Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-07-2011) 14-10-2011, n. 37339 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 9-12-2009 la Corte di Appello di Roma pronunziava la riforma della sentenza emessa dal Tribunale del luogo in data 5-10-2006 nei confronti di B.M., ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 624 bis c.p., art. 61 c.p., n. 11 e del reato di cui agli artt. 612 e 660 c.p., fatti commessi ai danni di C.M.C., nel periodo tra (OMISSIS).

La Corte dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui al capo B) e – previa riqualificazione del capo A- come richiesto dalla difesa-ritenendo applicabile l’ipotesi di cui all’art. 624 c.p., art. 61 c.p., n. 11, rideterminava la pena in mesi dieci di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il difensore, deducendo: 1- la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, e la violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, in riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. e). Rilevava a riguardo che, nel caso di specie, la prova era di natura indiziaria, dato che nè la persona offesa, nè altri testi avevano assistito all’esecuzione della condotta contestata, mentre non era stato effettuato alcun sequestro. In tal senso pertanto si riteneva illogico il percorso seguito dalla Corte, che aveva considerato che le condotte delittuose fossero ascrivibili logicamente all’imputato, perchè egli era frequentatore della abitazione. La difesa evidenziava sul punto che, essendo stati smarriti alcuni gioielli gli indiziati non potevano che essere coloro che frequentavano tale abitazione, ma non era dato comprendere per quale ragione si fosse potuta attribuire la condotta illecita allo stesso imputato piuttosto che ad altri soggetti che frequentavano la stessa casa. Inoltre censurava la motivazione avendo la Corte attribuito rilevanza ad un episodio, del rinvenimento di un anello, che era stato narrato da una teste ( P.) non essendo tale fatto compreso nella contestazione.

D’altra parte evidenziava che era stata sminuita la circostanza che tra l’imputato e la persona offesa vi era stata una relazione, e che dunque anche la presenza nella casa del prevenuto che si vi aggirava e la restituzione di un anello erano fatti che avrebbero potuto avere una giustificazione.

In base a tali rilievi il ricorrente riteneva carenti gli elementi di prova, che apparivano generici e inadeguati a sorreggere il giudizio di penale responsabilità del B., ed erano incompatibili con le premesse rilevate dalla Corte.

2 – Con il secondo motivo la difesa evidenziava la violazione dell’art. 597 c.p.p. e dell’art. 81 c.p. osservando che non era consentito al giudice di appello compensare – in accoglimento della impugnazione dell’imputato – la riduzione di pena con una delle componenti del trattamento sanzionatorio stabilito dal Giudice di primo grado.

In tal senso rilevava che, nella specie, il primo giudice aveva stabilito per la continuazione tra reati ex artt. 612 e 660 c.p. l’aumento di pena di giorni quindici di reclusione, ed il Giudice di appello, rilevando l’estinzione del reato ex art. 660 c.p. per prescrizione, aveva tuttavia aumentato per la continuazione la pena base in misura superiore ai giorni quindici, così realizzando la violazione del divieto di reformatio in pejus, e non valutando la incidenza della estinzione del reato sulla entità della pena.

Per tali motivi concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Il ricorso è privo di fondamento.

Il primo motivo si basa su censure articolate in fatto, e indirizzate a prospettare una interpretazione alternativa della vicenda in contestazione, onde trattasi di censure da ritenere n questa Sede precluse, e pertanto inammissibili, non risultando indicato dalla difesa qualche elemento favorevole all’imputato che il giudice di merito abbia trascurato di valutare, e risultando viceversa del tutto adeguata e logica la motivazione della sentenza impugnataci punti essenziali ai fini di verificare la configurabilità del reato e l’ascrivibilità della condotta allo stesso imputato. Va considerata, inoltre, priva di fondamento la censura del ricorrente concernente la violazione del divieto di reformatio in pejus, atteso che la Corte territoriale ha nuovamente determinato la pena, dopo avere dichiarato l’estinzione di uno dei reati contestati, avendo riqualificato l’imputazione come richiesto dalla difesa, ritenendo applicabile la diversa fattispecie dell’art. 624 c.p., art. 61 c.p., n. 11. Essendo in tal senso riformata la sentenza di primo grado, il giudice di appello non era vincolato alla determinazione pregressa della pena, e risulta poi aver determinato la pena stessa operando in concreto una congrua riduzione.

Per tali motivi la Corte deve rigettare il ricorso, condannando il ricorrente – come per legge – al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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