Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-03-2012, n. 4963 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I lavoratori odierni intimati, ex dipendenti della Fiat Powcrtrain Technologies s.p.a., cessati dal lavoro negli anni dal 2003 al 2005, ottenevano decreti ingiuntivi nei confronti della Fiat per il pagamento delle somme che la società aveva trattenuto "a titolo di recupero contributi sospesi" (per gli eventi sismici verificatisi nel Molise nell’ottobre-novembre 2002) sugli emolumenti e sul TFR erogati all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. La Fiat proponeva opposizione avverso i detti decreti ingiuntivi chiedendone la revoca e, in via gradata, previa chiamata in causa dell’INPS, chiedeva la condanna dell’Istituto alla restituzione delle somme che la società era stata costretta a pagare ai lavoratori, ovvero di quanto indebitamente versatogli e, comunque, all’integrale manleva da ogni conseguenza pregiudizievole della causa.

Il Tribunale di Larino, con sentenza n. 170/2006 del 26-5-2006 rigettava le opposizioni nonchè la domanda proposta dalla Fiat nei confronti di Inps e compensava le spese.

La Fiat proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendo il rigetto delle domande degli ex dipendenti e in subordine raccoglimento della propria domanda di manleva e di restituzione nei confronti dell’INPS. Gli ex dipendenti si costituivano e resistevano al gravame.

L’INPS si costituiva eccependo rincompetenza territoriale e nel merito la infondatezza dell’appello.

La Corte d’Appello di Campobasso, con sentenza depositata il 3/12/2009. rigettava l’appello e confermava la pronuncia di primo grado.

In sintesi la Corte territoriale, pur riconoscendo che ai sensi della interpretazione autentica di cui alla L. n. 290 del 2006, art. 6, comma 1 bis, il beneficio della sospensione dei contributi previdenziali ed assistenziali opera esclusivamente in favore dei datori di lavoro privati, confermava la illegittimità dell’unica trattenuta effettuata dalla Fiat al momento della cessazione del rapporto, ritenendo inapplicabile nella fattispecie (concernente rapporti di lavoro cessati) l’"autotutela di cui alla L. n. 218 del 1952, art. 19, comma 2", la quale "riconnette la trattenuta della quota di contributi non alla retribuzione comunque corrisposta, ma solo a quella che è erogata alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce".

La Corte aggiungeva, inoltre, che la Fiat non aveva esercitato una ordinaria azione di rivalsa bensì la rivalsa ai sensi dell’art. 19, comma 2 citato, e che, in ogni caso, quand’anche avesse esercitato una ordinaria azione di rivalsa "non avrebbe potuto pretendere il pagamento dell’intero ammontare della quota di contributi del lavoratore (la cui corresponsione, peraltro, era, allora, sospesa anche per esso datore)", non potendo comunque la rivalsa "eccedere l’importo delle rate scadute nel momento in cui viene esercitata la rivalsa medesima" e dovendo di conseguenza avvenire la stessa "anche per la quota a carico del lavoratore" con la rateizzazione prevista dalla normativa dettata per la riscossione dei contributi sospesi.

Peraltro la Corte affermava che non assumeva rilevanza la circostanza che la Fiat, pur non essendo tenuta a farlo, avesse scelto di versare all’INPS l’intero ammontare dei contributi sospesi, perchè si trattava di pagamento di un debito non scaduto, che in quanto tale, nella specie, esorbitando dal debito del lavoratore non autorizzava alla rivalsa come operata dalla società.

Infine la Corte territoriale confermava il rigetto della domanda di manleva proposta nei confronti dell’INPS rilevando che, avendo la Fiat operato il pagamento di un debito non scaduto (stante la pendenza della sospensione e, comunque, la previsione di una restituzione rateizzata) la ripetizione era esclusa dall’art. 1185 c.c, comma 2.

Per la cassazione di tale sentenza la Fiat Powcrtrain Technologies s.p.a. ha proposto ricorso con quattro motivi.

Il gruppo di lavoratori (in epigrafe indicati) difesi dall’avv. Vincenzo Iacovino ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un unico motivo.

A.F. e l’INPS hanno resistito, ciascuno con proprio controricorso.

La Fiat, dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale e da ultimo ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., rileva il Collegio che il ricorso principale è rivolto, tra gli altri, contro alcuni soggetti che non risultano essere stati parte del giudizio di merito, non essendo indicati nella sentenza stessa (e cioè A.E., + ALTRI OMESSI ).

Parimenti va rilevato che Z.A., A.E., V.G. e P.S., hanno proposto ricorso incidentale, pur non essendo affatto contemplati nell’impugnata sentenza.

Orbene, come questa Corte ha ripetutamente affermato e va qui ribadito, "la qualità di parte legittimata a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata" (v. fra le altre Cass. 14-7-2006 n. 16100, Cass. 15-7-2005 n. 15021, Cass. 13-7-2001 n. 9538, Cass. 18-2-2000 n. 1854, e da ultimo su tale "necessaria coincidenza" v. Cass. 17-5-2011 n. 10813).

Preliminarmente va pertanto dichiarata la inammissibilità del ricorso principale nei confronti di quegli intimati non indicati in sentenza e del ricorso incidentale proposto da quei lavoratori parimenti non indicati in sentenza.

Ciò posto, per il resto, rileva il Collegio che in ordine logico, in considerazione sia della formulazione delle domande originarie sia dell’iter argomentativo seguito dalla Corte di merito, va esaminato dapprima il ricorso incidentale proposto dai lavoratori legittimati.

I detti lavoratori con l’unico motivo, infatti, denunciando violazione della O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7 e della L. n. 290 del 2006, art. 6, comma 1 bis, in sostanza lamentano che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la sospensione de qua "avrebbe quali unici beneficiari i datori di lavoro, sicchè i dipendenti ne risulterebbero completamente esclusi anche per la quota di contribuzione a proprio carico".

Al riguardo i ricorrenti incidentali evidenziano che, sul piano letterale, l’art. 7 dell’ordinanza citata si riferisce ai "soggetti", nonchè alla "residenza"" e alla "sede legale od operativa", espressioni tutte comprensive sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori, e rilevano inoltre che la norma "è finalizzata ad assicurare ogni azione utile a celere superamento della situazione emergenziale, così risultando confermata la portata generale di applicazione della norma in questione".

Nel contempo i ricorrenti incidentali sostengono che la O.P.C.M. n. 3253 del 2002, non è stata interessata dalla interpretazione autentica di cui al D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis, conv. in L. n. 290 del 2006, che attiene solo alla quota a carico dei datori di lavoro, di guisa che "la norma sopravvenuta non determina alcun mutamento della situazione previgente e lascia assolutamente intatto ed inalterato il diritto del lavoratore a percepire la propria retribuzione comprensiva della quota di contribuzione a proprio carico".

Il motivo è infondato.

Come è stato di recente affermato da questa Corte e va qui ribadito, "la O.P.C.M. 29 novembre 2002, n. 3253, art. 7, comma 1 – che prevede la sospensione dei versamenti di contributi previdenziali per i soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 31 ottobre 2002 – va interpretato alla stregua del disposto del D.L. 9 ottobre 2006, n. 263, art. 6, comma 1 bis, convertito in L. 6 dicembre 2006, n. 290 e, pertanto, come riferibile soltanto ai datori di lavoro privati, essendo finalizzata la disciplina alla liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attività imprenditoriali e non anche all’incremento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti" (v. Cass. 24-11-2011 n. 4526).

In specie questa Corte ha, tra l’altro, precisato che "la ridetta O.P.C.M. n. 3253 del 2002 fa espresso e prioritario riferimento alla L. n. 225 del 1992" e nel preambolo richiama anche il D.L. n. 245 del 2002, con significativo riferimento, "in particolare" all’art. 2, comma 2, "con il quale si rinvia la disciplina e la definizione delle modalità degli interventi di emergenza ad ordinanze di protezione civile", per cui "deve convenirsi che anche l’O.P.C.M. n. 3253 del 2002 rientra fra le ordinanze di protezione civile contemplate dal D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis, conv. in L. n. 290 del 2006", con la conseguente "sua applicabilità anche alla disposizione di cui al ricordato art. 7 di tale Ordinanza".

Inoltre è stato anche chiarito che il predetto art. 6, comma 1 bis. del D.L. citato, "è norma di interpretazione autentica, secondo quanto esplicitato dal dato testuale e, come tale, di portata retroattiva", così escludendosi "una sua efficacia soltanto innovativa rispetto al contenuto precettivo dell’art. 7, poichè l’interpretazione autenticamente affermata rientra fra quelle possibili della norma in esame, alla luce in particolare del riferimento testuale ai "versamenti" – ossia agli adempimenti dell’obbligo previdenziale riservati alla parte datoriale e successivi alla trattenuta delle quote a carico dei lavoratori – e della rado della disposizione, individuabile nell’intento di favorire la liberazione di risorse economiche da destinare al sostegno delle attività imprenditoriali".

Tale norma di interpretazione autentica è stata peraltro ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale (v. C. Cost. n. 325/2008).

Infondata è pertanto la tesi dei lavoratori (legittimati), il cui ricorso incidentale va respinto.

Passando, quindi, all’esame del ricorso principale nei confronti degli intimati legittimati, con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 112, 416, 437 c.p.c., e nullità consequenziali, in sostanza, premesso che il titolo azionato e controverso in prime cure era consistito soltanto nella pretesa dei lavoratori di restituzione "derivante dal diritto, previsto dalla richiamata normativa emergenziale, alla rateizzazione del versamento della quota di contributi previdenziali a loro carico che erano stati già versati dal datore di lavoro all’INPS prima delle richieste d’ingiunzione", la Fiat rileva che la Corte d’Appello, anzichè limitarsi a verificare la correttezza della statuizione di primo grado; "ricognitiva del preteso diritto" così azionato e, una volta accertata la insussistenza di tale diritto, accogliere senz’altro le opposizioni alle ingiunzioni, ha "’inammissibilmente immutato la sopra ricordata unica ragione giustificatrice delle originarie domande proposte" nei confronti della società, "convertendola ex officio in altra, mai addotta nè esplicitata dagli interessati, consistente nel diritto all’integrità della retribuzione".

In tal modo, secondo la ricorrente principale, la Corte di merito ha violato il principio fondamentale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, modificando radicalmente d’ufficio in appello la causa petendi della pretesa dei lavoratori.

Il motivo è fondato e va accolto.

Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito "il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, previsto dall’art. 112 cod. proc. civ., implica il divieto di attribuire alla parte un bene non richiesto, o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, e deve ritenersi violato ogni qualvolta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi identificativi dell’azione ("petitum" e "causa petendi", attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda. In particolare, dal divieto di pronunciare su un’azione diversa da quella espressamente proposta consegue che è inibito al giudice, con riferimento alla "causa petendi", basare la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti, ponendo a fondamento della domanda un titolo nuovo e difforme da quello indicato dalla parte" (v. Cass. 16-12-2005 n. 27727).

In tema, poi, di procedimento per ingiunzione, in base alla giurisprudenza consolidata di legittimità "per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo in tema di onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna della parti" (v. fra le altre Cass. 1-3-2007 n. 4800, Cass. 27-1-2003 n. 1185, Cass. Cass. 27-6-2000 n. 8718).

In tale quadro generale, come pure è stato precisato, "anche all’interno del rito di lavoro il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge secondo le norme del procedimento ordinario dinanzi al giudice adito, con la conseguenza che la memoria difensiva dell’opposto, attesa la sua posizione sostanziale di attore, deve osservare la forma della domanda (di cui all’art. 414 cod. proc. civ.) e, pertanto, deve recare, tra l’altro, la determinazione dell’oggetto di essa e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda; ne consegue che, nella stessa memoria difensiva, è possibile specificare e meglio chiarire detti elementi, al fine di adeguare al carattere e ai principi della cognizione ordinaria la pretesa azionata in via monitoria, nonchè modificare., nei limiti della emendatio, e non della mutatio libelli, la domanda proposta in sede monitoria" (v. Cass. 22-4-2004 n. 7688, cfr. fra le altre Cass. 13-9-2003 n. 13467).

Orbene nella fattispecie con i ricorsi in sede monitoria gli ex dipendenti, sulla premessa di aver diritto alla sospensione de qua, avevano sostenuto che la illegittimità della trattenuta consisteva sia nell’aver avviato il recupero prima del 31-12-2005, sia nell’aver recuperato i contributi sospesi in un’unica soluzione e non nelle 304 rate mensili previste.

Tale tesi, a seguito della opposizione della società, è stata ribadita da parte degli opposti con le relative memorie di costituzione, ed è stata poi accolta dal primo giudice, il quale, però, ad abundantiam, ha altresì disatteso le ulteriori difese avanzate dalla società opponente (peraltro anche "per la prima volta nelle note difensive finali", come si legge a pag. 11 della sentenza di primo grado).

Avverso tale pronuncia, con il primo, principale e assorbente, motivo di appello la società ha ribadito l’infondatezza della tesi attorea e l’insussistenza del presupposto stesso delle domande degli ex dipendenti (in sostanza il loro preteso diritto alla sospensione de qua e alla conseguente rateizzazione).

Orbene tale motivo è stato espressamente ritenuto fondato dalla Corte d’Appello, la quale, legittimamente (come sopra è stato già affermato rigettandosi il ricorso incidentale), ha affermato che "beneficiario della sospensione contributiva non è il lavoratore ma il datore di lavoro".

Sennonchè la Corte territoriale, anzichè accogliere semplicemente il detto motivo e con esso le opposizioni della società, con conscguente revoca dei D.I. e rigetto delle domande degli ex dipendenti, così come proposte, ha respinto in toto l’appello, considerando, invece, assorbente la ritenuta infondatezza delle ulteriori tesi difensive avanzate dalla società, con il secondo motivo di gravame, contro le argomentazioni ad abundantiam svolte dal primo giudice.

In tal modo la Corte di merito, ribaltando le posizioni sostanziali delle parti, ha. in definitiva, accolto le domande sulla base di una causa petcndi diversa da quella prospettata ed azionata dagli attori- opposti, in effetti scaturita soltanto dalle citate ulteriori tesi difensive della società (come del resto in qualche modo riconosciuto anche nel controricorso di R.M. ed altri, a pag. 14, allorquando si evidenzia la "tardività"" e "inammissibilità" del relativo motivo di appello).

Pertanto la Corte territoriale è incorsa nel vizio di violazione degli artt. 112. 416 e 437 c.p.c., denunciato con il primo motivo del ricorso principale, che va accolto, restando così assorbiti gli altri motivi dello stesso ricorso (riguardanti appunto le dette ulteriori argomentazioni difensive).

La sentenza impugnata va, pertanto cassata in relazione alla censura accolla e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, vanno accolte le opposizioni della società con la revoca dei decreti ingiuntivi opposti e con il rigetto delle domande dei lavoratori intimati, contemplati nell’impugnata sentenza.

Infine, ricorrono giusti motivi, ex art. 92 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis, in ragione della complessità della vicenda e della questione principale che ha trovato soluzione soltanto nella recente pronuncia di questa Corte, per compensare le spese dell’intero processo fra tutte le parti, in relazione ai giudizi che le riguardano.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e:

a) dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti di A.E., + ALTRI OMESSI e lo accoglie nei confronti degli altri intimati limitatamente al primo motivo, assorbiti i successivi motivi;

b) dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Z. A., A.E., V.G. e P.S. e lo rigetta per il resto;

c) cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta del ricorso principale e, decidendo nel merito, rigetta le domande degli altri lavoratori oltre quelli indicati sub a) per i quali il ricorso principale è stato dichiarato inammissibile;

d) compensa le spese dell’intero processo fra tutte le parti in relazione ai giudizi che le riguardano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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