Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-06-2011) 14-10-2011, n. 37019 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, che ha rigettato il riesame e confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari ricorre la difesa di K.A., chiedendo l’annullamento dell’ordinanza e deducendo l’insussistenza delle esigenze cautelari e l’erronea applicazione dell’art. 274 c.p.p.. Afferma il ricorrente che il K. conduce una vita regolare ed è occupato stabilmente in Italia; l’episodio di tentata rapina aggravata, delle connesse lesioni personali aggravate in danno della persona offesa e dell’impossessamento del cellulare di quest’ultimo, è un episodio di devianza unico nel vissuto del K., che lo ha visto suo malgrado protagonista, a causa dell’abuso di alcool del tutto eccezionale.

Il K. è, infatti, uno straniero venuto in Italia per lavorare, cosa che ha fatto costantemente tanto che è normoinserito nella realtà italiana e che non ha precedenti di sorta. L’episodio aggressivo è stato sicuramente causato dal predetto abuso di alcool ma è rimasto nell’ambito di un impossessamento compiuto senza complici, per un breve lasso di tempo, senza uso di armi e, pertanto, di modesta rilevanza e pericolosità. La decisione del Tribunale ha pertanto travalicato i fatti ed il ricorrente chiede di annullare o attenuare la misura in esame.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e non solo per gli evidenti profili di genericità, essendosi il ricorrente limitato ad affermare situazioni di fatto senza fornire alcuna prova.

Ritiene la Corte che nessuna censura può essere mossa all’ordinanza impugnata, avendo i giudici effettuato un congruo controllo delle condizioni di applicabilità della misura degli arresti domiciliari, che essi stessi reputano essere stata benevolmente concessa in ragione della incensuratezza dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari individuate sulla base degli elementi di cui disponevano.

L’art. 294 c.p.p., lett. c), d’altra parte, non impedisce di trarre convincimento del pericolo concreto di recidivanza, anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività. La valutazione negativa della personalità dell’indagato, può tranquillamente, poi, dedursi sulla base dei criteri oggettivi e specifici indicati dall’art. 133 c.p., tra i quali rientrano le modalità e la gravità del fatto-reato.

Inoltre il parametro della concretezza, di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), non si identifica con quello di "attualità" del pericolo, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi "concreti" (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che il soggetto inquisito possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere reati rientranti fra quelli contemplati dalla suddetta norma processuale (Cass., Sez. 1^, 20 gennaio 2004, n. 10347, rv.

227227; Cass., Sez. 3, 26 marzo 2004, n. 26833, rv. 229911).

E’ già stato chiarito da questa Corte Suprema che le esigenze connesse alla cosiddetta tutela della collettività devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti collegati sul piano dell’interesse protetto; trattandosi di valutazione prognostica di carattere presuntivo, il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati.

L’espressione "delitti della stessa specie", con la quale il legislatore delimita l’area dei sintomi utilizzabili ai fini di siffatto giudizio, a riguardo della probabilità di ricaduta nel reato, ha valore oggettivo e va riferita ai delitti che offendono lo stesso bene giuridico. Da tali elementi, di carattere oggettivo, il giudice deve giungere, con motivazione congrua ed adeguata, esente da vizi logici e giuridici, alla formulazione di una prognosi di pericolosità dell’indagato in funzione della salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta probabilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati nel suddetto art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) (Sentenza n. 4534 del 05/11/1992 Cc. (dep. 11/01/1993) Rv. 192 Sentenza n. 10347 del 20/01/2004 Cc. (dep. 04/03/2004) Rv. 227227 Sentenza n. 26833 del 26/03/2004 Cc. (dep. 15/06/2004) Rv. 229911 Sentenza n. 25214 del 03/06/2009 Cc. (dep. 17/06/2009) Rv. 244829).

2. Il provvedimento impugnato appare conforme ai principi in precedenza enunciati, avendo correttamente messo in luce, nella prospettiva di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), la gravità delle recenti condotte poste in essere dall’indagato, "con particolare riferimento alla violenza espressa con pervicacia, dal K. persona verosimilmente dedita all’alcool,che si è dimostrata incapace di controllare i suoi impulsi,infierendo sulla parte lesa, in presenza di testimoni oculari…" e, per il resto, facendo congruo eterifico riferimento al giudizio articolato espresso dal Giudice della misura.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi profili di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *