Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-03-2012, n. 4950 Rappresentanza, patrocinio, costituzione in giudizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 17.3.2005 il Tribunale Ordinario di Milano rigettava la opposizione proposta da Ma.Fra. di Rabbi Luigina & C. s.n.c. avverso la ingiunzione doganale con la quale veniva richiesto il pagamento della somma di L. 971.304.130 a titolo di accise sugli oli minerali in relazione alla commercializzazione del prodotto "Splendorsol Vapore", venduto come decerante per auto ma che i Giudici di primo grado avevano ritenuto soggetto ad accisa, ai sensi del TU n. 504 del 1995, art. 21, comma 1, lett. c) in quanto, dalle risultanze della espletata c.t.u., era stato accertato che la composizione chimico- fisica del prodotto – nella misura del 94% di petrolio lampante, 5% di acqua ragia, ed 1% di profumo – lo rendeva idoneo alla combustione od alla carburazione.

La Corte di appello di Milano con sentenza 13.6.2008 riteneva fondate le tesi della società appellante secondo cui il prodotto in questione, come peraltro emergeva anche dalle indagini tecniche svolte in primo grado, era da classificarsi, trattandosi di miscela, nella categoria merceologica degli "oli medi", riconducibili alle caratteristiche chimico-fisiche descritte nella "nota 1 d), premessa al cap. 27, della Tariffa doganale d’uso integrata", ed era, pertanto, soggetto ad accisa – secondo la disposizione del comma 2 del predetto art. 21 – soltanto ove fosse destinato all’uso, venduto o in concreto utilizzato come combustibile o carburante. In conseguenza la Corte territoriale annullava la ingiunzione doganale e dichiarava non dovuta l’accisa non essendo provata la vendita del prodotto per uso combustibile o carburante, nè la concreta destinazione del prodotto a tali scopi, ai sensi dell’art. 21, comma 2, TU accise.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Dogane e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che hanno affidato il ricorso a due motivi corredati di quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

Resiste con controricorso la società contribuente che ha eccepito la nullità del ricorso "per erronea sottoscrizione del difensore" ed alla udienza di discussione la nullità della dichiarazione di persistenza dell’interesse alla trattazione della causa proposta dal difensore delle parti ricorrenti.

Motivi della decisione

1. Le eccezioni pregiudiziali di nullità del ricorso per incertezza in ordine alla sottoscrizione dell’Avvocato dello Stato e di inefficacia della istanza di trattazione presentata L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 26 dall’Avvocato dello Stato anzichè dai titolari degli organi dotati di poteri rappresentativi della Amministrazione statale e dell’ente pubblico ricorrenti, sono entrambe infondate.

Rileva il Collegio che il R.D. n. 1611 del 1933, art. 1, comma 2, esclude la necessità del mandato per gli avvocati dello Stato esercenti le loro funzioni davanti a tutte le giurisdizioni e in qualunque sede. L’Avvocatura non ha inoltre, ai sensi della L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 12 l’onere di produzione del provvedimento di autorizzazione ad agire in giudizio del competente organo dell’ente, assumendo per legge la rappresentanza e difesa in giudizio.

Tale disciplina prevista per la rappresentanza obbligatoria delle Amministrazioni dello Stato e richiamata dal R.D. n. 1611 del 1933, art. 42 anche al patrocinio cosiddetto facoltativo, trova applicazione, in tema di contenzioso tributario (dopo la costituzione, disposta dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e divenuta operativa l’1 gennaio 2001 – il D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1, delle Agenzie fiscali, alle quali sono trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni già esercitate dai dipartimenti delle entrate) alle Agenzie fiscali le quali possono avvalersi, per la rappresentanza in giudizio, D.Lgs. n. 300 del 1999, ex art. 72 del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, secondo la disciplina di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 42. Ai sensi di quest’ultima disposizione, qualora sussista autorizzazione di legge, la rappresentanza e la difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato sono assunte in via organica ed esclusiva – eccettuati i casi di conflitto d’interessi con lo Stato o le regioni e fatta salva la facoltà delle amministrazioni, in casi speciali, di non avvalersi del detto patrocinio – (cfr. Corte cass. 5 sez. 13.5.2003 n. 7329;

id. 5 sez. 9.11.2004 n. 21301; id. 5 sez. 9.6.2005 n. 12152; id. 5 sez. 2.11.2006 n. 24623).

L’Avvocatura dello Stato, in virtù delle norme di legge richiamate, si pone in rapporto di immedesimazione organica con le Amministrazioni e gli enti rappresentati, con la conseguenza che, da un lato, gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità (il rapporto sottostante a quello di mandato ex lege fra l’amministrazione e l’Avvocatura e relativo alla gestione della lite costituisce un rapporto meramente interno all’amministrazione medesima, senza alcuna necessità che questa deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volontà di agire o resistere in giudizio,nei vari gradi e fasi di esso); dall’altro la capacità di compiere tutti gli atti processuali consentiti al difensore munito di mandato, attribuita agli avvocati dello Stato incontra il solo limite (in mancanza di un espresso conferimento del relativo potere), dell’esercizio dei poteri che importano una disposizione del diritto in contesa, verifica che risulta evidentemente superflua nella ipotesi in cui si controverta in materia di diritti od interessi indisponibili.

Da quanto precede discende la infondatezza di entrambe le eccezione proposte atteso che:

– diversamente dalla ipotesi di procura ad litem conferita con autonomo atto di mandato al legale abilitato al patrocinio che trova fondamento in un rapporto d’opera intellettuale contraddistinto dall’"intuitus fiduciae" e dalla personalità della prestazione, la difesa in giudizio assunta dalla Avvocatura dello Stato ha sempre carattere impersonale, essendo pienamente fungibili gli avvocati dello Stato nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio. Da ciò consegue che la sottoscrizione dell’atto introduttivo del giudizio bene può apposta da avvocato dello Stato diverso da quello che ha materialmente redatto l’atto, unica condizione richiesta per la validità dello stesso essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa. Nella specie non sussiste contestazione in ordine a detta qualità, sicchè la irrituale stampigliatura "per F.B.G. – Avvocato dello Stato" seguita dalla sottoscrizione "Avvocato dello Stato – V.A. apposta in calce all’atto, non inficia la esistenza nè la validità del ricorso;

– le controversie in materia tributaria, pur concernendo pretese tipicamente di natura patrimoniale, hanno ad oggetto – per consolidata giurisprudenza di questa Corte – crediti erariali sottratti alla disponibilità delle Amministrazioni statali Enti pubblici (sforniti di potestà discrezionale in ordine alla esazione del credito, in considerazione del generale obbligo imposto ai consociati di concorrere alle spese pubbliche in relazione alla propria capacità contributiva: art. 53 Cost.), in quanto concernenti entrate patrimoniali indispensabili per l’esercizio delle funzioni istituzionali e dei servizi essenziali della Comunità, con la conseguenza che "il credito tributario, essendo indisponibile, non è neppure rinunciabile, ne informa espressa nè informa tacita" (cfr.

Corte cass. 1 sez. 6.12.1974 n. 4041; id. SU 18.4.1988 n. 3030. Cfr.

Corte cass. 5 sez. 12.6.2009 n. 13695; id. 5 sez. 30.12.2009 n. 28018). Tanto è sufficiente, unitamente alla considerazione della immedesimazione organica dell’Avvocato dello Stato nella struttura organizzativa della persona giuridica di diritto pubblico rappresentata, ad escludere di rilevanza la questione sollevata con la eccezione formulata "in limine litis" dalla parte resistente in ordine alla individuazione della figura soggettiva pubblica (Avvocato dello Stato, Ministro ovvero Direttore dell’ente pubblico, od altro funzionario delegato) competente a dichiarare la persistenza dell’interesse alla trattazione della causa pendente ai sensi della disposizione della L. n. 183 del 2011, art. 26 secondo cui "nei procedimenti civili pendenti avanti la Corte cassazione, aventi ad oggetto pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69" (comma 1) "le impugnazioni si intendono rinunciate con conseguente estinzione del giudizio se nessuna delle parti con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha sottoscritto il mandato, dichiara la persistenza dell’interesse alla loro trattazione..". 2. Il primo motivo con il quale i ricorrenti censurano la sentenza di appello per insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) è inammissibile in quanto attraverso il vizio di legittimità vengono investiti apprezzamenti di valore compiuti dai Giudici in ordine alle emergenze istruttorie (nella specie risultanze delle molteplici indagini tecniche esperite in primo grado: relazione peritale del CTU, chiarimenti e supplemento di c.t.u.) risolvendosi la critica in una mera differente prospettazione dei fatti rilevati dall’ausiliario – favorevole ai ricorrenti – contrapposta alle valutazione che di tali fatti -in base al libero convincimento che presiede alla individuazione, scelta ed apprezzamento di attendibilità delle prove – ha compiuto la Corte nell’esercizio del suo potere discrezionale.

E infatti i ricorrenti sostengono che, essendo emerso dalle indagini tecniche che i risultati della curva di distillazione della miscela denominata "Splendorsol Vapore" (composta al 94% da petrolio lampante, al 5% da acqua ragia e dall’1% da profumo) mostravano che il prodotto presentava proprietà sovrapponiteli a quelle del petrolio lampante, erravano i Giudici di appello laddove dalla non significativa modifica delle proprietà del componente principale non avevano inteso applicare alla miscela il medesimo trattamento fiscale previsto per il petrolio lampante.

La tesi prospetta dai ricorrenti è antitetica a quella adottata nella motivazione per pervenire a conclusioni opposte.

Dai fatti rilevati all’esito delle indagine tecniche svolte in primo grado, riportati nella sentenza impugnata e negli atti introduttivi del giudizio di legittimità (avendo provveduto le parti a trascrivere nelle parti essenziali il contenuto delle relazioni depositate dal CTU e delle relazioni dei laboratori di analisi specializzati – UTF di Milano, Stazione Sperimentale per i Combustibili di (OMISSIS), Laboratorio Chimico di Milano della Agenzia delle Dogane), emergevano i seguenti – incontestati – dati:

1 – il prodotto Splendorsol Vapore era costituito da una miscela nella composizione di 94% di petrolio lampante, 5% di acqua ragia, ed 1% di profumo;

2 – la miscela in questione, "considerato che la frazione di acqua ragia non altera sensibilmente la curva di distillazione dell’olio medio (petrolio)" – ricorso pag. 14, sentenza pag. 12, Lab. Chimico Ag. Dogane in data 4.1.2002- "presenta le caratteristiche chimico- fisiche previste dalla nota 1, d) premessa al capitolo 27 della Tariffa doganale d’uso integrata, ed è da classificare come "Olio medio" (codice nomenclatore da 2710-0041 a 2710-0059)" -cfr. sentenza pag. 9, relaz. UTF del 30.1.2002-;

3 – la miscela "si comporta alla curva di distillazione come un olio medio e cioè come una frazione intermedi tra gli oli leggeri …e gli oli pesanti, frazione che comprende il petrolio lampante", ed è quindi potenzialmente idonea alla combustione carburazione – cfr. sentenza pag. 10, relaz. CTU;

4 – gli oli medi costituiscono "una frazione di oli minerali (comprendente le voci NC da 27100041 a 27100059) che a 201 gradi distillano meno di 90%, ed a 250 gradi 65% o più" e vanno distinti dal "petrolio lampante e cherosene…quale frazione derivata da oli minerali (medi) avente p.e. approssimativamente compreso tra 175 gradi centigradi e 275 gradi centigradi" -cfr. sentenza pag. 12, relaz. CTU-; la definizione della voce NC 2710 di cui alla nota 1 d) premessa al capitolo 27 della Tariffa doganale d’uso integrata, in vigore nell’anno 1999, è riportata nel ricorso a pag. 15 (sono oli medi "gli oli e le preparazioni che distillano in volume, comprese le perdite, a 210 gradi C. meno di 90% ed a 250 gradi C. 65% o più, secondo il metodo ASTMD 86").

Sulla scorta delle risultanze tecniche predette la Corte d’appello ha fornito una coerente interpretazione della norma fiscale che prevede l’applicazione dell’accisa sui prodotti energetici, individuando nel del TU 26 ottobre 1995, n. 504, art. 21, comma 2 la disposizione applicabile al caso concreto che, nel testo vigente al tempo dei fatti (1996-1999), sottoponeva ad accisa "secondo l’aliquota prevista per il combustibile od il carburante per motori equivalente" i prodotti "diversi da quelli indicati nel comma 1……se destinati ad essere usati, se messi in vendita o se usati come combustibile o carburante".

L’argomento logico sviluppato dalla Corte si articola nelle seguenti affermazioni : a) l’art. 21, n. 504 del 1995 prevede autonome e distinte fattispecie al primo ed al secondo comma: la disposizione del comma 1 sottopone ad accisa determinati prodotti energetici – tra cui alla lett. e), il "petrolio lampante o cherosene (codice NC 2710- 0051 e 2710-0055)"-, individuandoli tassativamente attraverso il numero di codice del nomenclatore combinato; la disposizione del comma 2 si riferisce invece, non a prodotti singolarmente individuati, ma, genericamente, a tutti i prodotti appartenenti ad una stessa categoria merceologica – come ad esempio, nel caso che interessa, "i prodotti di cui al codice NC 2710 indicati alla lett. d) del comma 2- con espressa esclusione di quelli – pure appartenenti alla stessa categoria generale ma – nominativamente individuati al comma 1;

b) la categoria NC 2710, come è dato evincere dalla nota 1 lett. d) Tariffa doganale d’uso integrata, contraddistingue gli "Oli Medi" ricompresi nelle voci da 2710-0041 a 2710-0059 del nomenclatore combinato e tra i quali va ricondotto anche il petrolio lampante (NC 2710-0051) ed il cherosene (NC 2710-0055);

c) avuto riguardo ai coincidenti rapporti di analisi della Stazione Sperimentale dei combustibili di San Donato Milanese e del Laboratorio Chimico della Agenzia delle Dogane, che concludevano entrambi per la classificazione della miscela come "olio medio" compreso tra i codici NC 2710-0041 e 2710-0059 corrispondenti alle definizioni tecniche riportate alla nota 1 d) della Tariffa, conseguiva che la miscela in questione, non essendo stata ritenuta identificabile nelle predette analisi come "petrolio lampante o cherosene" (e dunque non essendo classificabile con i codici NC 2710- 0051 o 2710-0055), non poteva ritenersi soggetta ad accisa ai sensi dell’art. 21, comma 1 TUA ma, trattandosi comunque di prodotto combustibile o carburante classificato alla voce 2710, era assoggettabile ad imposta soltanto nel ricorso delle condizioni di uso o destinazione all’uso – nella specie non dimostrate dalla Amministrazione finanziaria – previste dal medesimo art. 21 TUA, comma 2.

Tale argomentazione non presenta contraddizioni logiche intrinseche, essendo pienamente idonea a sostenere il "decisum", e non viene inficiata dal rilievo dei ricorrenti secondo cui la Corte territoriale avrebbe travisato le conclusioni dell’ausiliario avendo questi accerto che la miscela era potenzialmente idonea ad essere impiegata come combustibile o carburante ed aveva proprietà analoghe a quelle del petrolio lampante (cfr. ricorso pag. 15 e 16, relaz. e suppl. c.t.u.), avuto riguardo al principio affermato da questa Corte secondo cui le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (cfr.

Corte cass. 1 sez. 3.3.2011 n. 5148).

L’aver ritenuto che le caratteristiche similari rilevate dal CTU (curva di distillazione) tra il petrolio lampante e la miscela in questione escludessero, comunque, una totale identità tra i prodotti in comparazione, e che conseguentemente -come peraltro riportato negli stessi risultati di analisi degli istituti specializzati- la miscela doveva ricondursi nella generale categoria degli Oli medi (NC 2710), costituisce un apprezzamento di fatto che, in quanto esente da errori e vizi logici, rimane sottratto al sindacato di legittimità, dovendo ribadirsi, pertanto, nel dichiarare infondato il motivo di ricorso, il principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui nella denuncia dei vizi c.d. motivazionali ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) che richiede "la precisa indicazione di carenze o di lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione delle illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra e varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi", "… risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito alla opinione che di essi abbia la parte e, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità della valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento. Diversamente si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate, ed in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito " (cfr. Corte cass. sez. lav. 23.5.2007 n. 12052; id. 1 sez. 7.3.2007 n. 5274; id.

3^ sez. 5.3.2007 n. 5066; id. sez. lav. 23.12.2009 n. 27162).

3. Il secondo motivo, con il quale le parti ricorrenti denunciano la violazione D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 21, comma 2 TUA, deve ritenersi infondato.

L’assunto delle ricorrenti, secondo cui l’accertata potenziale idoneità della miscela in questione ad essere impiegata come combustibile o carburante costituirebbe elemento sufficiente ad assoggettare il prodotto accisa, è fondato su di una non condivisibile definizione degli ambiti semantici differenziati da attribuire alle espressioni lessicali con le quali vengono individuate le condizioni di assoggettabilità ad accisa dei prodotti contraddistinti al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 21, comma 2, lett. d) TUA con il codice NC 2710, laddove in particolare la norma subordina l’applicazione della imposta ai prodotti "se destinati ad essere usati", "se messi in vendita", ovvero "se usati" come combustibile o carburante.

Ritiene il Collegio che ferma la "ratio legis" secondo cui, nei casi previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 21, comma 2 TUA, l’elemento determinante assunto come rilevante ai fini della tassazione è la effettiva destinazione – utilizzazione del prodotto e non la sua composizione chimica, così da evitare l’elusione delle tariffe attraverso la produzione di prodotti miscelati, componendo i prodotti fra loro o con altre sostanze (cfr. Corte cass. 5 sez. 17.1.2005 n. 814, in tema di imposte di fabbricazione sugli olii minerali, disciplinate dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 17, comma 3, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427 poi recepito nell’art. 21 TUA), occorre considerare che la interpretazione prospettata dalle ricorrenti secondo cui la "destinazione all’uso come combustibili o carburante" indicherebbe meramente la potenzialità energetica del prodotto, verrebbe a disconoscere proprio la predetta ratio legis, venendo individuata la condizione di assoggettabilità ad accisa, non nella concreta destinazione di impiego del prodotto ma nella composizione chimico-fisica dello stesso, con ciò contraddicendo tanto all’art. 21, comma 1 (che invece sulla sola composizione chimico-fisica, e dunque sulla idoneità alla combustione o carburazione del prodotto, prevede la applicazione della accisa), quanto al comma 3 che – con riferimento alla circolazione intracomunitaria dei prodotti indicati nei predenti commi, tra cui quelli contraddistinti dal codice nomenclatore combinato dal n. 2710- 0011 al n. 2710-0072- assoggetta ad accisa detti prodotti "ancorchè siano destinati ad usi diversi da quelli tassati", con ciò ipotizzando che la mera potenzialità all’impiego come combustibile o carburante della miscela in questione (ricompresa tra i codici 2710- 0011 e 2710-0072) non coincide con la destinazione d’uso e non è sufficiente a dimostrare la "effettiva destinazione del prodotto alla combustione o carburazione".

Ritiene pertanto il Collegio che la corretta soluzione ermeneutica, aderente alla evidenziata "ratio legis", sia quella di riferire le diverse espressioni utilizzate nel testo normativo all’intero ciclo economico del prodotto, dalla fabbricazione al consumo, e quindi alla destinazione d’uso impressa "ab origine" al prodotto commerciale (indicazione fornita dalla fabbrica: è la ipotesi esaminata da Corte cass. n. 814/2005 cit. relativa a prodotto, "biothermo", destinato ad essere commercializzato come combustibile per riscaldamento); alla eventuale differente indicazione di impiego del prodotto (rispetto a quella fornita dalla fabbrica) in concreto pubblicizzata nella fase di distribuzione ovvero comunque risultante dalle specifiche modalità di vendita; alla concreta destinazione di impiego del prodotto da parte del consumatore finale.

Conforme a diritto si palesa, pertanto, la sentenza impugnata che, con accertamento in fatto – insindacabile in questa sede in quanto non censurato per errori o vizi logici -, ha escluso l’applicazione dell’art. 21, comma 2 TUA alla fattispecie sottoposta al suo esame in base alle risultanze di causa dalle quali era emerso "l’utilizzo esclusivo dello Splendorsol Vapore quale decerante per auto", negando correttamente rilevanza, ai fini della applicazione della predetta norma, alla accertata potenzialità energetica della miscela.

4. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato e le parti ricorrenti soccombenti condannate alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 14.000,00 per onorari, in Euro 100,00 per esborsi, oltre al rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *