Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-06-2011) 14-10-2011, n. 37328

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Per quanto si desume dagli atti processuali ostensibili a questo giudice di legittimità (ordinanza del g.i.p. reiettiva della richiesta cautelare del p.m., appello del p.m., provvedimento del giudice di appello, impugnazione dell’indagato G.), la vicenda storica oggetto di ricorso è sintetizzabile come di seguito.

Il (OMISSIS) alle ore 12.55 circa, in Frazione (OMISSIS), due uomini a bordo di una motocicletta con i volti travisati da caschi integrali, affiancata e superata l’autovettura delle due vittime, esplodevano a scopo omicidiario due colpi di fucile a canne mozze all’indirizzo dei cugini C. G. classe (OMISSIS) e Co.Gi. classe (OMISSIS), provenienti a bordo di una vettura Fiat Punto guidata dal secondo da un vicino centro commerciale. L’evento letale non si verificava per la tempestiva reazione del conducente della Fiat, che accelerava la marcia inseguendo la motocicletta dei due attentatori, riuscendo dopo un centinaio di metri a "speronarla" e facendo cadere a terra i due motociclisti, che fuggivano a piedi.

In base alla descrizione dell’episodio fornita dai due C. e alle indagini immediatamente svolte sul fatto i carabinieri della locale Compagnia di Girifalco inscrivevano il descritto tentativo di omicidio nel quadro della risalente guerra di mafia (iniziata nel 2004) in corso nell’area di Borgia per il controllo criminale del territorio tra i contrapposti gruppi facenti capo alle famiglie Catarisano e Cossari, scandita dalla "perpetrazione di condotte omicidiarie reciproche" e da ultimo dall’uccisione di T.V. ((OMISSIS)), elemento di "collegamento" tra i due contrapposti gruppi familiari, dal tentato omicidio del capo famiglia Ca.

L. ((OMISSIS)), dall’omicidio del capo famiglia avversario C.S. ((OMISSIS)). Indagando su tali delitti gli inquirenti accertavano (anche da captazioni foniche) che i cugini C. avevano "attenzionato", a palese scopo di vendetta omicidiaria, due importanti esponenti della cosca rivale, tali A.S. e Gu.Fr., che i carabinieri procedenti doverosamente rendevano edotti del pericolo. Ciò innescava gli "anticipatori" propositi ritorsivi del gruppo Catarisano culminati nel descritto tentato omicidio dei due C., i cui responsabili erano individuati nelle persone di soggetti appartenenti al gruppo dei Catarisano. Le investigazioni degli operanti, infatti, consentivano di identificare i due motociclisti che avevano sparato contro i C. in c. g. e in V.R., quest’ultimo reperito alcuni giorni dopo l’agguato ((OMISSIS)) a bordo di un’autovettura di Ga.

A., intervenuto per prestargli soccorso a seguito della frattura di un piede riportata cadendo dalla motocicletta "speronata" dai C.. Alla stregua di dialoghi telefonici intercettati e di verifiche sulle "celle" agganciate dalle utenze mobili dei conversanti i carabinieri rilevavano ripetuti contatti tra A. B. e G.S., tali da far emergere un loro diretto coinvolgimento nell’agguato ai C., come autori del pedinamento delle due vittime e della segnalazione dei loro spostamenti pochi istanti prima dell’azione omicidiaria.

2.- Il competente p.m. di Catanzaro instaurava procedimento penale nei riguardi dei cinque suddetti indagati.

Gli autori materiali del tentato omicidio c. e V. erano, in separato giudizio abbreviato, riconosciuti colpevoli del tentativo di omicidio e condannati alle pene di giustizia (sentenza di primo grado del g.u.p. del Tribunale di Catanzaro del 21.10.2009).

La richiesta di applicazione della misura cautelare carceraria avanzata dallo stesso p.m. nei confronti dei coindagati A. B. e G.S., quali concorrenti nel reato di tentato omicidio dei C. premeditato e aggravato da modalità e finalità mafiose e nei connessi reati di detenzione e porto illegali di un fucile cal. 12, nonchè di Ga.An., quale responsabile del favoreggiamento personale di V.R., era respinta con ordinanza in data 21.7.2010 dal g.i.p. del Tribunale di Catanzaro in ragione della ritenuta fragilità del quadro indiziario delineantesi nei confronti dei tre indagati.

Deduceva in particolare il g.i.p. che gli elementi accusatori raccolti, formati dai ripetuti contatti personali tra i tre indagati e i due autori materiali dell’agguato ai C. e dalle intercettate conversazioni telefoniche avvenute tra il G. e l’ A. il giorno dell’agguato, non erano idonei a dimostrare la loro partecipazione in fase preparatoria ed esecutiva al delitto, trattandosi di elementi labili e insufficienti, muniti di valore neutro e da ritenersi frutto di semplici coincidenze temporali.

Indizi considerati insufficienti anche per il reato di favoreggiamento aggravato dalla mafiosità della condotta ascritto al Ga., chiamato in soccorso del V. da una telefonata del G. (che gli chiedeva di portare del ghiaccio poi trovato su un piede del dolorante V.), difettando congrui indizi dell’esistenza dell’elemento soggettivo dell’ipotizzato reato ex art. 378 c.p., cioè della reale consapevolezza che V. fosse uno degli autori dell’agguato ai C..

3.- Adito ex art. 310 c.p.p. dall’impugnazione del pubblico ministero, censurante la decisione cautelare reiettiva del g.i.p. perchè connotata da una impropria valutazione frazionata ed atomistica del compendio indiziario, il Tribunale di Catanzaro con tre separate ordinanze pronunciati il 21.10.2010, di omologo contenuto generale e di specifica analisi delle posizioni dei tre indagati, ha accolto l’appello del p.m. ed ha applicato all’ A., al G. e al Ga. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine ai reati loro rispettivamente attribuiti, considerando acquisiti nei confronti di ciascuno un quadro indiziario consistente e grave e sussistendo per tutti e tre ragioni di cautela processuale sottese alla loro intrinseca pericolosità sociale.

Con specifico riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente G.S., i giudici del gravame cautelare di Catanzaro hanno focalizzato l’attenzione sulla convergenza e gravità dei seguenti indizi di colpevolezza:

– esistenza di un sicuro movente della condotta criminosa nella volontà di contrastare, a tutela del proprio gruppo di riferimento formato dalla famiglia Catarisano, la prevedibile vendetta della cosca rivale dopo la recente uccisione di C.S.;

– contatti telefonici intercorsi tra l’ A. e il c. e il V. nelle prime ore del giorno dell’attentato (tra le ore 7.25 ed 8.00 del (OMISSIS)), dai quali si evince che i tre si incontrano, e conversazioni avvenute nell’immediatezza dell’aggressione armata ai cugini C. tra il G. e il coindagato A.B.:

alle ore 12.47 G. segnala di essere a bordo di una motocicletta;

alle ore 12.51 G. avverte A. di trovarsi alla Fortuna, cioè all’altezza di un centro commerciale di (OMISSIS), dal quale stanno sopraggiungendo in auto a (OMISSIS) i cugini C. (come da entrambi chiarito), a (OMISSIS) avvenendo alle ore 12.55 l’agguato e a (OMISSIS) trovandosi in quel momento l’ A. (giusta riscontro della "cella" di collegamento del suo telefono mobile) con l’evidente compito di preparare l’intervento del c. e del V., informandoli dell’imminente arrivo dei C.;

– impegno profuso dal G. e dai coindagati nei giorni successivi al tentato omicidio per prestare aiuto a V.S. ferito ad un piede per la caduta dalla motocicletta (l’1.8.2008 Ga. si porta prima nel luogo in cui si trova V. con una motoretta dell’ A. e poi vi torna con una autovettura, su cui è trasbordato il V. da un furgone Renault, a bordo del quale i carabinieri poco dopo trovano lo stesso G. insieme ad A.). Circostanze, queste ultime, avvalorate -per altro- dalle stesse dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’accertamento dal Ga..

Il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto indiscutibilmente ravvisabile nei reati ascritti al ricorrente G. l’aggravante della mafiosità dell’azione L. n. 203 del 1991, ex art. 7 nella sua duplice prospettiva modale (per caratteri tipicamente mafiosi dell’assalto omicidiario contro i C.) e finalistica (favorire il gruppo criminale di riferimento: "impedire la decimazione del gruppo criminale dei Catarisano").

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale le ha ritenute cogenti, sia alla luce della presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3 in relazione al titolo dei fatti contestati siccome aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7 (aggravante riconosciuta, del resto, anche nel processo di primo grado definito nei confronti degli autori materiali del tentato omicidio c. e V.), sia alla luce di concrete ragioni di pericolosità del G. connesse all’intrinseca offensività del cruento fatto omicidiario e all’essersi la condotta criminosa inserita in un palese contesto di criminalità organizzata.

4.- Contro l’ordinanza dei giudici dell’appello cautelare ha proposto ricorso per cassazione il difensore di G.S., adducendo i vizi di legittimità di seguito riassunti per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1. Violazione di legge e carenza e illogicità della motivazione in rapporto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza suffraganti la partecipazione dell’indagato al tentato omicidio dei cugini C..

La decisione dell’appello del p.m. non ha idoneamente contrastato e superato i rilievi in base ai quali il g.i.p. non aveva accolto la richiesta di applicazione della misura cautelare del p.m. Il Tribunale ha attribuito un abnorme peso alle conversazioni avvenute tra il G. e il coindagato A., sebbene le stesse appaiano – per il loro contenuto – prive di efficacia realmente dimostrativa di una partecipazione del ricorrente all’attentato consumato ai danni dei C.. Come già osservato dal g.i.p., tali contenuti non trascendono un ambito di genericità e ambiguità, che impedisce di attribuire loro il peso della gravità e della univocità, rendendoli espressione di mere e occasionali coincidenze. Nè a diverse conclusioni possono condurre i rapporti di "frequentazione" tra i coindagati e altri appartenenti alla famiglia Catarisano segnalati dalla p.g. e che possono trovare giustificazioni diverse (non ultima quella discendente dal limitato ambito collettivo formato da un piccolo comune quale quello di Borgia). Al riguardo il Tribunale ha omesso, tra l’altro, di soffermarsi sugli elementi raccolti dalla difesa del ricorrente ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p. per dimostrare la "neutralità" dei predetti contatti personali e le ragioni della presenza del G. in località Fortuna il 25.7.2008. 2. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla valorizzazione delle dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’intervento operato dalla p.g. in data 1.8.2008 dai tre coindagati Ga., A. e G.. La decisione del Tribunale ha fondato il proprio giudizio anche sul dato secondo cui le dichiarazioni dell’ A. e quelle del G. si pongono in radicale contrasto con quelle rese dal Ga., ritenute più credibili perchè sorrette da asseriti riscontri. Ma il giudizio è spurio, perchè basato sulla violazione dell’art. 63 c.p.p., comma 2 postulante l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate da persone assumenti la qualità di indagati. Qualità che tutti e tre i soggetti rivestivano, alla luce dei "continui monitoraggi cui erano sottoposti dalla p.g. e delle captazioni telefoniche e ambientali riversate in atti, che li vedevano loro malgrado protagonisti". 3. Erronea applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7 anche in merito all’affermata adeguatezza della misura carceraria correlata alla persistenza di esigenze cautelari.

La motivazione con cui il Tribunale ha dedotto la correttezza della qualificazione di mafiosità conferita alla condotta del G. è sommaria ed errata. Non sussistono, in vero, i presupposti della aggravante per difetto di un reale metodo esecutivo mafioso, i fatti oggetto della contestata accusa non essendo scaturiti nell’ambito di operatività di un vero e proprio sodalizio mafioso. L’adesione o la "vicinanza" del G. alla presunta consorteria criminosa facente capo alla famiglia Catarisano non è stata dimostrata e il Tribunale si è adagiato sulla fantasiosa costruzione accusatoria del p.m.. In ogni caso difettano reali esigenze cautelari, quando si osservi che sono trascorsi oltre due anni dalla consumazione del tentato omicidio dei due cugini C. e lo stesso p.m., pur disponendo da tempo o da poco dopo la consumazione del reato degli elementi accusatori poi trasfusi nella richiesta cautelare, ha avanzato quest’ultima – a conferma dell’insussistenza di pressanti esigenze di cautela – soltanto nel marzo 2010. 5.- Il ricorso di G.S. va rigettato per l’infondatezza dei prefigurati motivi di doglianza, che per più versi lambiscono i contorni della inammissibilità in rapporto al carattere talora generico degli assunti censori, appesantiti da pleonastiche citazioni di massime della giurisprudenza di legittimità in materia cautelare (che iura novit curia) e da dati meramente assertivi.

1. Le censure sulla concludenza e gravità della piattaforma indiziaria coinvolgente la posizione del G. non hanno pregio.

Gli argomenti attraverso i quali il Tribunale ha ritenuto esaustivamente consolidata l’accusa di partecipazione criminosa rivolta al G. sono aderenti alla ricostruita dinamica dell’episodio criminoso e agli interventi nello stesso fatti registrare dal ricorrente alla luce dei suoi accertati contatti telefonici il giorno stesso dell’agguato. Contatti che evidenziano il ruolo di "staffetta" svolto dal ricorrente, che segnalante solo quattro minuti prima del tentato omicidio all’ A., che inequivocamente si trova nell’area della Frazione Roccelletta teatro dell’agguato, il sopraggiungere dei due Cossari. Contatti che non possono essere minimizzati quali semplici dati neutri o mere coincidenze (come ha creduto il g.i.p.), ma che assumono specifica significanza indiziaria, secondo l’analisi svolta dal Tribunale in termini di coerenza e logicità ricostruttive. Analisi cui non fanno velo le critiche del ricorrente nel vano tentativo di proporre una rilettura o interpretazione alternativa degli indicati contatti telefonici con il coindagato A.. Rilettura che per la verità rimane soltanto potenziale, non valicando la congettura della mera casuale coincidenza delle relazioni tra i quattro autori del tentato omicidio.

2. Le menzionate indagini di p.g. ricordate nell’atto di appello del p.m. e richiamate nell’impugnato provvedimento confermano, per altro verso, l’intensità dei rapporti di frequentazione tra i coindagati quali appartenenti o "vicini" al gruppo o cosca dei Catarisano. Ciò che rende ragione della infondatezza dell’ulteriore profilo di censura esposto in ricorso, che anche in questo caso pretende di ricondurre siffatte frequentazioni del G. – a prescindere dalla concludenza del movente della sua condotta antigiuridica, pure rimarcato dal Tribunale – nell’ambito delle coincidenze.

3. Correttamente, d’altro canto, il Tribunale ha considerato fonte probatoria confermativa della partecipazione del G. al tentato omicidio dei C. il comportamento dallo stesso tenuto nei giorni successivi al delitto e contrassegnato dall’assistenza offerta insieme all’ A. al correo Valeo rimasto ferito nell’episodio.

Assistenza che trova il suo conclusivo apice nell’operazione di p.g. dell’1.8.2008 sfociata nel reperimento del V. a bordo di una autovettura in uso al Ga., fatto intervenire sul luogo proprio dall’ A. e dal G., che non sono più in grado di far fronte alle esigenze di soccorso medico del V..

La censura sollevata dal ricorrente in ordine alla violazione del disposto dell’art. 63 c.p.p., comma 2 non è pertinente. In primo luogo perchè, pur essendo gli indagati "monitorati" in sede di indagini, nei confronti degli stessi alla data dell’1.8.2008 non emergevano specifici indizi di reità (venuti in luce nella loro completezza soltanto dopo la revisione del materiale offerto dalle operazioni di captazione fonica e dai controlli sulle "celle" di aggancio dei loro telefoni) ed in ogni caso certamente non emergevano nei confronti di Ga.An., la cui presenza nella vicenda viene in luce soltanto quel giorno, sì che legittimamente la p.g. ne ha raccolto le dichiarazioni, così come ha raccolto separatamente le dichiarazioni dello stesso G. e dell’ A. sulla loro presenza a bordo del furgone Renault impiegato per trasportare il V. fino a trasferirlo sull’auto del Ga. e affidarlo alle sue cure.

In secondo e assorbente luogo perchè, a tutto voler concedere e anche ipotizzandosi l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei tre indagati, il quadro indiziario delineatosi a loro carico non ne resterebbe sminuito, avuto riguardo agli autosufficienti elementi indiziari già aliunde raccolti a sostegno del loro coinvolgimento nell’episodio delittuoso del 25.7.2008. E’ appena il caso di aggiungere, del resto, che la questione dell’inutilizzabilità di dichiarazioni ex art. 63 c.p.p., comma 2 di chi avrebbe dovuto potenzialmente essere escusso in veste di indagato o imputato non può essere posta nell’odierna sede di legittimità, ove non sia resa manifesta da specifiche deduzioni della parte (nel caso in esame affatto carenti o generiche) ed ove richieda valutazioni di fatto che – come nel caso di specie – non siano state previamente vagliate dal giudice di merito, di cognizione o cautelare, nel contraddittorio delle parti (v.: Cass. S.U., 16.7.2009 n. 39061, De Iorio, rv.

244328; Cass. Sez. 6, 24.5.2011, rv. 250263).

4. Infondati, infine, si palesano i rilievi del ricorrente sulla insussistenza della contestata aggravante della mafiosità L. n. 203 del 1991, ex art. 7, nella sua duplice componente oggettiva e soggettiva (o finalistica), e sulla connessa persistenza delle esigenze cautelari legittimanti l’applicazione della cautela carceraria.

Sulla base della ricostruita dinamica dell’episodio criminoso che integra la regiudicanda cautelare, correlata alle sue fasi preparatorie, alle concrete modalità esecutive dello stesso e al pacifico movente delle condotte illecite realizzate dal G. e dai suoi complici, movente qualificato senza incertezze da propositi di ritorsione e vendetta verso un gruppo criminale antagonista, non sussistono incertezze sulla corretta motivazione con cui il Tribunale (anche prescindendosi dalla già ritenuta sussistenza dell’aggravante nell’ambito del separato giudizio di merito contro i due esecutori materiali del tentato omicidio dei C.) ha ritenuto configurabile la contestata aggravante del metodo e delle finalità endomafiose della condotta incriminata. Le censure sulla non dimostrata adesione del G. ad un sodalizio criminoso qualificabile come di natura mafiosa non hanno ragion d’essere, perchè – come statuito dalla giurisprudenza di questa S.C. – la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, quando tale condotta risulti assistita, in base ad idonei dati indiziari o sintomatici, quali quelli indicati nell’impugnata ordinanza del gravame, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del gruppo criminale (cfr.: Cass. Sez. 6, 13.11.2008 n. 2696, P.M. in proc. D’Andrea, rv. 242686; Cass. Sez. 6, 22.1.2009 n. 19802, Napolitano, rv. 244261). Nè possono ritenersi sindacabili in questa sede le valutazioni di ordine storico-fattuale additivamente sviluppate, nell’ambito applicativo del disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, dal Tribunale in punto di oggettiva adeguatezza della misura carceraria e di attualità delle esigenze di prevenzione sociale, giustificanti la custodia cautelare in carcere applicata al ricorrente e collegate all’intrinseca gravità dei fatti criminosi ed alla pericolosità del G. dagli stessi fatta palese.

A seguito del rigetto dell’impugnazione il G. va onerato del pagamento delle spese processuali. La cancelleria si farà carico di provvedere alle comunicazioni connesse all’instaurando stato cautelare dell’indagato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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