Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37050 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – F.M., cittadino extracomunitario, è stato condannato – nel giudizio di primo grado ed in quello d’appello, svoltosi dinanzi alla Corte di Appello di Torino – alla pena di giustizia, siccome ritenuto colpevole dei reati, unificati nel vincolo della continuazione, di illecito trattenimento nel territorio dello Stato ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater), di false dichiarazioni a pubblico ufficiale sull’identità propria ( art. 495 c.p.), di mancata esibizione di un documento di identità e del permesso di soggiorno ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3).

2. – Avverso la sentenza della Corte territoriale piemontese, emessa il 7 luglio 2010, ha proposto tempestiva impugnazione l’imputato, personalmente, chiedendone l’annullamento:

– con il primo motivo, per vizio di motivazione, relativamente alla mancata assoluzione dal reato ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater) contestatogli al capo A, non avendo i giudici di appello fornito adeguata risposta al rilievo difensivo secondo cui mancava, nel caso in esame, un presupposto del reato, attesa l’insussistenza di una precedente condanna definitiva per violazione di un precedente ordine di allontanamento; – con il secondo motivo, per vizio di motivazione, relativamente alla mancata assoluzione dal reato ( art. 495 c.p.) contestatogli al capo B, avendo i giudici di appello incongruamente valorizzato il dato che esso ricorrente, in occasione di precedenti controlli, avesse fornito identità diverse, senza considerare, per un verso, che in assenza di una identificazione certa, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, la consumazione del reato, in applicazione del principio generale del favor rei, deve farsi risalire al momento in cui l’Imputato ha rilasciato per la prima volta le sue generalità e quindi, nel caso in esame, al 7 febbraio 2004, con conseguente estinzione per prescrizione del reato; per altro verso, che doveva ritenersi verosimile che le contestate false dichiarazioni erano da ricollegarsi, in realtà, ad un errore di trascrizione ovvero di comunicazione tra verbalizzanti ed esso ricorrente.

Motivi della decisione

1. – La sentenza impugnata deve essere annullata relativamente alla condanna dell’imputato F.M. per i reati a lui contestati ai capi A ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater) e C ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3) e rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per la rideterminazione della pena per il reato di cui al capo B ( art. 495 cod. pen.).

1.1 – Con riferimento al reato contestato al ricorrente al capo A della rubrica, la Corte deve infatti rilevare, in via preliminare ed assorbente, che la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, che punisce la condotta di ingiustificata inosservanza dello straniero già espulso ad un nuovo ordine di allontanamento del questore, ancorchè posta in essere prima della scadenza dei termini per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2006, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28.4.2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità di detta norma incriminatrice con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla "abolitio criminis": con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 c.p.p. (cfr. Sez. 1, 28.4.2011, n. 22105 e 29.4.2011, n. 20130).

1.2 – Per quanto attiene, poi, al reato contestato al capo C ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3), occorre considerare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. del 24 febbraio 2011, P.M. in proc. Alacev Pavel), con decisione condivisa dal Collegio, hanno stabilito che, a seguito della modifica del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) ad opera della L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. h), i soggetti attivi del reato di inottemperanza "all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato" sono esclusivamente gli stranieri "legittimamente" soggiornanti nel territorio dello Stato.

Non integra, invece, nè questa, nè altra ipotesi di reato, l’omessa esibizione, da parte dello straniero extracomunitario, immigrato clandestinamente in Italia ed irregolare, del permesso o della carta di soggiorno ovvero del documento di identificazione per stranieri di cui al citato D.Lgs., art. 6, comma 9, in quanto il possesso di uno di questi ultimi documenti è inconciliabile con la condizione stessa di "straniero clandestino" e, conseguentemente, ne è inesigibile l’esibizione.

1.3 – Privo di fondamento deve ritenersi, infine, il secondo motivo d’impugnazione dedotto in ricorso, che denunzia l’inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata, relativamente al mancato proscioglimento del ricorrente dal reato contestato al capo B. Le argomentazioni prospettate in ricorso sul punto, infatti, ripropongono deduzioni già disattese dalla Corte territoriale con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici. Ed invero la Corte distrettuale, e prima il Tribunale, ha dato atto della pluralità di dichiarazioni rese nel tempo dall’Imputato sull’identità personale, logicamente desumendo da tale contesto caratterizzato da persistente incertezza, la inveridicità anche di quelle fornite da ultimo, evidenziando, anche attraverso il pertinente riferimento ad una decisione di questa Corte (Sez. 6, sentenza n. 12162 dell’11 marzo 2009, imp. Fadili, non massimata) che tale conclusione risponde "a massima plausibile di comune esperienza", configurando il contesto soggettivo e "storico" descritto a carico dell’imputato, quantomeno un onere di specifica allegazione, idonea a superare l’efficacia probatoria delle constatate precedenti condotte ed a comprovare la veridicità di quanto affermato da ultimo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza Impugnata relativamente ai reati di cui ai capi A ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater) e C ( D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3) perchè i fatti non sono previsti dalla legge come reato e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per la rideterminazione della pena per il reato di cui al capo B ( art. 495 c.p.). Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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