T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 15-11-2011, n. 2749

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 21 novembre 2007 e depositato il 27 novembre successivo, la ricorrente ha impugnato la comunicazione 2 agosto 2007 con cui, nell’esaminare l’istanza di parere ex art. 186 del D. Lgs. n. 152 del 2006 formulata dalla stessa ricorrente in ordine alla possibilità di riutilizzo di terre e rocce da scavo provenienti da cantiere edile attivo in Roncadelle, l’A.R.P.A. – Dipartimento di Brescia ha opposto che la richiesta potesse riguardare esclusivamente le terre e rocce da scavo ancora presenti sul sito e in ragione di ciò avrebbe disposto l’esclusione da siffatto procedimento amministrativo di quanto già scavato e trasportato altrove, cui sarebbe riservato un autonomo procedimento amministrativo/giudiziale.

Avverso il predetto atto vengono dedotte le censure di violazione e falsa applicazione di norme di legge, ossia dell’art. 186, comma 3, del D. Lgs. n. 152 del 2006 e degli artt. 3 e 10bis della legge n. 241 del 1990, e di disposizioni applicative interne, ossia la Circolare A.R.P.A. Lombardia 7 giugno 2007, n. 79095, di eccesso di potere per falsità, illogicità e difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà.

L’asserita impossibilità di verificare la natura dei materiali non più esistenti nel cantiere sarebbe del tutto illogica, atteso l’esplicito dettato normativo, che consentirebbe un accertamento anche nei siti di deposito. Del resto non sarebbe una vera e propria motivazione, ma soltanto una manifestazione di volontà, che comunque avrebbe dovuto essere preceduta dal preavviso di rigetto ex art. 10bis della legge n. 241 del 1990. Inoltre il contenuto della Circolare A.R.P.A. sarebbe chiaro nell’ammettere l’accumulo dei materiali fuori dal cantiere a condizione che ne siano noti il luogo di deposito e il fine dell’utilizzo; sarebbe importante in tal caso l’immediata disponibilità del materiale per eventuali analisi e che lo stesso non sia riutilizzato. Infine, vi sarebbe altresì una evidente violazione dell’art. 186, comma 5, del D. Lgs. n. 152 del 2006.

Si è costituita in giudizio la Provincia di Brescia, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Si è altresì costituita, ad adiuvandum, F.B. s.r.l., che ha invece chiesto l’accoglimento del ricorso.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, le parti hanno depositato delle memorie a sostegno delle rispettive pretese; in particolare, la Provincia di Brescia ha segnalato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso in considerazione del fatto che il materiale che l’A.R.P.A. dovrebbe sottoporre ad analisi sarebbe stato dissequestrato e quindi non vi sarebbe più alcuna garanzia sulla sua origine, con inutilità di una verifica della natura dello stesso. La ricorrente si è opposta a tale richiesta, evidenziando come l’analisi dovrebbe essere effettuata sui campioni prelevati prima dell’inizio degli scavi, da cui potrebbe emergere la non qualificabilità come rifiuto di tale materiale.

Alla pubblica udienza del 21 giugno 2011, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. In via preliminare va scrutinata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso formulata dalla Provincia di Brescia, sulla scorta dell’avvenuto dissequestro dell’area dove sarebbe depositato il materiale che l’A.R.P.A. dovrebbe sottoporre ad analisi, cui conseguirebbe il venir meno di ogni garanzia sulla sua origine e pertanto l’inutilità di una verifica dello stesso.

1.1. L’eccezione è da respingere.

Come evidenziato dalla parte ricorrente, pur essendo avvenuto il dissequestro dell’area su cui è stoccato il materiale, le analisi dello stesso, che l’A.R.P.A. si è rifiutata di effettuare, potrebbero essere svolte sul campione prelevato prima dell’inizio degli scavi. In tal modo potrebbe essere accertata la non assimilabilità di tale materiale ad un rifiuto e verrebbero meno tutti i procedimenti sanzionatori attivati sia a carico della ricorrente che delle imprese appaltatrici dei lavori di scavo.

Ne deriva che sussiste certamente un interesse attuale della ricorrente alla definizione del presente ricorso, sia con riferimento diretto alla sua posizione che in relazione a possibili richieste di risarcimento avanzate dalle imprese appaltatrici, che dovessero essere sanzionate per l’attività svolta per conto della stessa ricorrente.

2. Passando al merito del ricorso, lo stesso è fondato.

2.1. Con l’unica articolata censura la ricorrente sostiene l’illegittimità dell’atto impugnato in quanto l’asserita impossibilità di verificare la natura dei materiali non più esistenti nel cantiere sarebbe del tutto illogica, atteso l’esplicito dettato normativo che consentirebbe un accertamento anche nei siti di deposito. Non si tratterebbe di una vera e propria motivazione, ma soltanto una manifestazione di volontà, e comunque sarebbe stato necessario il preavviso di rigetto ex art. 10bis della legge n. 241 del 1990. Inoltre l’art. 186, comma 5, del D. Lgs. n. 152 del 2006 e la Circolare A.R.P.A. sarebbero chiari nell’ammettere l’accumulo dei materiali fuori dal cantiere a condizione che ne siano noti il luogo di deposito e il fine dell’utilizzo, da cui deriverebbe l’immediata disponibilità del predetto materiale per eventuali analisi.

2.2. La censura è fondata.

Nella lettera di risposta dell’A.R.P.A., impugnata in questa sede, alla richiesta della ricorrente di ottenere il parere ex art. 186 del D. Lgs. n. 152 del 2006 si evidenzia che tale parere può riguardare soltanto le terre e le rocce da scavo presenti nel sito di origine, mentre il materiale scavato nello stesso sito, ma già trasportato altrove, richiederebbe l’attivazione di un altro procedimento.

Tale determinazione – certamente lesiva della posizione giuridica della ricorrente che in tal modo non conseguirebbe l’attestazione in ordine alla natura del materiale già asportato dal sito – è certamente in contrasto con la normativa vigente ratione temporis e applicabile alla fattispecie. Infatti, l’art. 186, comma 3, del D. Lgs. n. 152 del 2006 stabiliva espressamente che "il rispetto dei limiti di cui al comma 1 (ossia che le terre e rocce da scavo non costituiscono rifiuti) può essere verificato, in alternativa agli accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui siti di deposito, in caso di impossibilità di immediato utilizzo".

La risposta dell’A.R.P.A. pertanto si appalesa in contrasto con il dettato normativo, non rinvenendosi alcuna giustificazione a sostegno del rifiuto di procedere all’analisi del materiale depositato presso il cantiere di F.B. e appositamente segnalato nella richiesta di parere formulato dalla ricorrente (all. 14 al ricorso).

Non coglie nel segno, in tale senso, la evidenziazione della difesa provinciale in ordine alla necessità di formulare la richiesta prima della movimentazione del materiale, atteso che se così fosse non avrebbe senso prevedere, come ammette la normativa in precedenza richiamata, degli accertamenti anche in siti diversi da quelli di produzione del materiale. Neppure assume rilievo la circostanza che il materiale fosse già stato destinato ad un diverso utilizzo, atteso che tale evenienza non risultava di imminente realizzazione e quindi avrebbe consentito all’A.R.P.A. di effettuare le analisi anche nel sito di deposito del materiale. A tale riguardo, tuttavia, assume carattere determinante la circostanza che nella comunicazione impugnata tale elemento non viene evidenziato e quindi si pone alla stregua di una motivazione postuma, non ammessa; difatti, "la motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo individuando con ciò il fondamento della illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nella esigenza di delimitazione del controllo giudiziario" (Consiglio di Stato, V, 15 novembre 2010, n. 8040; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 17 ottobre 2011, n. 2450).

2.3. Anche la parte della censura relativa alla violazione dell’art. 10bis della legge n. 241 del 1990 è fondata, in quanto – non vertendosi in materia di attività vincolata in considerazione della discrezionalità riconosciuta all’A.R.P.A. nel valutare l’esistenza dei presupposti e la loro rilevanza al fine di stabilire se intervenire o meno – l’applicazione di tale norma va estesa non solo ai casi di rigetto totale dell’istanza del privato, ma anche ai casi di rigetto parziale, allorquando esso si concretizzi in una apprezzabile lesione delle aspettative e/o della sfera giuridica dell’interessato, come nella specie è avvenuto (T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 23 marzo 2010, n. 696).

3. La fondatezza di tali profili di doglianza determina, previo assorbimento dei restanti, l’accoglimento del ricorso con il conseguente annullamento dell’atto impugnato.

4. Le peculiarità anche fattuali della vicenda rendono opportuna la compensazione delle spese di giudizio tra tutte la parti di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’atto con lo stesso ricorso impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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