veniva ucciso;

al movente del delitto, a suo dire una punizione per la condotta del L. verso le ragazze protette dai due stranieri ovvero, secondo altra versione, per la sua insistenza nel volere tornare a frequentare l’Hermitage, locale dal quale la vittima era stato allontanato nel luglio del 2008, attesa la sua riottosità ad offrire consumazioni alle "ragazze" che frequentavano il locale.

1.3. In particolare, da un lato le inverosimili dichiarazioni dell’imputato, secondo cui egli si sarebbe limitato a procurare l’incontro tra il L. ed i due stranieri che intendevano dargli una "lezione" (per altro in un luogo isolato, a lui ben noto, in quanto ubicato nelle vicinanze dell’abitazione della moglie separata) disinteressandosi della sorte dell’amico, che a dire dei due stranieri, appartatisi con il L., era stato poi abbandonato a piedi "per punizione", dall’altro l’assenza "di altri contatti significativi" della vittima il 15 novembre 2008, ovvero di spunti su altri possibili autori o coautori dell’omicidio, conducevano, secondo i giudici di merito, ad una sola conclusione possibile alla stregua degli atti: la piena responsabilità di M., con dolo diretto, per l’omicidio, con esclusione della sussistenza, pure adombrata in sede cautelare, di un’ipotesi di concorso anomalo, una volta accertata l’inesistenza dei fantomatici stranieri evocati dall’imputato come autori dell’omicidio.

1.4. Quanto al movente dell’omicidio, i giudici di appello, che solo in ciò si sono discostati dalla ricostruzione del giudice di prime cure, pur dando atto della scomparsa del portafoglio del L. e di una catena d’oro dallo stesso abitualmente indossata, della cronica indisponibilità da parte dell’imputato di denaro sufficiente ad alimentare abitudini di vita particolarmente dispendiose e del suo continuo ricorso a prestiti di conoscenti e amici, non sempre puntualmente restituiti, e dell’insolita disponibilità di denaro dopo la notte del 15 novembre, hanno però ritenuto, con diffuse argomentazioni, non raggiunta una prova sufficiente sul punto, tale da far ritenere che il M. abbia ucciso per impossessarsi del denaro, osservando per altro al riguardo come "la mancata prova del movente" debba ritenersi irrilevante "se il fatto è provato aliunde in modo certo". 2. Avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Firenze, emessa il 15 luglio 2010, ha proposto ricorso per cassazione il M., per il tramite del suo difensore di fiducia, prospettando un unico ed articolato motivo d’impugnazione, con il quale si denuncia l’illegittimità della decisione impugnata, per vizio di motivazione, nelle forme della manifesta illogicità, della contraddittorietà e del travisamento dei fatti, con riferimento alla ritenuta colpevolezza dell’imputato.

2.1. In particolare, in ricorso, dopo un’articolata esposizione volta a sostenere l’autonoma rilevanza nel giudizio di legittimità del vizio relativo alla giustificazione della ricostruzione del fatto per cui si procede, specie a seguito della riforma di cui alla L. n. 46 del 2006, con riferimento alla interpretazione dei singoli indizi ed alla valutazione complessiva del materiale indiziario compiuta dai giudici di appello, si osserva:

a) che solo apparentemente nelle dichiarazioni rese dall’imputato in sede di convalida del fermo – le unione utilizzabili nel presente procedimento – può cogliersi una contraddizione relativamente al luogo in cui il M. si trovava allorquando alle 22,45 ricevette la telefonata della madre – (località Ponte Burlano invece che località Cavone), trattandosi di due luoghi limitrofi, ove è attiva la comune cella "Podere Torcella";

b) che incongruamente i giudici di appello avevano attribuito rilevanza indiziaria alla circostanza (negativa) della mancata identificazione dei due stranieri, elemento di per sè inidoneo a fondare un giudizio di falsità in merito alle dichiarazioni fornite dall’imputato sul punto, o addirittura, in forza di un procedimento valutativo meramente congetturale, il frutto di un freddo e preordinato disegno strategico dell’imputato per attribuire ad altri la responsabilità dell’omicidio, specie ove si consideri che tali dichiarazioni, relativamente all’utilizzo da parte dei gli stranieri di una vettura Mercedes con lo stemma dell’Albania, hanno trovato riscontro sia nel contenuto di alcune conversazioni intercettate (quella tra il Ma. ed il B. del 27 dicembre 2008) sia nelle dichiarazioni di M.L..

In particolare, secondo il ricorrente, il quadro indiziario a carico dell’imputato è tutt’altro che grave, specie se si considerano: per un verso, i risultati, tutti negativi, di indagini emergenti dagli incidenti probatori esperiti (specie quelli relativi alla comparazione del terriccio ritrovato sull’auto del L. e quelli relativi alle analisi dei vestiti della vittima), la valenza indiziaria solo congetturale attribuibile al ritrovamento di tracce di sangue della vittima sull’auto del L. e la sparizione dei tappetini del veicolo, elementi insufficienti per affermare con certezza che l’auto della vittima sarebbe stata presente sulla scena del delitto e solo successivamente all’omicidio abbandonata al parcheggio del cimitero dopo un’accurata ripulitura; e dall’altro, la assenza di un movente del reato, pure correttamente rilevata dalla stessa Corte territoriale.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di M.R. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

1.2. – Ed invero le deduzioni svolte in ricorso, tutte concernenti l’apprezzamento del significato dimostrativo degli elementi indizianti valorizzati dai giudici di merito per affermare la penale responsabilità del M., risultano infondate ed attinenti, essenzialmente, a valutazioni di merito.

Al riguardo giova premettere che questa Corte ha da tempo chiarito, in tema di vizi della motivazione, che "Il controllo di legittimità…non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" (in tale senso, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 31/1/2000, Rv.

215745).

Orbene, applicando tali principi al caso in esame, ed acclarato che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito In ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 29/01/1996, Rv.

203428), è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisatale nella decisione impugnata, avendo la Corte territoriale fornito esauriente e logica spiegazione delle ragioni per cui il responsabile dell’uccisione del L. andava identificato proprio nella persona del M..

Ed invero entrambi i giudici di merito hanno ritenuto, in base ad un percorso argomentativo logico e coerente – solo sommariamente illustrato al paragrafo 1.2 dell’esposizione in fatto, per evidenti ragioni di sintesi – che costituiva un dato fattuale accertato con sufficiente grado di certezza nel presente giudizio, in base al complesso delle risultanze processuali, sia che il M., la sera ed all’ora dell’omicidio si incontrò con il L. – così come, del resto, da lui stesso riconosciuto – sia che l’imputato, in ora compatibile con quella di consumazione dell’omicidio, si trovava in una zona molto vicina a quella del delitto, sia anche che il ricorrente, dopo il giorno dell’omicidio, si comportò in modo tale da denunciare con evidenza una sua attiva partecipazione all’omicidio. In particolare, è agevole rilevare che le deduzioni della difesa del M., nelle loro poliformi articolazioni, lungi dal dimostrare un effettivo travisamento delle emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, con argomentazioni sul punto assolutamente sintoniche, complete ed esaurienti, si risolvono nella prospettazione di una "ricostruzione alternativa" dell’episodio non consentita in sede di legittimità.

E del resto rappresenta solo un’illazione implausibile della difesa, affidata alle interessate dichiarazioni dell’imputato, quella secondo cui egli si sarebbe limitato ad accompagnare il L., presso il cimitero di Arezzo, ad un appuntamento con due stranieri rimasti ignoti, da lui stesso procurato, nella consapevolezza, oltretutto, delle intenzioni non rassicuranti dei predetti (impartirgli una lezione).

2. – In conclusione, la sentenza impugnata adeguatamente e logicamente motivata resiste a tutte le censure prospettate nel ricorso, che va quindi rigettato, con le conseguenze di legge, relativamente al regolamento delle spese processuali nonchè la condanna alla refusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla refusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili, che si liquidano in complessivi Euro 2377,00, onorari compresi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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