Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-07-2011) 14-10-2011, n. 37049

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26.4.2010 la Corte di appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale di Ragusa in data 25.6.2008 con la quale P.K. era stata condannata alla pena di mesi dieci di arresto ed Euro 5.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, accertato in (OMISSIS).

Nel corso di un’ispezione dell’Ispettorato del Lavoro presso il ristorante-pizzeria La Stagione di Ragusa si accertava che il cittadino tunisino M.D., in possesso di un permesso temporaneo, peraltro scaduto, che lo autorizzava a restare in Italia per motivi di salute, era impiegato come pizzaiolo nel suddetto ristorante e che era stato assunto dall’imputata.

Il primo giudice negava all’imputata le attenuanti generiche e il beneficio della sospensione condizionale per la condotta precedente e successiva al reato, avendo la stessa posto in essere un tentativo di inquinamento della prova.

Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, sostenendo, con un primo motivo, che l’imputata doveva essere assolta dal reato ascrittole poichè M.D. aveva un regolare permesso di soggiorno, sia pure per motivi di salute.

Con un secondo motivo ha sollevato questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 in quanto la norma parifica irragionevolmente la situazione del clandestino a quella di chi ha un titolo di permanenza nello Stato, per motivi di salute, studio, turismo od altro.

Con un terzo motivo ha dedotto il difetto di motivazione della sentenza di secondo grado nella determinazione della pena, non avendo considerato i giudici dell’appello uno specifico motivo con il quale, in considerazione della posizione personale dello straniero, regolarmente soggiornante in Italia per motivi di salute, si contestava la gravità del fatto.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 sanziona il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze "lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno previsto dal presente articolo", ed è pacifico in atti che il cittadino tunisino M.D. aveva ottenuto un permesso di soggiorno solo per motivi di salute, peraltro scaduto all’atto dell’accertamento dell’Ispettorato del lavoro presso la pizzeria gestita dall’imputata.

Quindi, è del tutto evidente la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, poichè il lavoratore straniero era privo di permesso di soggiorno.

La L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 pone quale condizione per sollevare davanti alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale, oltre alla non manifesta infondatezza della stessa, anche la necessità che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla questione medesima.

La questione di legittimità costituzionale sollevata con il secondo motivo di ricorso è del tutto irrilevante nel presente processo, poichè il lavoratore straniero non era in possesso di un valido permesso di soggiorno per motivi di salute, in quanto detto permesso era scaduto. Nella sentenza di primo grado sono state spiegate analiticamente le ragioni della gravità del fatto, causa la condotta tenuta dall’imputata prima e dopo la commissione del reato, e il giudice di appello ha condiviso dette ragioni, che non potevano venir meno per un motivo – lo straniero era regolarmente soggiornante in Italia per motivi di salute – del tutto insussistente. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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