T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 15-11-2011, n. 8845 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La ricorrente è comproprietaria, con le Signore P.L. e C.R., di un’area ubicata in Capena – Località Manciano, identificata in catasto al foglio 4, particelle 231, 232 e 233.

Essendo stata accertata su detta area la realizzazione, in assenza di permesso di costruire, di una struttura in legno di circa 16 mq, con altezza al colmo di 3 m circa, appoggiata a terra su blocchetti in tufo, di un’ulteriore struttura parte in legno e parte in lamiera grecata di 44 mq circa, sempre con altezza al colmo di 3 m circa, strutture con cordoli perimetrali in calcestruzzo e reti metalliche e con coperture in materiale plastico e lamiere, per una superficie complessiva di 195 mq, di una cordonatura a terra di circa 19 mq, infine di un manufatto in muratura di 8 mq alto 1,5 m, con ordinanza 17.7.2006, n. 63, prot. n. 12195, notificata il 19.7.2006, ne è stata ingiunta la demolizione, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

Avverso la richiamata ordinanza è stato proposto il presente ricorso, nel quale sono stati dedotti i seguenti motivi di doglianza:

1) eccesso di potere per difetto e carenza di motivazione ed errata valutazione dei fatti – violazione ed erronea applicazione della legge: il provvedimento avrebbe dovuto riguardare anche le altre comproprietarie del terreno interessato dalle opere; inoltre vi sarebbero molti altri manufatti in muratura come quello sanzionato e le altre strutture sarebbero impiegate per il ricovero dei cani; il provvedimento sarebbe carente di motivazione, in quanto non chiarisce se le opere in questione siano o meno conformi agli strumenti urbanistici, e non terrebbe conto della possibilità, per la ricorrente, di chiedere il titolo edilizio in sanatoria, in proposito rilevando che in data 13.10.2006 la stessa ha presentato la D.I.A. ex art. 37 del d.P.R. n. 380/2001;

2) mancata ed erronea descrizione delle opere abusive – assenza del parere motivato della sezione urbanistica – violazione dei principi della legge n. 47/1985: non sarebbero stati indicati il parere espresso della sezione urbanistica, le norme e le prescrizioni e gli strumenti urbanistici violati, con impossibilità, per l’interessata, di "comprendere ed inquadrare il presunto tipo di abuso e la violazione in atto";

3) violazione di legge e/o falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 della legge n. 241/1990 – difetto di motivazione: l’Amministrazione comunale non avrebbe provveduto alla comunicazione di avvio del procedimento, senza che ricorressero le ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità, con impossibilità, per la ricorrente, di prendere parte al procedimento.

In data 31.10.2006 la ricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato dall’apposita Commissione presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma allora competente.

Il Comune di Capena, regolarmente evocato in giudizio, non si è costituito.

Con ordinanza 18.12.2006, n. 7089, è stata accolta la domanda cautelare, proposta in via incidentale, in attesa delle determinazioni dell’Amministrazione sulla istanza (rectius: D.I.A.) in sanatoria.

Nella pubblica udienza del 20.10.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1 – Il ricorso in esame ha per oggetto l’ordinanza, individuata in epigrafe, con cui, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380, si ordinano la demolizione di opere realizzate in assenza di permesso di costruire e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

2 – Come già illustrato in narrativa, le opere contestate sono le seguenti: a)una struttura in legno di circa 16 mq, con altezza al colmo di 3 m circa, appoggiata a terra su blocchetti in tufo, b) un’ulteriore struttura parte in legno e parte in lamiera grecata di 44 mq circa, sempre con altezza al colmo di 3 m circa, c) strutture con cordoli perimetrali in calcestruzzo e reti metalliche e con coperture in materiale plastico e lamiere, per una superficie complessiva di 195 mq, d) una cordonatura a terra di circa 19 mq, e) un manufatto in muratura di 8 mq alto 1,5 m.

Esse risultano descritte in modo puntuale, il che smentisce la dedotta sussistenza del difetto di motivazione sotto il profilo fattuale.

3 – È evidente che dette opere, comportanti una rilevante trasformazione del territorio, integrino interventi di nuova costruzione, i quali richiedono, per la loro legittima realizzazione, la previa acquisizione del permesso di costruire.

Al riguardo, infatti, l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, recante la definizione degli interventi edilizi, alla lett. e) del comma 1, individua proprio gli interventi di nuova costruzione, rappresentati appunto da quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie della manutenzione – ordinaria e straordinaria -, nel restauro e risanamento conservativo e nella ristrutturazione edilizia, queste, invece, tutte presupponesti manufatti preesistenti ai quali i lavori dovrebbero afferire.

Nella esemplificazione, poi, la medesima disposizione, elenca, tra gli interventi di nuova costruzione, "la costruzione di manufatti edilizi fuori terra…", specificando che tali debbano intendersi pure i "manufatti leggeri, anche prefabbricati (…) utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee".

Da tale puntuale richiamo alla disposizione che individua le tipologie di interventi edilizi si deduce inequivocabilmente la necessaria inquadrabilità delle opere qui in contestazione negli interventi di nuova costruzione, non rilevando, infatti, la circostanza che esse siano in legno o lamiera e che in parte siano destinati a ricovero dei cani, essendo, invece, determinante il fatto che le stesse non siano destinate a soddisfare esigenze temporanee, vale a dire circoscritte temporalmente.

Stante la loro qualificazione come interventi di nuova costruzione e la prescrizione, contenuta nell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001, del permesso di costruire, quale titolo edilizio imposto ex lege per la loro esecuzione, in assenza degli stessi, è corretta l’applicazione, in concreto attuata, dell’art. 31 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, il quale sanziona con l’ingiunzione di demolizione proprio gli interventi di nuova costruzione realizzati in assenza del permesso di costruire, con la previsione dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere stesse e dell’area di sedime, per il caso di inottemperanza a tale ordine.

3.1 – Dalla lettura del provvedimento gravato emerge chiaramente l’applicazione di tale ultima disposizione normativa, che è espressamente richiamata e di cui è anche riportato il contenuto nella seconda pagina.

4 – Risultano integrati tutti i presupposti ex lege per fare luogo alla sanzione censurata in questa sede, non occorrendo l’ulteriore elemento, dedotto dalla parte ricorrente, del contrasto delle opere con le prescrizioni urbanistiche. Ciò comporta che, contrariamente a quanto asserito nel presente giudizio, stante la sua assoluta irrilevanza ai fini della previsione della sanzione di che trattasi, non era neppure richiesta l’esplicitazione di tale contrarietà. Se ne deduce l’infondatezza del vizio con cui si evidenzia proprio l’assenza di detto elemento nell’ordinanza impugnata.

5 – Il coordinatore del Dipartimento dell’Ufficio tecnico comunale ed il Responsabile del Servizio, che si sono assunti la paternità del provvedimento gravato, hanno fatto proprie le risultanze del sopralluogo nel quale sono state accertate le opere in questione, per cui non è affatto vero che è assente il parere della sezione urbanistica.

5.1 – Ove poi impropriamente si volesse fare riferimento alla Commissione edilizia, si osserva quanto segue.

In primo luogo, in base all’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, i Comuni che intendano istituire la Commissione edilizia devono individuare gli interventi per i quali deve essere acquisito il parere di detto organo consultivo.

In via generale poi la legge n. 241/1990 e s.m.i. stabilisce il principio di non aggravamento del procedimento amministrativo ed, all’art. 16, recante "attività consultiva", prevede che, quando debbano essere acquisiti pareri, l’Amministrazione attiva possa prescinderne, se questi non siano resi entro il termine di 20 giorni dalla richiesta, salvo che debbano essere espressi "da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini".

Interpretando nel modo più aderente ai principi sopra richiamati, deve concludersi nel senso che, quando non siano necessarie valutazioni di ordine prettamente tecnico, che involgano profili di tutela territoriale e paesaggistica, ma emergano quelle di ordine più squisitamente giuridico, l’Amministrazione possa provvedere pure in assenza del parere; nella specie si è rilevato che la sanzione comminata è riferita alla realizzazione di interventi di nuova costruzione in assenza di permesso di costruire.

6 – Infatti, l’applicazione in concreto, da parte del Comune di Capena, del citato art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 era necessitata: in altre parole, detto Ente non solo ha correttamente agito, ma ha in tale ipotesi esercitato attività vincolata, essendo tenuto a perseguire dette opere, con l’intervento demolitorio, imponendo il ripristino dello status quo ante.

7 – La dedotta mera possibilità di chiedere il titolo edilizio a sanatoria non può certo far venir meno, in capo al Comune, l’obbligo di esercitare il potere sanzionatorio. D’altronde, nella specie, da una parte, non appare avanzata l’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, bensì la denuncia di inizio attività tardiva ai sensi dell’art. 37 del menzionato decreto, dall’altra, detta D.I.A. è stata presentata solo ex post, dopo l’adozione del provvedimento sanzionatorio, introducendo un procedimento autonomo e del tutto distinto dallo stesso.

8 – Il carattere vincolato dell’attività posta in essere determina l’impossibilità di dedurre profili di eccesso di potere, che ne presuppongono invece la natura discrezionale, ed, in particolare, la totale irrilevanza di una sorta di disparità di trattamento, derivante dalla circostanza che nell’area insistono altri manufatti come quelli qui colpiti da sanzione demolitoria, ma non risulterebbero perseguiti.

9 – A fronte degli abusi in parola, la cui sanzione è stata correttamente individuata ed applicata, essendo espressione di attività vincolata, per effetto di quanto stabilito dall’art. 21 octies della menzionata legge n. 241/1990, la mancata comunicazione di avvio del procedimento non determina l’annullamento dell’ordinanza impugnata, costituente il provvedimento finale di detto procedimento.

10 – Infine, quanto alla dedotta illegittimità di tale provvedimento, per essere stato rivolto esclusivamente nei confronti dell’odierna ricorrente, essendo la stessa comproprietaria dell’area interessata dagli interventi, insieme ad altre due, la censura è inammissibile, per difetto di interesse, potendo di ciò dolersi solo dette ulteriori comproprietarie.

11 – In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato.

12 – Con riguardo alle spese, ai diritti ed agli onorari, stante la soccombenza della ricorrente, nulla deve disporsi, in assenza di costituzione del Comune intimato.

13 – Deve poi considerarsi che la ricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato dall’apposita Commissione presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in data 31.10.2006;

14 – Orbene, dalle considerazioni supra svolte emerge la manifesta infondatezza dello stesso ricorso, vale a dire che la ricorrente ha agito in giudizio, quanto meno, con colpa grave, ben potendo la stessa avere agevolmente la consapevolezza di tale infondatezza, ove avesse impiegato anche una ridotta diligenza.

14.1 – Pertanto, si ritiene che la stessa, nel proporre il ricorso, abbia agito senza osservare la occorrente cautela, sempre esigibile da parte di tutti, per questo trovandosi nella condizione di chi "non intellegit quod omnes intellegunt", e che debba farsi applicazione dell’art. 136 del d.P.R. 30.5.2002, n. 115 (sulle spese di giustizia, nella parte riferita al patrocinio a spese dello Stato), in base al quale il provvedimento di ammissione al patrocinio è revocato dal magistrato che procede, per quanto qui occorre, "se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave".

14.2 – D’altra parte, tale conclusione trae conforto, altresì, dalla ordinanza della Corte Costituzionale n. 220 del 17.7.2009, nella parte in cui, connettendo gli articoli 122 e 136, comma 2, del richiamato d.P.R. n. 115 del 2002, è messo in evidenza che il legislatore ha previsto sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (da compiersi al momento della presentazione della domanda, con rigetto della stessa nei casi in cui, sin dall’origine, l’istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata), sia la revoca, ex post, della ammissione al beneficio, quando, a seguito del giudizio, risulta provato che la persona ammessa abbia agito o resistito con mala fede o colpa grave.

14.3 – Conclusivamente si dispone la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, concessa, in favore della Sig.ra P.D., in relazione al presente ricorso, dall’apposita Commissione presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in data 31.10.2006.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sezione I quater, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.

Dispone la revoca dell’ammissione della ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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