Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-07-2011) 14-10-2011, n. 37344 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 30 settembre 2010 la Corte d’Appello di Torino, in ciò confermando la decisione assunta dal giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Cuneo in esito al giudizio abbreviato, ha riconosciuto C.A.F. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della società Casafruit s.r.l., della quale era stato amministratore unico; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge (peraltro ridimensionata con l’esclusione della continuazione) e al risarcimento dei danni in favore del fallimento, costituitosi parte civile.

Secondo il giudice di merito l’imputato aveva prelevato somme dal conto corrente della società mediante emissione di assegni bancari, parte a nome proprio (per L. 331.100.000), parte a nome del proprio padre C.A.G. (per L. 72.185.000), parte a nome di E.P.G. (per L. 204.000.000): somme il cui utilizzo era rimasto ingiustificato, non essendosi ritenuto attendibile l’assunto dell’impiego nel pagamento di creditori, poi non insinuatisi nel fallimento.

Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo articolato in più censure.

Con esso si richiama, innanzi tutto, alla relazione del proprio consulente tecnico secondo cui le somme prelevate corrispondevano ad operazioni economiche aventi una contropartita in versamenti di somme sul conto corrente, la cui unica spiegazione plausibile era, per l’appunto, il pagamento di debiti della società. Insiste nel riferirsi al peculiare regime delle imprese agricole e, in particolare, al D.M. 15 novembre 1975, che consente di emettere la fattura di vendita anche in un momento successivo alla fornitura:

donde l’impossibilità di ricostruire i collegamenti tra fornitura e saldo e la conseguente giustificazione dei pagamenti eseguiti a favore di C.A.G.. Lamenta infine, quanto agli assegni a nome di E., non essersi data alcuna valutazione alla linea difensiva che prospettava il cambio degli assegni come strumento per ottenere liquidità.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Secondo un principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente: con la conseguenza per cui può ravvisarsi vizio di motivazione solo se queste ultime siano tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallacità delle conclusioni peritali" (così Cass. 17 febbraio 2009 n. 25183; v. anche Cass. 12 luglio 2004 n. 34379;

Cass. 11 maggio 1998 n. 6528; Cass. 17 febbraio 1992 n. 767). Non può dunque essere fondatamente criticata dal ricorrente la scelta con la quale il giudice di merito si è attenuto alle risultanze della ricostruzione contabile effettuata dal perito d’ufficio, piuttosto che di quella offerta dal consulente di parte.

Orbene, i dati contabili raccolti ed elaborati del perito hanno dimostrato l’eccedenza delle somme prelevate dal conto corrente rispetto ai crediti elencati nell’elenco prodotto dall’imputato (sulla cui veridicità, del resto, la Corte di merito ha sollevato ampie riserve, stante la sua formazione di parte e viste le contrastanti notizie raccolte dal curatore), nella misura di L. 607.285.000: su ciò la motivazione della sentenza ha fondato il giudizio di inattendibilità della tesi difensiva che si proponeva di giustificare i prelievi con la finalità di pagare in contanti i creditori della società; non senza rimarcare la scarsa plausibilità dell’ipotesi che il C.A., anzichè provvedere ai pagamenti a mezzo di assegni, si fosse inspiegabilmente indotto a emettere titoli a favore di terzi per monetizzarli e consegnare poi i contanti ai creditori.

Su altro versante la Corte territoriale non ha mancato di prendere in considerazione – peraltro disattendendolo – l’assunto della difesa, secondo cui i prelievi effettuati troverebbero una contropartita nei versamenti effettuati nello stesso arco di tempo, pur nella rilevata mancanza di una coincidenza cronologica effettiva: il che dovrebbe giustificarsi, nell’ottica del gravame, in base al particolare regime fiscale vigente per le imprese agricole, che consente di emettere le fatture in un momento successivo all’esecuzione delle forniture. A confutazione corre l’obbligo di osservare che le discrasie rilevate dal giudice di merito non riguardano soltanto la collocazione temporale delle singole fatture, ma anche l’aspetto quantitativo complessivo, essendo emerso dalla perizia che il totale dei versamenti è stato di L. 545.198.000, mentre l’ammontare complessivo delle ritenute distrazioni è stato di L. 607.285.000.

Non risponde a verità, infine, l’addebito mosso alla Corte d’Appello di aver trascurato di prendere atto della prossimità temporale fra l’accredito della somma di L. 42.000.000, versata alla Casafruit s.r.l. da E.P.G., e la rimessa effettuata a favore di quest’ultimo pochi giorni prima: il che, secondo il ricorrente, dovrebbe dimostrare la necessità, per la società poi fallita, di ricorrere a terzi per ottenere disponibilità liquide, più non godendo di fiducia presso il sistema bancario. In effetti la sentenza impugnata non ha omesso di prendere in considerazione la circostanza di fatto sottoposta alla sua attenzione; ma ne ha tratto una conclusione di segno contrario, rispetto a quella auspicata dall’imputato, col rimarcare che in quel solo caso si era potuta apprezzare la correlazione fra il versamento e il prelievo, per cui restava valorizzata la totale carenza, in ogni altro caso, di elementi a supporto del relativo assunto: così argomentando il proprio convincimento in termini compatibili con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

Conclusivamente, la sentenza impugnata si regge su una motivazione immune da vizi logici e giuridici, per cui resiste a tutte le critiche mossele.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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