Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-03-2012, n. 4956 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La sentenza della Commissione tributaria regionale di Bologna del 21 settembre 2009 n. 64/18/09 ha confermato l’accoglimento del ricorso proposto dal Fallimento Ibis Italia s.r.l. avverso il diniego opposto nel 2004 dall’amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso proposta dal medesimo fallimento nel 1995 e relativa ad eccedenze IVA del 1986.

Il diniego del 2004 era stato motivato con l’inottemperanza del fallimento istante all’invito formulato dall’ufficio a produrre determinata documentazione, ed in particolare "tutte le fatture, la dichiarazione e i registri IVA dell’anno 1986 e relazione sulle rimanenze". Il fallimento aveva opposto a tale richiesta di esibizione che la documentazione richiesta non era più nella sua disponibilità e che comunque la relativa richiesta di esibizione era strumentale all’esercizio di un potere di rettifica della dichiarazione del 1995 dal quale invece l’ufficio era ormai decaduto essendo trascorso oltre un quinquennio dalla dichiarazione stessa.

L’ufficio aveva dedotto di non aver contestato la sussistenza del credito ma solo la sussistenza delle condizioni richieste per il rimborso. La tesi del contribuente è stata condivisa dalle Commissioni tributarie di primo e secondo grado le quali hanno rilevato che il provvedimento di diniego non menzionava il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, e che i documenti dei quali era stata chiesta l’esibizione potevano rilevare solo ai fini dell’accertamento della sussistenza del credito esposto nella dichiarazione. Ne conseguiva l’applicabilità del termine di decadenza di cui all’art. 57 del medesimo D.P.R. Da tale norma anzi si ricavava – secondo l’Agenzia – l’impossibilità di distinguere, ai fini decadenziali, tra esercizio del potere di verifica dell’esistenza del credito ed esercizio del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il rimborso del credito stesso.

Contro la pronunzia della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate che ha denunziato la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 57. Il fallimento ha depositato controricorso e ha proposto ricorso incidentale avverso la compensazione delle spese disposta dal giudice di appello.

2. E’ fondata la censura all’affermazione della Commissione tributaria regionale secondo cui il termine decadenziale previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, rileva non soltanto per l’esercizio del potere di verificare la sussistenza del credito affermato dal contribuente nella dichiarazione a causa dell’eccedenza dell’IVA pagata rispetto a quella dovuta ma anche per l’esercizio del potere di verificare la sussistenza dei presupposti per il rimborso stabiliti dal D.P.R. n. 633, art. 30. Al riguardo è sufficiente richiamare Cass. 194 del 2004, 29398 del 2008 e 8642 del 2009, secondo cui "in tema di IVA, il provvedimento con cui l’amministrazione finanziaria neghi il diritto del contribuente al rimborso dell’eccedenza detraibile, regolato dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, per insussistenza dei fatti costitutivi del diritto al rimborso indicati nella norma citata, senza contestare l’esistenza stessa di un’eccedenza d’imposta dovuta, non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento (che presuppone necessariamente una pretesa tributaria nuova). Ne consegue che il detto provvedimento di diniego non è soggetto al termine decadenziale stabilito del cit. D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per gli avvisi di accertamento, potendo sempre essere emanato finchè il contribuente abbia il diritto di ottenere il rimborso dell’eccedenza". 3. Ciò peraltro determina la necessita di correggere parzialmente la motivazione della sentenza impugnata, ma la stessa è sorretta anche da un’altra motivazione di per sè sufficiente a legittimare la pronuncia e non validamente censurata dall’amministrazione finanziaria. La Commissione tributaria regionale ha affermato, infatti, che il provvedimento di diniego era da intendersi come diretto a contestare proprio l’esistenza del diritto di credito per eccedenza: tale interpretazione del provvedimento è stata argomentata dalla Commissione tributaria regionale sulla base della considerazione che l’amministrazione finanziaria non aveva neppure menzionato il D.P.R. n. 633 del 1973, art. 30, e che la documentazione di cui aveva richiesto l’esibizione non poteva servire ad altro che alla verifica dell’eccedenza e quindi del relativo credito e comunque il provvedimento non risulta specificasse la funzione della documentazione richiesta.

4. Tale interpretazione del provvedimento rientra nel compito del giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell’inadeguatezza della motivazione al riguardo fornita. Ma l’Agenzia delle entrate non ha denunziato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e non ha neppure argomentato perchè il provvedimento non potesse legittimamente essere interpretato nel senso ad esso motivatamente attribuito dai giudici di merito.

5. 11 ricorso incidentale lamenta la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio disposta dalla Commissione tributaria provinciale e da quella regionale per giusti motivi.

Per quanto riguarda le spese del primo grado non risulta dal ricorso – secondo il canone dell’autosufficienza che il fallimento abbia proposto appello incidentale al fine di dolersi della compensazione disposta dal 1^ primo giudice. Dalla sentenza impugnata – che può essere utilizzata per superare il difetto del primo atto, in ragione del principio generale dell’efficacia sanante del raggiungimento dello scopo) – risulta che in appello il fallimento aveva chiesto nella memoria di controdeduzioni la condanna dell’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di entrambi i gradi.

La sentenza impugnata ha invece compensato le spese di entrambi i gradi per giusti motivi senza specificare quali essi fossero.

Per quanto riguarda le spese, il ricorso incidentale è quindi fondato in quanto le ragioni della compensazione non sono state specificate come invece richiede l’art. 92 c.p.c., nel testo introdotto, per i procedimenti iniziati, come nella specie, dopo il primo marzo 2006, dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater, comma 2, convertito nella L. n. 51 del 2006. 6. Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate deve essere respinto;

deve invece essere accolto il ricorso incidentale e la sentenza impugnata, per la parte in cui ha disposto la compensazione delle spese per i due gradi del giudizio di merito, deve essere cassata per mancanza di motivazione, con rinvio della causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Bologna per una nuova decisione sul punto ed eventualmente per la liquidazione delle spese stesse. Le spese del giudizio di legittimità vanno comunque poste a carico dell’Agenzia delle entrate e vanno liquidate in Euro 7.125 per onorari.

P.Q.M.

– rigetta il ricorso principale;

– condanna l’Agenzia delle entrate alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.125;

– accoglie il ricorso incidentale e di conseguenza cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha compensato le spese dei due gradi di merito;

– rinvia la causa – per la decisione sul punto – ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *