Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-03-2012, n. 4962 Annullabilità del contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Numerosi lavoratori dipendenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, provenienti dal ruolo dell’ex Ministero dei trasporti e dell’ex Ministero della marina mercantile a seguito dell’accorpamento realizzato dal D.Lgs. n. 300 del 1999 adivano il Tribunale di Roma al fine di ottenere in primo luogo l’accertamento dell’inadempimento del Ministero al disposto delle sentenze del Tribunale di Roma del 20.11.2001 e del 17.12.2001 e di conseguenza la condanna del medesimo al pagamento, a titolo di risarcimento del danno in loro favore, delle differenze retributive arretrate al fine di equiparare l’indennità di amministrazione dagli stessi percepita con quella, di maggiore importo, percepita dal personale proveniente dalla ex Direzione generale della Motorizzazione civile a partire dal’1.7.1998.

Chiedevano anche l’accertamento della parziale illegittimità dell’art. 22 del nuovo CCNL per gli anni 2002-2005 e dell’art. 33 del previgente CCNL di comparto nella parte in cui avevano disposto uguali incrementi dell’indennità di amministrazione a tutto il personale del Ministero, così perpetuandosi la predetta disparità di trattamento dei ricorrenti rispetto al personale proveniente dalla ex Direzione generale della Motorizzazione civile, con la conseguente condanna dell’Amministrazione alle perequazioni conseguenti.

Il Tribunale, quanto alla declaratoria di nullità dell’art. 33 del previgente CCNL, rilevava che la domanda era coperta dal precedente giudicato e che tale giudicato veniva a precludere anche la domanda diretta a compensare le conseguenti differenze retributive, pur se formulata sotto il profilo del risarcimento del danno.

Riteneva fondata, invece, la domanda di nullità dell’art. 22 del CCNL del comparto ministeri 2002-2005 (in sostanza riproduttivo del precedente art. 33), perchè, pur incrementando l’indennità di amministrazione, manteneva inalterata la lamentata disparità di trattamento, in violazione del D.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, comma 5, secondo cui doveva essere avviata, con le modalità di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 45 la omogeneizzazione delle indennità di amministrazione corrisposte al personale confluito nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dai Ministeri soppressi.

Il Tribunale escludeva che una perequazione fosse stata attuata dall’accordo in data 26.7.2001, perchè questo mirava a disciplinare i progetti incentivanti di cui al D.M. 31 maggio 2001, n. 83, cioè una voce di retribuzione variabile, mentre l’indennità di amministrazione è una componente della retribuzione fissa valutabile, come lo stipendio base, ai fini pensionistici e del trattamento di fine rapporto.

Pertanto il Tribunale accoglieva la domanda di pagamento delle differenze retributive a far data dall’entrata in vigore dell’art. 22 del CCNL per gli anni 2002-2005, facendo riferimento al principio della sostituzione delle clausole nulle ad opera delle norme inderogabili (nella specie il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 45).

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti proponeva appello, che era rigettato dalla Corte d’appello di Roma.

Detta Corte osservava che l’accordo del 26.7.2001 non incideva sull’oggetto del giudizio poichè lo stesso aveva riconosciuto una somma come compenso incentivante a titolo di progetto finalizzato soltanto per il periodo 2001-2003, cosicchè il relativo emolumento non aveva quella natura definitiva, fissa e pensionabile., che invece è propria della indennità di amministrazione. Pertanto, l’accordo in questione non poteva considerarsi come l’adempimento delle sentenze del Tribunale di Roma del 20.11.2001 e del 17.12.2001, con cui era stata dichiarata la nullità dell’art. 33 del CCNL di settore vigente nella parte in cui attribuiva ai dipendenti del Ministero dei trasporti e della navigazione una diversa indennità di amministrazione pur a parità di livello contrattuale ed era stata respinta la domanda di pagamento delle differenze retributive arretrate spettanti a ciascun ricorrente sull’indennità di amministrazione essendo tale profilo riservato alla contrattazione collettiva.

In relazione ad un ulteriore motivo di gravame osservava che il giudice di primo grado giustificatamente aveva condannato il Ministero al pagamento delle differenze retributive in favore dei ricorrenti, visto che la violazione, da parte di una normativa collettiva, di una disposizione di legge inderogabile in tema di istituti retributivi, attiva il meccanismo previsto dall’art. 1419 c.c., comma 2, salvo che il diverso criterio adottato dalle parti non fornisca un risultato che sia, nel complesso, più favorevole al lavoratore. In sostanza, il giudice di primo grado aveva fatto corretta applicazione del principio di parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 (già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 49), che impone alle amministrazioni pubbliche di garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, essendo incontestabile che gli originari ricorrenti avevano svolto, nel periodo dedotto in giudizio, le stesse identiche mansioni dei lavoratori provenienti dalla ex Direzione generale della Motorizzazione civile, ai quali la legge aveva attribuito una indennità di amministrazione superiore.

Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ricorre per cassazione con tre motivi.

Pr.Si. e molti altri dei lavoratori intimati resistono con controricorso. V.N. ed altri non si sono costituiti.

Memorie ex art. 378 c.p.c. del Ministero e dei controricorrenti.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo denuncia insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo; specificamente, sulla finalità dell’accordo del luglio 2001. Si osserva che la Corte ha fondato il suo convincimento in ordine alla estraneità dell’accordo alla presente controversia sulla mera considerazione che in esso veniva disciplinato un compenso avente natura diversa dall’indennità di amministrazione, senza invece valutare se esso avesse o meno (in considerazione del tenore dell’art. 3, comma 2, prevedente la corresponsione di "un’indennità pari alla differenza tra l’indennità di amministrazione di cui all’art. 34, comma 2, lett. A) CCNL 1995 attualmente percepita dal personale proveniente dal ruolo del soppresso Ministero della Marina Mercantile e dal ruolo dell’ex D.G. dell’Aviazione Civile e quella attualmente percepita dal personale proveniente dal ruolo dell’ex D.G. della Motorizzazione Civile e dei Trasporti in concessione", e del limitato ambito dei soggetti a favore dei quali tale compenso era stato riconosciuto) lo scopo di creare un meccanismo compensativo, sia pure mediante il ricorso ad un beneficio di natura diversa, della più alta indennità di amministrazione percepita dai dipendenti della ex Motorizzazione civile.

Questo motivo non merita accoglimento. Deve rilevarsi infatti che, mentre la motivazione della sentenza impugnata, relativamente alla (non) incidenza della corresponsione della indennità indicata nel motivo sulla lamentata disparità di trattamento retributivo, ha attribuito rilievo particolare e determinante alla natura giuridica e alla disciplina di tale indennità, costituente un compenso incentivante e non una voce fissa e definitiva della retribuzione, come l’indennità di amministrazione, le censure formulate con il motivo di ricorso non colpiscono adeguatamente tale ratio decidendi.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia relativamente al motivo di appello (il secondo), con cui era stata lamentata l’erroneità della dichiarazione di nullità dell’art. 22 del CCNL 2002/2005 per contrasto con l’obbligo di "omogeneizzazione" previsto dal D.P.R. n. 177 del 2001, stilla base del rilievo che in effetti la norma richiamata non imponeva alcun obbligo di immediata equiparazione dell’indennità di amministrazione percepita dalle varie categorie (per provenienza) del personale, e la mancanza di fondamento della condanna al pagamento delle differenze retributive, in assenza di previsione legale o contrattuale che ponga tale obbligo, nonchè relativamente agli esposti ulteriori ostacoli giuridici alla pronuncia adottata dal primo giudice.

Tali argomentazioni, compresi numerosi rilievi circa l’effettiva portata della disposizione del D.Lgs. n. 165 del 2001 sull’obbligo delle amministrazioni di garantire parità di trattamento ai propri dipendenti, erano poi richiamate in relazione all’ipotesi di pronuncia della Corte di cassazione sul merito ex art. 384 c.p.c., ai fini della quale era enunciato il seguente principio di diritto:

"Dica la Corte se, ai sensi del combinato-disposto del D.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 4 risulti erronea la sentenza che abbia affermato l’esistenza di un obbligo di parità di trattamento immediatamente precettivo, che prescinde dalle determinazioni assunte dalla contrattazione collettiva e abbia pertanto dichiarato nullo l’art. 22 CCNL relativo al personale del comparto ministeri per il quadriennio normativo 2002 – 2005 e biennio economico 2002 – 2003 nella parte in cui prevede un graduale riallineamento dei profili retributivi e per l’effetto abbia riconosciuto ai dipendenti dell’ex ministero dei lavori pubblici (accorpato con il ministero delle infrastrutture e trasporti), il diritto alla percezione dell’indennità di amministrazione nella misura corrisposta ai dipendenti provenienti dall’ex motorizzazione civile". 3.1. Nel prendere in esame tale motivo deve preliminarmente procedersi ad una valutazione della sua effettiva portata. Deve osservarsi, infatti, che impropriamente si è dedotto il vizio di omessa pronuncia sulla base del mero dato formale della (asserita) mancata pronuncia sulla questione posta da uno specifico motivo di appello. Infatti la sentenza impugnata si è pronunciata anche sull’oggetto toccato dalla questione richiamata con il motivo per cassazione ora in considerazione, che è una questione di diritto, il cui mancato o inadeguato esame può dar luogo al vizio denunciabile in cassazione di violazione di una norma di diritto e non al vizio di carattere processuale di omessa pronuncia, non essendovi stata violazione dell’obbligo del giudice, enunciato dall’art. 112 c.p.c., di "pronunciare su tutta la domanda". Deve però anche rilevarsi che in realtà il motivo contiene un’ampia e completa prospettazione della violazione di legge addebitata alla sentenza impugnata, con enunciazione del relativo principio di diritto, sia pure ormai formalmente non più necessaria (stante l’abrogazione dell’art. 366- bis c.p.c., operativa nella specie in relazione alla data della sentenza impugnata), in relazione alla prospettata ipotesi di una pronuncia della Corte anche nel merito ex art. 384 c.p.c., sicchè risulta presente, in maniera chiara ed evidente la articolazione di una censura di violazione di norme di diritto, nonostante un non determinante errore nella qualificazione giuridica della censura.

3.2. Deve anche rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità del ricorso per la mancata produzione dei contratti collettivi, in relazione al tenore dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), nel testo introdotto dalla L. n. 40 del 2006, dato che questa disposizione non si applica ai contratti collettivi nazionali per la disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tenuto presente che la loro violazione era prevista come possibile motivo di ricorso per cassazione dalla normativa sulla contrattualizzazione di tali rapporti già prima che una disciplina analoga venisse estesa ai contratti nazionali di diritto privato e che gli stessi contratti sono conoscibili direttamente dal giudice, in relazione alle garanzie fornite dal procedimento previsto per la loro conclusioni, oltre che dalla pubblicazione sulla gazzetta ufficiale (Cass., sez. un., n. 23329/20Q9).

4. Al fine di una migliore comprensione delle questioni poste dalla presente controversia e in particolare dal motivo in esame, è opportuno qualche cenno preliminare circa le vicende di scomposizione e ricomposizione delle strutture ministeriali che hanno coinvolto gli attuali resistenti e circa la disciplina dell’indennità di amministrazione.

4.1. la L. 28 dicembre 1993, n. 537, art. 1 ha soppresso il Ministero dei trasporti e il Ministero della marina mercantile (comma 8) e istituito il Ministero dei trasporti e della navigazione, con trasferimento allo stesso delle funzioni, degli uffici e del personale dei ministeri soppressi (comma 9).

Successivamente il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 41 ha istituito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, determinandone le funzioni e assegnando allo stesso, tra l’altro, le funzioni e i compiti del Ministero dei lavori pubblici e di quello dei trasporti e della navigazione, con le inerenti risorse. Il D.P.R. 26 marzo 2001, n. 177, art. 9 regolamento di organizzazione del nuovo ministero (poi abrogato dal D.P.R. 2 luglio 2004, n. 184, art. 15), ha istituito il ruolo unico del personale non dirigenziale del medesimo ministero, disponendo la confluenza nello stesso di tutto il personale dei ministeri soppressi (con le eccezioni ivi previste). Ha poi previsto che, con le modalità di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 45 (cioè in sede di contrattazione collettiva), "è avviata la omogeneizzazione delle indennità di amministrazione corrisposte al personale confluito nel Ministero dai Ministeri soppressi" (comma 5).

Peraltro le travagliate vicende di dette amministrazioni hanno visto una loro nuova scissione nel Ministero delle infrastrutture e nel Ministero dei trasporti (D.L. 18 maggio 2006, n. 181, convertito dalla L. 13 luglio 2006, n. 233) e una ulteriore fusione ad opera della Legge Finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

4.2. Nell’ambito della ricognizione delle varie voci della retribuzione del personale ministeriale, ai fini della precisazione non solo del loro importo ma anche della loro rilevanza legale e contrattuale, operata dal CCNL del comparto ministeri per il quadriennio 1993-1997 (sottoscritto conclusivamente il 16.5.1995) ed effettuata secondo i criteri indicati dall’art. 34, è stata menzionata la "indennità di amministrazione" (così denominata, evidentemente, in quanto di importo diverso ministero per ministero) di cui è rilevata la corresponsione, di norma, nelle medesime situazioni in cui viene erogato lo stipendio tabellare (Allegato B).

Successivamente tali indennità sono state aumentate, amministrazione per amministrazione, dal 1 luglio 1997 con il CCNL economico per il biennio 1996-1997 (art. 3 e tab. B). In questa occasione fu previsto lo stesso aumento per il Ministero dei trasporti, sia direzione generale aviazione civile che direzione generale della motorizzazione civile, mentre per il Ministero dei trasporti marina mercantile (così come per altre amministrazioni ministeriali) è stato previsto un aumento maggiore rispetto a tutte le altre amministrazioni (presumibilmente a fini perequativi).

Il CCNL per il quadriennio 1998-2001, nel prevedere gli aumenti dell’indennità di amministrazione negli importi di cui alla tabella G, ha precisato lo "scopo di favorire il processo di perequazione delle retribuzioni complessivamente spettanti al personale del comparto" (art. 33). In tale occasione, come non è in contestazione, sono stati previsti aumenti omogenei per i dipendenti del "Ministero dei Trasporti-Marina mercantile" (cioè senza distinzioni di settori), peraltro superiori (insieme a quelli di molti altri ministeri) alle misure previste per altre amministrazioni. Analoga finalità è stata espressa in occasione degli aumenti previsti dal CCNL per il quadriennio 2002-2005 (art. 22) e gli stessi (modici) aumenti risultano riconosciuti in favore di tutto il personale del nuovo Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (è impiegata la dizione "ex Ministero Trasporti Motorizzazione/Marina mercantile/Civilavia"), salvo che per i dipendenti provenienti dal Ministero dei lavori pubblici, per cui è previsto un aumento modicamente superiore (tabelle C e D).

Infine l’art. 31 del CCNL per il quadriennio 2006-2009, firmato in data 14.9.2007, al dichiarato scopo di "eliminare differenze tra le indennità corrisposte al personale in servizio presso la medesima Amministrazione" ha previsto che con decorrenza dal 31.12.2007 al personale del Ministero dei trasporti già dipendente dell’ex Ministero della marina mercantile ed ex Aviazione civile compete l’indennità nella misura spettante al restante personale (e che, per le medesime finalità al personale del Ministero delle infrastrutture già dipendente del Ministero dei lavori pubblici l’indennità sarebbe stata corrisposta nelle misure spettanti al personale dell’ex Motorizzazione civile – misure che, evidentemente, sono quelle stesse estese al restante personale del Ministero dei trasporti e in particolare ai dipendenti nella posizione degli attuali controricorrenti).

5. E’ opportuna un’ulteriore puntualizzazione preliminare.

Gli originari ricorrenti hanno chiesto l’accertamento della nullità dell’art. 22 del CCNL di comparto per il quadriennio normativo 2002- 2005 (e il relativo primo biennio economico) nella parte in cui non ha garantito loro il diritto all’indennità di amministrazione nella stessa maggiore misura accordata al personale proveniente dalla ex direzione generale della motorizzazione civile e la conseguente condanna dell’amministrazione datrice – di lavoro al pagamento delle conseguenti differenze retributive. Deve rilevarsi allora che effettivo oggetto del giudizio deve ritenersi proprio la rivendicazione del diritto a tali differenze retributive, in quanto il rilievo della nullità della disposizione del contratto collettivo nel presente giudizio potrebbe avvenire, in assenza delle parti legittimate alla stipula del contratto collettivo medesimo, solo in via incidentale e strumentale alla statuizione relativa ai rapporti di lavoro dedotti in giudizio. Peraltro, riqualificando in tale prospettiva la portata e l’esito del precedente giudizio intervenuto tra le parti con riferimento al periodo di vigenza del precedente contratto nazionale, deve osservarsi che in effetti il medesimo giudizio si è concluso con il rigetto delle domande dei lavoratori.

Rispetto a tale giudicato il presente nuovo giudizio si giustifica essenzialmente in relazione alla possibile portata dei fatti nuovi (nuovi quanto meno relativamente agli effetti e alla rilevanza), tra i quali l’istituzione nel 1999 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il confluire di tutto il relativo personale in un ruolo unico, la disposizione del D.P.R. n. 177 del 2001 sull’avvio della omogeneizzazione delle indennità di amministrazione, le disposizioni del CCNL 2002-2005 in materia di indennità di amministrazione.

6. Ai fini della individuazione della disciplina giuridica applicabile alla vicenda oggetto del giudizio, deve innanzitutto rilevarsi che rispetto alla stessa non risulta applicabile il principio, operante con riferimento alle ordinarie vicende di transito (c.d. mobilità) di lavoratori da un’amministrazione a un’altra sia in via individuale che collettiva, dell’applicabilità del trattamento economico e normativo vigente presso l’amministrazione di destinazione, salva l’eventuale applicabilità di regole o principi su forme di conservazione di pregressi trattamenti di maggior favore (cfr. Cass., sez. un., n. 22800/2010 e 503/2011 e le sentenze della sezione lavoro ivi richiamate). Nel caso in esame, infatti, a seguito della confluenza presso i Ministeri di nuova istituzione (prima il Ministero dei trasporti e della navigazione e poi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) di diversi gruppi di lavoratori fruenti di indennità di amministrazione di importo diverso, non è risultata individuabile una disciplina della medesima indennità che potesse ritenersi tipica, normale e generale del nuovi Ministeri (e per tale ragione non costituisce un precedente puntuale, alla stregua della sua motivazione, Cass. n. 5097/2011, la cui decisione è basata sul presupposto che, pacificamente, presso l’amministrazione di destinazione le misure dell’indennità di amministrazione erano precisamente determinate).

7. E’ poi necessario richiamare gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte riguardo al rapporto tra la contrattazione collettiva del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e principio di parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 (il cui comma 2 recita: "Le amministrazioni, pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi"). In realtà tale giurisprudenza risulta ferma nell’affermar e, come recentemente riassuntivamente rilevato, sulla base di puntuali richiami, che "il principio di parità di trattamento nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico, sancito dal cit. art. 45, vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in quella sede", sicchè non possono ritenersi vietati tutti i trattamenti differenziati nei confronti delle singole categorie di lavoratori, ma soltanto quelli in contrasto specifiche previsioni normative, restando escluso il sindacato del giudice sulle scelte compiute dalla contrattazione collettiva (Cass. 27 ottobre 2011 n. 22437).

Si osserva al riguardo che la radicalità di tale orientamento potrebbe in astratto apparire suscettibile di qualche riserva con riferimento ad ipotesi di differenziazioni o discriminazioni, pur non riconducibili al novero di una delle cause di discriminazione espressamente previste e vietate dalla legge, palesemente arbitrarie e non riconducibili in alcuna maniera all’amplissimo spettro delle ragioni di differenziazione discrezionalmente valutabili in sede collettiva. Peraltro il mancato approfondimento da parte dalla giurisprudenza di tali ipotesi, anche dal punto di vista della valutazione di tutti i parametri giuridici potenzialmente rilevanti, appare potersi spiegare anche con la possibile rilevanza della accennata problematica solo in ipotesi limite o di scuola. Infatti deve convenirsi nell’affermazione che i soggetti della contrattazione collettiva hanno il potere ampiamente discrezionale non solo nel valutare la natura, la qualità, l’onerosità dei vari tipi di prestazioni nel delineare i livelli di classificazione del personale e nello stabilire i vari tipi di compensi, ma anche nel regolare le varie forme di status normativo ed economico dei lavoratori, eventualmente tenendo presenti le pregresse vicende dei vari rapporti, anche con norme sostanzialmente transitorie (cfr. al riguardo, ampiamente la già citata sentenza n. 22437/2011, e riguardo alla istituzione di ruoli ad esaurimento al fine salvaguardare diritti quesiti di natura economica, anche Cass. 9313/2011).

8. Alla luce dei principi esposti, appare chiaro che vi è stato un esercizio della discrezionalità che loro compete da parte degli agenti contrattuali nell’affrontare il problema della misura dell’indennità di amministrazione nell’ambito dei nuovi Ministeri, rispetto alla quale non sono ravvisabili profili di illegittimità, in particolare con riferimento alle posizioni dei lavoratori in considerazione nella presente causa. Infatti, se potrebbe convenirsi che, ai fini di una più ordinata e razionale disciplina dei rapporti di lavoro, sarebbe stata opportuna la individuazione di una misura dell’indennità di amministrazione specifica per i nuovi ministeri (anche allo scopo di offrire un parametro utilizzabile con riferimento agli eventuali lavoratori di nuova assunzione o fruenti di mobilità a titolo individuale), deve anche rilevarsi che le parti non avrebbero dovuto necessariamente fare riferimento alla misura più favorevole di quelle in godimento dai vari gruppi di lavoratori confluiti in detti ministeri: per esempio avrebbe potuto essere prescelta la misura meno favorevole, salva l’eventuale introduzione di misure di tutela delle condizioni più favorevoli in atto con trattamenti ad personam. Pertanto la scelta di rimandare la definitiva soluzione del problema può essere stata consigliata anche dall’aspirazione di aspettare momenti più favorevoli per portare tutti i lavoratori al livello più elevato, come poi effettivamente è avvenuto.

Rimane solo da rilevare che la previsione regolamentare sull’"avvio" della omogeneizzazione delle indennità di amministrazione lasciava alla contrattazione collettiva, del resto espressamente delegata a tal fine, ampia possibilità di apprezzamento circa i tempi e i modi di tale operazione. Tale direttiva non può quindi ritenersi violata dalla susseguente contrattazione, che con il contratto collettivo per il quadriennio 2002-2005 non ha effettuato alcuna scelta in senso contrario alla omogeneizzazione e invece ha compiuto un passo, sia pur minimo, in tale direzione, visto che la concessione dello stesso aumento in cifra ai lavoratori ora in causa e ai lavoratori provenienti dal settore più favorito ha comportato una piccola riduzione della differenza in termini percentuali.

9. La sentenza impugnata ha errato quindi nel ritenere la ricorrenza nella specie di una disparità di trattamento integrante una illegittima discriminazione. Il motivo di ricorso risulta quindi fondato e meritevole di accoglimento.

Le ragioni alla base di tale statuizione possono essere riassunte enunciando il seguente principio: "In relazione alla confluenza di dipendenti provenienti da varie amministrazioni nel Ministero, di nuova istituzione (L. n. 537 del 1993, ex art. 1), dei trasporti e della navigazione e successivamente nel Ministero, analogamente di nuova istituzione (D.Lgs. n. 300 del 1999, ex art. 41), delle infrastrutture e dei trasporti, non sono identificabili misure dell’indennità di amministrazione riferibili al personale in genere di detti Ministeri, e la perdurante previsione, da parte del CCNL del comparto ministeri 12 giugno 2003 per il quadriennio normativo 2002- 2005 e il biennio economico 2002-2003, di misure differenziate di tale indennità a seconda delle amministrazioni di provenienza non può considerarsi discriminatoria, in particolare in relazione al principio di parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 che non esclude la possibilità della contrattazione collettiva di attribuire rilievo anche alle pregresse vicende dei rapporti di lavoro, nè illegittima per violazione del D.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, comma 5, che ha previsto l’avvio, da parte della contrattazione collettiva, dell’omogeneizzazione delle indennità di amministrazione corrisposte al personale confluito nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dai Ministeri soppressi (avendo tale contratto nazionale accordato lo stesso aumento in cifra per i lavoratori provenienti dalle varie amministrazione e avendo quindi ridotto, sia pure in misura modesta, le differenze in percentuale, essendo stata poi realizzata la parificazione al livello più vantaggioso dal CCNL 14 settembre 2007 per il quadriennio normativo 2006-2009 e il biennio economico 2006-2007)". 10. Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2 degli artt. 1418 e 1419 c.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, comma 5, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.

In relazione all’ipotesi di ritenuta nullità dell’art. 22 del CCNL per gli anni 2001-2005 per violazione del principio di parità di trattamento, si censura la pronuncia nella parte in cui ha ritenuto che ne consegua il riconoscimento del diritto dei lavoratori interessati alle differenze retributive correlate all’allineamento verso l’altro della retribuzione di tutti i dipendenti e non invece la perdita di efficacia della norma contrattuale (anche) nei confronti dei lavoratori "discriminati" in bonam partem.

Questo motivo è evidentemente assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.

11. L’accoglimento del secondo motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il rigetto delle domande già accolte in sede di merito.

La particolarità delle problematiche coinvolte dal giudizio giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e, decidendo la causa nel merito, rigetta le domande.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *