Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37052 Chiusura ed avviso di chiusura delle indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.I. è stato imputato dei seguenti delitti:

1) – art. 575 c.p. e art. 576 c.p., n. 1 per aver cagionato la morte di M.L. colpendolo all’inguine con un coltello che provocava una ferita da taglio alla regione inguinale sinistra; con l’aggravante di aver commesso il fatto per motivi abietti (conseguimento del profitto dello smercio di cocaina di cui al capo 4). In (OMISSIS) intorno alle ore 21,30;

2) – L. n. 110 del 1975, art. 4 e art. 61 c.p., n. 2 per il porto abusivo di un’arma da taglio al fine di eseguire il delitto di cui al capo 1;

3) – art. 497-bis c.p. per aver contraffatto un passaporto albanese intestato a B.R.;

4) – D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 81 cpv. c.p. per aver venduto a M.L. un consistente quantitativo di cocaina, parte della quale pari a un controvalore di Euro 1.500,00 non gli veniva pagata da quest’ultimo e per aver venduto a Co.

G. g. 4 di cocaina; in (OMISSIS).

La Corte di assise di Milano, con sentenza in data 8.7.2009, condannava C.I. per il delitto di omicidio, esclusa la contestata aggravante, alla pena di anni 21 di reclusione; per il porto di coltello alla pena di un mese di arresto ed Euro 60,00 di ammenda; per la contraffazione del passaporto alla pena di un anno e mesi sei di reclusione.

Assolveva il predetto dal delitto di spaccio di cocaina di cui al capo 4) perchè il fatto non sussiste.

La Corte di assise di appello di Milano, con sentenza in data 21.9.2010, confermava la suddetta sentenza della Corte di assise, appellata dall’imputato.

Preliminarmente, respingeva l’eccezione di nullità dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., motivata dalla difesa, sotto un primo profilo, con il ritardo nella consegna delle copie degli atti di indagine, ritardo che non aveva consentito di esercitare le attività difensive previste dal predetto articolo, e, sotto altro profilo, con il mancato inserimento nel fascicolo del Pubblico Ministero della relazione del R.I.S. di Parma in data 13/18 giugno 2007, relazione di cui il difensore dell’imputato era venuto a conoscenza solo dopo il deposito della stessa nell’udienza dibattimentale del 17.2.2009.

La Corte di assise di appello, quanto al primo profilo, condivideva la motivazione del giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che, ai fini del decorso del termine di venti giorni previsto dall’art. 415-bis c.p.p., si doveva avere riguardo solo alla data di notifica (avvenuta il 7.2.2008) dell’avviso previsto dal detto articolo, essendo da tale data gli atti del fascicolo del Pubblico Ministero a disposizione della difesa, a nulla rilevando che la consegna delle fotocopie di tutti i numerosi atti di detto fascicolo, richieste dal difensore alla cancelleria, fosse stata effettuata in parte il 20 febbraio e nella parte restante il 27 febbraio 2008.

Aggiungeva che il suddetto termine non era perentorio, e quindi l’esercizio dei diritti della difesa sarebbe potuto avvenire anche dopo la scadenza del termine di venti giorni, fino alla richiesta del rinvio a giudizio da parte del P.M., avvenuta nella specie il 20.3.2008. Quanto al secondo profilo, la Corte di assise di appello premetteva che di tutti gli accertamenti demandati dal P.M. al R.I.S. di Parma era stato dato tempestivo avviso alla difesa ai sensi dell’art. 360 c.p.p.; il R.I.S. aveva riassunto in tre relazioni gli esami eseguiti sui reperti sequestrati; due relazioni (quelle in data 3.7.2007 e in data 31.8.2007) erano state depositate, insieme agli altri atti d’indagine, ex art. 415-bis c.p.p.; la terza relazione, in data 13/18 giugno 2007, per un disguido della segreteria del P.M., non era stata inserita nel fascicolo del P.M., il quale aveva provveduto a depositarla, appena accortosi del disguido, nell’udienza dibattimentale del 17.2.2009.

Riteneva la Corte distrettuale che il mancato inserimento della suddetta relazione nel fascicolo del P.M., depositato al difensore dell’imputato ex art. 415-bis c.p.p., non comportava nè la nullità dell’avviso previsto da detto articolo nè la nullità degli atti successivi, e conseguentemente doveva ritenersi corretta la decisione del primo giudice di sospendere l’udienza in cui il P.M. aveva depositato la relazione in questione per concedere un termine alla difesa al fine di esaminare la suddetta relazione.

Nei motivi di appello il difensore aveva eccepito anche l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in dibattimento da Co.Gi. e P.G., i quali erano stati esaminati, in qualità di testimoni ex art. 197-bis c.p.p., anche sulla posizione di C.I., nonostante i predetti si fossero avvalsi della facoltà di non rispondere su detta posizione, quando la Corte di assise li aveva sentiti ai sensi dell’art. 210 c.p.p..

Nel processo de quo, in primo grado, era imputata anche Ma.

O., la quale era stata chiamata a rispondere del delitto di favoreggiamento poichè, la sera del 21.4.2007, dopo l’omicidio di M.L., aveva accompagnato con la propria autovettura C.I. a Milano e in seguito (il 3.5.2007), sentita dai Carabinieri di Desio, aveva reso false dichiarazioni sugli spostamenti suoi e del predetto C. nella serata dell’omicidio (la Ma. è stata assolta dalla prima condotta favoreggiatrice perchè il fatto non costituisce reato, in quanto non era a conoscenza dell’avvenuto omicidio, e dalle false dichiarazioni per aver commesso il fatto in stato di necessità).

La Corte di assise aveva ritenuto che i predetti Co. e P. dovevano essere sentiti in qualità di testimoni assistiti solo con riferimento ai fatti riguardanti la posizione della Ma.. Nel corso dell’esame riguardante la posizione della Ma., però, erano inevitabili i riferimenti anche alla posizione di C.I., poichè era emerso che la sera dell’omicidio Co. e P. avevano seguito per un certo tratto l’autovettura guidata dalla Ma., nella quale viaggiavano anche l’imputato e M.L..

La Corte di assise di appello ha respinto la richiesta della difesa di dichiarare inutilizzabili le dichiarazioni di Co. e P., in quanto ai predetti era stata data facoltà, che in concreto gli stessi avevano esercitato, di astenersi dal rispondere a domande che, per l’inscindibilità del fatto oggetto dell’esame, riguardavano anche la posizione dell’imputato.

Nel merito, la Corte di assise di appello riteneva che la responsabilità dell’imputato per l’omicidio risultasse provata dalle dichiarazioni rese da Ma.Or., confermate dall’esame dei tabulati telefonici, dalle dichiarazioni di testimoni, dai rapporti esistenti tra la vittima e l’imputato e dal comportamento di quest’ultimo dopo il delitto.

L’omicidio, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, era avvenuto nel parco di Limbiate, e M.L., subito dopo essere stato accoltellato, si era avvicinato al ristorante Al Gabbiano, che si trovava nei pressi del parco, dove era stato soccorso, ma era deceduto durante il trasporto a mezzo autoambulanza in ospedale.

Ma.Or., che tempo prima aveva convissuto con l’imputato, aveva riferito che la sera del delitto, verso le ore 21,00, aveva accompagnato con la sua macchina C. e M. presso il parco di Limbiate, nella parte in cui era ubicato il ristorante Al Gabbiano; attraverso lo specchietto retrovisore aveva visto i due addentrarsi nel parco e, durante il tragitto, aveva sentito l’imputato dire a M. "adesso andiamo a prenderla, però ti raccomando"; in precedenza aveva visto spesso M. acquistare cocaina dall’imputato, anche per importi consistenti.

Dopo aver accompagnato i due era tornata a casa e, circa tre quarti d’ora dopo, l’imputato l’aveva raggiunta e gli aveva chiesto di essere accompagnato a Milano; durante il tragitto l’imputato le aveva intimato di riferire che quella sera lo aveva accompagnato presso l’Ospedale di Desio e non presso il parco di Limbiate.

La Ma. aveva riferito anche di contrasti tra l’imputato e M., poichè questi non aveva pagato consistenti quantitativi di cocaina.

La presenza di C. e M. nell’auto della Ma., quella sera, con quel percorso e poco tempo prima dell’omicidio, era confermata sia dalle dichiarazioni di P. e Co., che per un certo tratto avevano seguito l’auto guidata dalla Ma., preoccupati sia dai toni di una discussione che vi era stata tra C. e M. in Cesano Maderno, sia dalle telefonate effettuate dai predetti allo stesso M., all’ultima delle quali, alle ore 21,13, questi non aveva risposto.

L’imputato si era fatto accompagnare dalla Ma. a Milano, dove aveva fatto delle telefonate e incontrato una persona; subito dopo si era reso irreperibile ed era stato arrestato il successivo 1 luglio, in Viale Certosa a Milano, dove aveva dato appuntamento alla Ma., la quale però aveva avvertito i Carabinieri dell’appuntamento.

La Corte di assise di appello non riteneva sicuramente accertato che, prima dell’accoltellamento, vi fosse stata una colluttazione, la quale peraltro, anche se vi fosse stata, non escludeva la responsabilità dell’imputato, non esclusa neppure dal fatto che sul corpo della vittima non erano state reperite tracce biologiche riferibili all’imputato.

Il movente dell’omicidio doveva essere individuato, con ogni probabilità, nei contrasti derivanti dal debito del M. nei confronti dell’imputato, come poteva anche desumersi dai toni accesi della discussione tra i due la sera del delitto alla presenza di Co. e P., i quali avevano deciso di seguirli proprio perchè preoccupati per la sorte del loro amico M..

L’imputato era stato assolto dal delitto di cessione di sostanze stupefacenti a M., poichè non erano state acquisite prove sufficienti dello specifico fatto contestato, ma il medesimo fatto, unitamente al complesso degli elementi raccolti, ben poteva assurgere a probabile movente del commesso omicidio.

L’imputato significativamente aveva dedotto un alibi falso, sostenendo che era stato accompagnato dalla Ma. nei pressi dell’Ospedale di Desio e che ivi si era separato dal M., visto da lui salire in una BMW con degli sconosciuti. Aveva anche negato di essere stato accompagnato quella sera a Milano dalla Ma., ma a smentirlo vi era una telefonata fatta dalla Ma. – su ordine dell’imputato – da Milano alle ore 22,35 e diretta a Q.E., amico dell’imputato.

Le dichiarazioni della Ma., secondo il giudice dell’appello, erano pienamente attendibili, in quanto la stessa si era decisa a riferire il vero solo dopo l’arresto dell’imputato, dal quale era stata terrorizzata perchè le aveva detto che con altri albanesi avrebbe tolto la verginità a sua (della Ma.) figlia.

Le dichiarazioni di Co. e P. avevano confermato quanto aveva già riferito la Ma., anche sul punto che M. aveva un debito con l’imputato, sebbene Co. e P. non avessero specificato quale fosse la ragione di questo debito.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente l’imputato, deducendo i seguenti motivi.

Con un primo motivo ha eccepito la nullità del decreto che ha disposto il giudizio e degli atti successivi per violazione dei diritti della difesa, poichè la copia degli atti di indagine era stata consegnata al difensore il ventesimo giorno successivo alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., il giorno stesso (27.2.2008) della scadenza del termine previsto da detto articolo per esercitare una serie di attività difensive, non potute svolgere dal suo difensore per la mancata conoscenza degli atti in tempo utile.

Con un secondo motivo ha eccepito la nullità dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p. per il mancato inserimento nel fascicolo del Pubblico Ministero, depositato ai sensi del predetto articolo, della relazione del R.I.S. di Parma in data 13/18 giugno 2007, dalla quale risultava l’incompatibilità genotipica tra il tracciato del DNA riferibile all’imputato e quello estrapolato dai reperti sequestrati nel corso delle indagini, tra i quali il materiale biologico rinvenuto sotto le unghie della vittima M.L..

I risultati degli accertamenti delegati dal Pubblico Ministero al R.I.S. di Parma nel maggio 2007 erano stati versati in tre relazioni, due delle quali (in data 3.7.2007 e in data 31.8.2007) erano state inserite negli atti del Pubblico Ministero depositati ex art. 415-bis c.p.p., mentre la terza, in data 13/18 giugno 2007, era stata depositata solo nell’udienza dibattimentale del 17.2.2009.

Secondo il ricorrente, il mancato inserimento di quest’ultima relazione nel fascicolo del Pubblico Ministero depositato ex art. 415- bis c.p.p. integra una violazione dei diritti della difesa, non reintegrati con l’assegnazione di un termine al difensore, durante il dibattimento, per esaminare la relazione in questione.

Con un terzo motivo ha eccepito la violazione dell’art. 197 c.p.p., in quanto Co.Gi. e P.G., che erano stati indagati per l’omicidio di M.L., erano stati interrogati – nel corso dell’esame ex art. 197-bis c.p.p. che avrebbe dovuto riguardare esclusivamente la posizione di Ma.Or. – anche con riguardo alla posizione dell’imputato, nonostante i predetti, sentiti ex art. 210 c.p.p., si fossero avvalsi della facoltà di non rispondere su quest’ultima posizione.

Secondo il ricorrente, non potevano essere poste domande che – per l’inscindibilità del fatto -riguardavano sia la posizione di Ma.Or. che quella dell’imputato, dovendosi in tal caso far prevalere la volontà di Co. e P. di non rispondere sulla posizione dell’imputato. Con un quarto motivo ha denunciato la mancanza, contraddittorietà o comunque manifesta illogicità della sentenza di secondo grado, in quanto si era ritenuto responsabile l’imputato dell’omicidio di M.L., pur riconoscendo che non si aveva alcun riscontro in termini di prova diretta o indiretta del momento del ferimento del predetto, in quanto il racconto della Ma. si interrompeva in una fase antecedente allo stesso.

Dagli accertamenti tecnici non era emerso alcun elemento a carico dell’imputato e neppure era stato individuato il luogo dell’accoltellamento, che astrattamente potrebbe anche essere avvenuto in altra località.

Il dato delle lesioni riscontrate sul cadavere di M.L., ricondotte con grande probabilità ad esiti di una colluttazione, avrebbe dovuto impegnare i giudici di merito in una maggiore considerazione del dato scientifico, non essendo state rinvenute tracce riferibili a una colluttazione dell’imputato con la vittima nei reperti analizzati.

La motivazione della sentenza appariva illogica in relazione al movente dell’omicidio, poichè, assolvendo l’imputato dal delitto di cui al capo 4, rendeva inconsistente l’ipotesi che il motivo dell’omicidio dovesse essere individuato nei rapporti di cessione di sostanze stupefacenti tra la vittima e l’imputato.

Dalle dichiarazioni della Ma., peraltro, era emerso che i rapporti tra M.L. e l’imputato nei momenti precedenti all’arrivo nel parco di Limbiate erano improntati a una sostanziale tranquillità.

La motivazione della sentenza impugnata era carente anche nella valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni della Ma., poichè il timore dell’imputato, a giustificazione delle diverse versioni date dalla predetta, non era compatibile con i rapporti della stessa con l’imputato e non aveva trovato conferma nelle dichiarazioni rese da m.p., figlia della Ma..

Con un quinto motivo il ricorrente ha sostenuto che la condanna era stata pronunciata in violazione del principio dettato dall’art. 533 c.p.p., secondo il quale la colpevolezza deve risultare al di là di ogni ragionevole dubbio.

L’assenza del movente, processualmente accertata dall’assoluzione per il delitto di cui al capo 4 dell’imputazione, non escludeva logicamente un decorso alternativo del fatto omicidiario. La stessa sentenza impugnata non aveva escluso un decorso alternativo, ipotizzando l’eventualità che il delitto fosse stato commesso da più persone.

Motivi della decisione

I motivi dedotti dal ricorrente avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Milano in data 8.7.2009 sono tutti infondati.

Non sussiste l’eccepita nullità del decreto che ha disposto il giudizio e degli atti successivi, per il fatto che il difensore – dopo la notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p. – ha ricevuto in ritardo la copia degli atti di indagine, oltre che per le condivisibili ragioni indicate nella sentenza impugnata, anche perchè, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di diritto del difensore di ottenere copia degli atti depositati in cancelleria, il tardivo rilascio della copia costituisce una mera irregolarità, non essendo prevista dalla legge al riguardo alcuna nullità o altra sanzione processuale. La parte, d’altro canto, è sempre in condizione di potere esercitare il diritto di difesa prendendo conoscenza diretta e personale in cancelleria degli atti ivi depositati (V. Sez. 6 sent. n. 1331 del 25.3.1997, Rv. 209308).

Neppure sussiste la suddetta nullità per l’omesso deposito, tra gli atti depositati ai sensi dell’art. 415-bis c.p.p., della relazione del R.I.S. di Parma in data 13/18 giugno 2007, in quanto l’omissione del deposito di atti dell’indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione prescritto dall’art. 415-bis cod. proc. pen., comporta l’inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio (V Sez. 3 sent. n. 44422 del 15.102003, Rv. 226346). Si deve, infatti, osservare che la sanzione di nullità non è prevista nè dall’art. 416 nè dall’art. 429 c.p.p. e che il diritto di difesa dell’imputato è comunque assicurato dalla inutilizzabilità delle risultanze di cui non ha potuto prendere cognizione per l’omesso deposito. Alla mancata conoscenza a tempo debito da parte del difensore della relazione in questione – i cui risultati, peraltro favorevoli alla difesa, sono stati utilizzati dalla stessa difesa per sostenere l’estraneità dell’imputato all’omicidio – si è posto correttamente rimedio in dibattimento, sospendendo l’udienza e mettendo l’atto a disposizione del difensore, il quale ha avuto un congruo termine per esaminare la menzionata relazione.

Anche il terzo motivo di ricorso non può essere accolto, poichè ai testi assistiti Co.Gi. e P.G. potevano e dovevano essere poste domande per chiarire la posizione di Ma.

O. (imputata nello stesso processo), anche se le stesse – per l’inscindibilità del fatto – coinvolgevano la posizione dell’odierno imputato. Non ha alcun fondamento logico giuridico la pretesa del ricorrente di impedire di porre ai predetti testi assistiti domande (alle quali erano obbligati a rispondere) che, pur riguardando la posizione di Ma.Or., avrebbero potuto avere una ricaduta sulla posizione di C.I., sulla quale si erano legittimamente avvalsi della facoltà di non rispondere. Con riguardo al merito, i motivi contenuti nel ricorso propongono una diversa lettura delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede di legittimità, senza indicare alcun reale vizio logico giuridico nella motivazione della sentenza, la quale, applicando correttamente il secondo comma dell’art. 192 c.p.p., ha desunto la prova della responsabilità dell’imputato per il delitto di omicidio da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, quali: la discussione che vi era stata poco prima del delitto tra l’imputato e il M., discussione che aveva allarmato i predetti Co. e P., al punto che gli stessi avevano sentito il bisogno di seguire l’auto della Ma., nella quale viaggiavano l’imputato e la vittima; le dichiarazioni della Ma., ritenute dai giudicanti del tutto attendibili, dalle quali emergeva che la sera del delitto C. e M. si erano inoltrati nel parco dove, pochissimo tempo dopo, quest’ultimo era stato rinvenuto agonizzante; il comportamento dell’imputato quella stessa sera, avendo, in particolare, intimato alla Ma. di riferire – se interrogata – di averlo accompagnato all’Ospedale di Desio e non nei pressi del parco dove è avvenuto l’omicidio, ed essendosi poi da quella sera reso irreperibile; i rapporti dell’imputato con la vittima, la quale aveva debiti per acquisti di droga nei confronti dell’imputato.

Non vi è alcuna contraddizione logica nell’avere ritenuto che non vi fosse la prova del fatto specifico della vendita del quantitativo di cocaina di cui al capo 4 dell’imputazione e, nel contempo, nell’avere ritenuto che il movente del delitto dovesse farsi risalire a debiti della vittima nei confronti dell’imputato per acquisti di droga, desumibili dal complesso degli elementi raccolti.

Appare logicamente un dato neutro, ai fini della responsabilità dell’imputato per l’omicidio, il fatto che sul cadavere di M. non siano state riscontrate tracce biologiche riferibili all’imputato, in quanto non è stato possibile accertare se e con quali modalità vi sia stata una colluttazione prima del ferimento mortale della vittima cagionato con un coltello. Costituisce solo un motivo di fatto, peraltro non decisivo ai fini della responsabilità dell’imputato, l’asserita circostanza che nei momenti precedenti all’arrivo nel parco di Limbiate i rapporti tra l’imputato e la vittima fossero improntati a una sostanziale tranquillità e non vale certo a intaccare il coerente ragionamento con il quale i giudici di merito hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni rese da Ma.

O. la mera affermazione contenuta nei motivi di ricorso che la predetta non nutriva alcun particolare timore nei confronti dell’imputato. Nella motivazione della sentenza impugnata sono tenuti ben fermi i dati dal complesso dei quali è stata dedotta, senza alcun dubbio, la responsabilità penale dell’imputato, e solo su alcuni elementi di contorno, che non si sono potuti accertare, sono state prospettate soluzioni alternative, con la precisazione che le stesse non mettevano in discussione la responsabilità di C. I. per l’omicidio di M.L..

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *