Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-06-2011) 14-10-2011, n. 37085 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – O.E.E., per il tramite del suo difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello di Milano indicato in epigrafe, che ha confermato quello emesso dal Tribunale di Milano in data 10 giugno 2009, che aveva disposto l’applicazione nei suoi confronti, congiuntamente, di una misura di prevenzione personale (la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, per la durata di anni due e mesi sei) e patrimoniale (confisca di beni mobili ed immobili).

1.2 – La difesa dell’ O., a sostegno della richiesta di annullamento del predetto decreto, ne deduce, anche attraverso una memoria depositata l’8 giugno 2011, la totale illegittimità:

– per erronea applicazione della L. n. 1423 del 1956, art. 1, n. 2, in relazione alla ritenuta "riconducibilità" del ricorrente ad una delle categorie di soggetti ivi indicati;

– per manifesta illogicità della motivazione, relativamente alla ritenuta "pericolosità qualificata" del ricorrente;

– per difetto di motivazione, con riferimento alla durata eccessiva della misura personale;

– per inapplicabilità della misura patrimoniale alla categoria di persone di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2;

– per erronea vantazione dei presupposti per disporre la confisca dei beni oggetto di sequestro cautelativo.

1.2.1 – Nel ricorso si sostiene, in particolare, con specifico riferimento alla misura personale, che i giudici di appello avrebbero recepito acriticamente "il giudizio di pericolosità sociale" dell’ O. formulato dal tribunale, omettendo di valutare adeguatamente: che al momento dell’applicazione della misura il proposto risultava a tutti gli effetti incensurato; che lo stesso si era dedicato alle attività illecite a lui contestate – esercizio abusivo della professione medica; somministrazione di farmaci "guasti" o "imperfetti"; costituzione di un’associazione per delinquere – soltanto per un periodo di tempo limitato (2002-2008);

che le suddette attività, per altro, si erano esaurite "senza più alcun seguito", con la conseguenza che tali attività, ancorchè reiterate, non potevano qualificarsi come "comportamenti abituali", sicchè del tutto incongrua doveva ritenersi l’affermazione del primo giudice secondo cui l’ O. – proveniente da una famiglia facoltosa, proprietaria di un cospicuo patrimonio immobiliare, e la cui condotta di vita dopo la carcerazione preventiva sofferta, segnalava una ben precisa "volontà di ravvedimento" – poteva fondatamente ricondursi nella categoria di persone che hanno tratto dal crimine la loro principale fonte di sostentamento.

1.2.2 – Quanto poi alla misura patrimoniale, in ricorso si contesta, in primo luogo, l’interpretazione della L. n. 152 del 1975, art. 19 secondo cui sarebbe possibile applicare la normativa antimafia di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575 anche alla categoria di persone di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2; ritenendo il ricorrente tale interpretazione "non condivisibile" in quanto l’intervento abrogativo della L. n. 55 del 1990, art. 14, nella volontà del legislatore quale desumibile dai lavori preparatori, era diretto a circoscrivere l’efficacia delle misure di prevenzione patrimoniali solo a categorie di persone "specificamente indicate e connotate da alta pericolosità sociale", in quanto colpevoli dei reati elencati nell’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, escludendo quelle di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, senza contare, altresì, che l’abrogazione della L. n. 55 del 1990, art. 14, che pure secondo un opposto indirizzo interpretativo, farebbe "rivivere" la L. n. 152 del 1975, art. 19, è intervenuta successivamente alle condotte illecite poste in essere dal proposto, con conseguente ulteriore profilo di inapplicabilità della misura patrimoniale. La motivazione del provvedimento impugnato, inoltre, risulta insufficiente ed illogica, non potendo la misura applicata "colpire indiscriminatamente" tutti i beni del proposto, ma solo quelli che "che si ha motivo di ritenere frutto di attività illecita o che ne costituiscano il reimpiego".

Tale "inadeguatezza motivazionale" risulta evidente, secondo il ricorrente, soprattutto con riferimento alla confisca dell’immobile sito in (OMISSIS), ove si consideri che le somme versate per l’acquisto di detto bene risultano versate a partire dall’anno 2000, laddove l’attività illecita risulta effettivamente iniziata in epoca di gran lunga successiva (anno 2002); senza contare, per altro, che l’ O. aveva provato documentalmente la circostanza che, negli ultimi anni precedenti alla costituzione dell’Istituto Mesoterapico, organizzazione funzionale allo svolgimento dell’attività illecita, "erano entrate nel suo patrimonio personale rilevanti somme di denaro quale corrispettivo per la vendita di diversi immobili che il ricorrente aveva ricevuto in donazione dalla sua famiglia di origine".

Motivi della decisione

1. L’Impugnazione proposta nell’interesse di O.E.E. è inammissibile, perchè basata su motivi manifestamente infondati ovvero non consentiti dalla legge, posto che la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, consente alla parte interessata di ricorrere per Cassazione avverso il decreto che ha disposto l’applicazione di una misura di prevenzione, solo per violazione di legge.

1.1 – Al riguardo non è superfluo ribadire, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, che il vizio di motivazione può assurgere a violazione di legge soltanto quando si risolva nell’assoluta mancanza, sotto il profilo letterale o concettuale, di qualsiasl argomentazione a sostegno della pronunzia ( art. 111 Cost. e art. 125 cod. proc. pen.) ovvero consista nell’esposizione di ragioni che nulla hanno a che vedere con l’oggetto dell’indagine, in guisa da rendere assolutamente incomprensibile l’iter logico seguito dal giudice. Tali casi sono però estranei alla fattispecie in esame, tenuto conto che la Corte d’Appello, ha fornito una più che adeguata Illustrazione delle ragioni del proprio convincimento circa la legittimità del decreto riguardante il prevenuto, senza incorrere in errori di diritto, nè in grossolane incongruenze, evidenziando, quanto alla misura personale, che la sussistenza di una pericolosità sociale del proposto emergeva sia dalla precedente condanna subita per abuso d’ufficio ed esercizio abusivo della professione di medicochirurgo, per fatti commessi a Torino e Milano nei mesi di novembre-dicembre 2000, sia dai gravi illeciti – che includevano anche l’importazione e somministrazione di farmaci "proibiti" nell’ambito di trattamenti estetici – emersi nell’ambito del procedimento promosso nei confronti dell’ O. che portavano al suo arresto nel giugno 2008, successivamente definito con sentenza dì condanna emessa il 25 marzo 2010 ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., alcune dei quali (artt. 110, 81 cpv., 443 cod. pen.) contestati come commessi in Milano dal 1996 al 22 aprile 2008. In tale ambito il giudizio di pericolosità espresso nel decreto impugnato, appare non censurabile in sede di legittimità, in quanto basato sull’esame della personalità del soggetto, sulla reiterata commissione di reati di particolare gravita, posti in essere anche in epoca recente, "in maniera disinvolta e spregiudicata, senza minimamente preoccuparsi della salute altrui", coinvolgendo nel suo disegno criminoso "terze persone allettate da congrui compensi"; dati questi a fronte dei quali, l’attuale svolgimento di attività lavorativa e la chiusura dell’Istituto Mesoterapico, sono state ritenute, con congrua e logica motivazione, circostanze insufficienti per revocare l’obbligo di soggiorno, anche in considerazione delle "dichiarate e vaste conoscenze" dell’ O., indicato quale titolare di una fitta rete di contatti "che gli consentono fonti di approvvigionamento di medicinali" e la già accertata capacità dimostrata dal ricorrente a muoversi "agevolmente e in piena autonomia in varie città di Italia, esercitando la sua professione a Roma come a Catania, con l’appoggio logistico assicuratogli da alberghi ed ambulatori compiacenti.

1.2. – Manifestamente infondate devono ritenersi anche tutte le argomentazioni sviluppate negli scritti difensivi, volte a sostenere l’illegittimità del decreto, relativamente all’applicazione nei confronti dell’ O. delle misure patrimoniali. Le stesse, infatti, nelle loro poliformi articolazioni, si risolvono in una sostanziale riproposizione in questa sede, di questione già decise dalla Corte territoriale con adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici.

1.2.1 – Ed invero, quanto alla dedotta carenza motivazionale del provvedimento impugnato relativamente alla confutazione delle censure mosse al decreto originario con riferimento alla lecita provenienza delle somme impiegate per l’acquisto dell’immobile sito in (OMISSIS), trattasi di deduzioni inammissibili, avendo la Corte territoriale ampiamente illustrato, come la motivazione sul punto svolta dal Tribunale fosse ampia ed articolata, avendo evidenziato, in base a precise acquisizioni processuali (istruttoria del mutuo;

dichiarazioni dei redditi), che sussisteva un’evidente sproporzione tra il valore del bene ed i redditi leciti dell’ O., e che lo stesso aveva attinto in misura modesta, ed in epoca distante da quella in cui aveva trattato l’acquisto dell’immobile, dal patrimonio della famiglia.

1.2.2 – Quanto poi alla dedotta inapplicabilità della confisca nei confronti dei soggetti indicati dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1, è sufficiente qui ricordare – come già evidenziato anche dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua ampia e completa requisitoria scritta – che questa Corte, nel suo più alto consesso (Sez. U, Sentenza n. 13426 del 25/03/2010, dep. il 9/04/2010, Rv.

246272, imp. Cagnazzo) ha già avuto modo di chiarire come "il rinvio enunciato dalla L. n. 152 del 1975, art. 19, comma 1, (disposizioni a tutela dell’ordine pubblico) non ha carattere materiale o recettizio, ma è di ordine formale nel senso che, in difetto di una espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme successivamente interpolate nell’atto-fonte, In sostituzione, modificazione o Integrazione di quelle originarie; ne consegue che, accanto alle misure di prevenzione personali, pure quelle patrimoniali del sequestro e della confisca possono essere applicate nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi perchè abitualmente dediti a traffici delittuosi, o perchè vivono abitualmente – anche solo in parte – con i proventi di attività delittuose, a prescindere dalla tipologia dei reati in riferimento". 1.2.3 – Nè hanno pregio, infine, le argomentazioni difensive che sollecitano una rivalutazione del tema nell’ottica dei principi in tema di irretroattività della legge penale. Sul punto, come già posto in evidenza, correttamente, dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua accurata requisitoria scritta, è sufficiente richiamare il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui "il disposto dell’art. 200 c.p., comma 1, – secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione deve essere interpretato nel senso che, mentre non può applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato, è possibile la suddetta applicazione per un fatto di reato per il quale originariamente non era prevista la misura, atteso che il principio di irretroattività della legge penale riguarda le norme incriminatrici e non le misure di sicurezza, che per loro natura sono correlate alla situazione di pericolosità attuale del proposto" (in tal senso Sez. 1, Sentenza n. 13039 dell’11/03/2005, dep. Il 7/04/2005 Rv. 231598, imp. Santonocito, nonchè, più di recente, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 8404 del 15/01/2009, dep. il 25/02/2009, Rv. 242862, imp. Bellocco, in tema di confisca prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies).

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000) – al versamento alla cassa delle ammende di una somma congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *