Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-03-2012, n. 4949

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia promossa da New Shark s.r.l. contro l’Agenzia delle Dogane è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla Società contro la sentenza della CTP di Livorno n. 102/6/2006 che aveva respinto il ricorso avverso gli avvisi di accertamento e rettifica di bollette doganali – n. (OMISSIS) – relative alla importazione di pesce congelato dal Sud Africa. La rettifica era conseguente all’accertamento, da parte dell’Olaf, della falsità della certificazione di origine.

La CTR rigettava l’eccezione di prescrizione formulata dalla società relativamente alla bolletta (OMISSIS), ritenendo che, in presenza di fatti aventi rilevanza penale, operasse la norma di cui all’art. 221 comma 4 CDC. Riteneva infondata l’eccezione di carenza di motivazione degli avvisi impugnati "in quanto gli stessi risultano specificante e formalmente supportati dell’esito dell’indagine effettuata dall’Olaf".

Il ricorso proposto si articola in quattro motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane. All’udienza odierna la ricorrente ha depositato istanza di trattazione della L. n. 183 del 2011, ex art. 26.

Motivi della decisione

Con il primo motivo (con cui deduce: "Violazione e falsa applicazione dell’art. 221 CDC in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la Società ricorrente censura la decisione della CTR laddove afferma che, pur in assenza di un procedimento penale, la sola rilevanza penale dei fatti sarebbe idonea a prolungare il termine triennale di prescrizione.

La censura è infondata. Il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, stabilisce che, qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili.

Con analoga formulazione la norma comunitaria contenuta nell’art. 221 del CDC stabilisce che la comunicazione (di recupero dei dazi) al debitore non può essere più effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale ma se essa riguarda un atto penalmente perseguibile la comunicazione può essere effettuata anche dopo la scadenza di tale termine.

In tema di tributi doganali, l’azione di recupero "a posteriori" dei dazi all’importazione o all’esportazione, non può essere dunque avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di contabilizzazione che subisce peraltro un deroga quando vi sia stata la formulazione di una notitia criminis.

La sopravvenienza, nel caso in esame, di una notitia criminis nel settembre 2001 (secondo i risultati della Commissione comunitaria in Sudafrica, come concordemente ammesso dalle parti) esclude la ricorrenza della eccepita prescrizione con riferimento alle bollette dell’ottobre 1998 (conf. Cass. 23 aprile 2010 n. 9773).

Con secondo motivo (con cui deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 220 CDC in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la ricorrente assume che il giudice di appello avrebbe "errato nell’accogliere la lesi dell’Amministrazione finanziaria circa la mancata ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 220 CDC al caso di specie e precisamente la mancanza di un errore attivo da parte delle autorità e la presenza di una colpa in eligendo da parte dell’importatore che escluderebbe la sua buonafede".

La censura è infondata.

Premesso che il recupero a posteriori dei dazi doganali non versati all’atto dell’importazione costituisce una normale conseguenza del fatto che il controllo a posteriori non consente di confermare l’origine delle merci come indicata nel certificato FORM A, deve rilevarsi che l’importatore può utilmente invocare il legittimo affidamento ai sensi dell’art. 220. n. 2, lett. b), del codice doganale, e così beneficiare della deroga al recupero a posteriori prevista da detta disposizione solo qualora ricorrano a condizioni cumulative. Occorre, anzitutto, che il rilascio irregolare dei certificati sia dovuto ad un errore delle autorità competenti stesse; che l’errore commesso dalle medesime sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato dal debitore di buona fede;

e, infine, che quest’ultimo abbia osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore (v. sentenze Faroe Seafood e a., cit., punto 83; 3 marzo 2005, causa C-499/03 P, Biegi Nahrungsmittel e Commonfood/Commissione, Racc. pag. 1-1751, punto 46, nonchè 18 ottobre 2007, causa C-173/06, Agrover, Racc. pag. 1-8783, punto 30).

In tal senso questa Corte ha affermato (Sentenza n. 2214.1. del 16/10/2006) che, in caso di irregolarità dei certificati di origine, dalla quale derivi la mancata riscossione dei dazi effettivamente dovuti, la buona fede dell’importatore dichiarante non lo esime, in linea generale, da responsabilità quand’anche la merce sia scortata da certificati falsificati a sua insaputa (cfr. Corte di giustizia, sent. 17 luglio 1997 in causa C-97/95), non essendo tenuta la Comunità europea a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini; con sentenza n, 15297 del 10/06/2008 questa Corte ha riaffermato tale principio rilevando che l’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 220, comma 2, lett. b), del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto Codice doganale comunitario), richiede un compiuto esame da parte del giudice sulla ricorrenza della buona fede che deve essere dimostrata dal soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione, attraverso la prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla norma perchè resti impedito il recupero daziario, ed in particolare: a) un errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore di natura tale da non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, ed in ogni caso determinato da un comportamento attivo delle autorità medesime, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dell’operatore; c) l’osservanza da parte del debitore di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla normativa vigente.

Più di recente è stato altresì affermato (Sez, 5, Sentenza n. 13680 del 12/06/2009) che l’esenzione prevista dall’art. 220, comma 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto Codice doganale comunitario), presuppone la genuinità del certificato di origine, cioè la sua regolarità formale e sostanziale; e che spetta, pertanto, all’importatore che intende usufruire dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che importa e, in ogni caso, il suo stato soggettivo di buona fede, mediante la prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla citata norma, mentre all’Autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di dare dimostrazione delle irregolarità delle certificazioni presentate.

In definitiva va in questa sede riaffermato che il semplice stato soggettivo dell’importatore al fine della debenza del tributo non ha valenza esimente in re ipsa se non sia inquadrarle nelle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria tra le quali spicca l’errore incolpevole imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali nel rilasciare le certificazioni all’esito di controlli che erano tenuti a fare sulle dichiarazioni di provenienza degli esportatori, su di esse non potendo diversamente far affidamento l’importatore che – quale dichiarante della merce importata – è responsabile del pagamento del dazio.

A tali principi risulta essersi attenuta la CTR laddove ha affermato l’insussistenza delle condizioni di cui all’art. 200 CDC, non ravvisando un errore attivo delle autorità doganali ("l’errore dell’Autorità Doganale del Sud Africa, nel rilasciare i certificati di origine discende da una falsa dichiarazione delle ditte esportatici scelte, per cui la società importatrice non può in assenza di effettiva dimostrazione dell’origine del prodotto cui è connessa la tariffa agevolativa, fruire delle agevolazioni solo sulla base di detta non veritiera certificazione …Resta attribuibile all’importatore il rischio dell’attività esercitata..anche quando le stesse autorità siano state indotte in tale errore proprio per propiziare l’attività evasiva e ciò indipendentemente dalla circostanza che l’importatore non abbia partecipato attivamente al raggiro posto in essere).

Con terzo motivo (con cui deduce: Omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia, rappresentato dalla presunta mancanza dei requisiti per l’ammissione al trattamento preferenziale della merce in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente assume che la CTR non avrebbe adeguatamente motivato sulla circostanza "che tutto il prodotto importato dalla ricorrente non sia stato ottenuto da pesca praticata nelle acque territoriali del paese di esportazione o da imbarcazioni battenti bandiera dello stesso paese".

La censura è infondata non ravvisandosi nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, nè le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della "ratio decidendi", e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata, avendo la CTR ritenuto a tal fine probante, anche alla luce della normativa CEE, l’esito dell’indagine effettuata dall’Olaf. Nè l’assunto vizio può ravvisarsi nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento.

Con quarto motivo (con cui deduce: Omessa o contraddittoria motivazione circa la ricostruzione della presunta condotta negligente della ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente assume che la CTR avrebbe onerato il contribuente, privo di mezzi di accertamento in Sudafrica, di ricerche ed accertamenti diretti.

La censura è inammissibile in quanto relativa all’interpretazione e applicazione delle norme giuridiche e non proposta con riferimento all’accertamento e alla valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (Sez. U., Sentenza n. 28054 del 25/11/2008).

Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione Finanziaria, delle spese del grado che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione Finanziaria, delle spese del grado che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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