Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-06-2011) 14-10-2011, n. 37321

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con sentenza emessa in data 8.4.2O08 il Tribunale di Cosenza, all’esito di giudizio ordinario, ha dichiarato B.G. colpevole degli ascritti reati di maltrattamenti in danno della convivente G.F. (dal settembre 2003 al dicembre 2004), di danneggiamento seguito da incendio di un’autovettura Ford di G.G. (commesso il 9.1.2004) nonchè di minacce aggravate continuate rivolte a G.F., al fratello G.G., alla madre e ad altri familiari della donna (nel dicembre 2003).

Per l’effetto il Tribunale, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, ha condannato il B. alla pena di un anno e due mesi di reclusione.

Il giudice di primo grado con diffusa motivazione ha ricostruito le dinamiche della vicenda intrafamiliare sottesa alle contestazioni mosse al B., che si inscrive in una difficile convivenza coniugale iniziata quando l’imputato è poco più che ventenne e la G.F. ha appena quattordici anni. Rapporto scandito dalla nascita di una bambina quando la G.F. ha solo sedici anni.

La presenza di una figlia e le difficoltà nella gestione di una matura e condivisa maternità e paternità, in uno alla giovane età dei due conviventi, incrina il rapporto della coppia, che sfocia in ripetuti episodi di maltrattamenti, percosse e vessazioni del B., che inducono più volte la G.F. a rifugiarsi con la bambina a casa dei genitori per poi riprendere poco dopo la convivenza con l’uomo, a sua volta intervallata da taluni periodi di detenzione dello stesso.

Questi nel periodo interessato dalla regiudicanda non desiste dal tormentare e minacciare la convivente, tornata dai genitori, alla quale rimprovera di non fargli vedere la bambina, accusando i suoi familiari di spalleggiare tale suo contegno.

Sul piano degli elementi di conoscenza raccolti in dibattimento il Tribunale ha ritenuto raggiunti adeguati elementi di prova della responsabilità del B. per tutti i reati ascrittigli.

Quanto ai maltrattamenti e al riconoscimento del B. quale autore dell’incendio appiccato all’auto del fratello della convivente la notte del 9.1.2004 e alle stesse minacce dell’imputato pervenute ai congiunti nel precedente mese di dicembre, il Tribunale ha valutato pienamente credibili le dichiarazioni predibattimentali della G.F., acquisite al fascicolo processuale a seguito di contestazioni del p.m. e ritenute utilizzabili a norma dell’art. 500 c.p.p., comma 4, avuto riguardo al palese stato di agitazione e di conclamato timore di ritorsioni dell’imputato (con cui al momento della sua testimonianza, il 15.1.2008, ha ripreso la convivenza) manifestato in dibattimento dalla giovane, che tra pianti, reticenze e contraddittorietà ha cercato di "ritrattare" le sue originarie accuse, facendo esplicito riferimento alla sua "paura" dell’imputato e delle sue prepotenze (il 15.1.2008, osserva il Tribunale, B. è in stato di libertà, essendo poi arrestato qualche giorno dopo). Dichiarazioni predibattimentali rese alla p.g. il 9.1.2004 e, d’altro canto, esattamente confermate, oltre che dalla palmare illogicità dei motivi addotti a base della ritrattazione dibattimentale dalla G.F., da tutti i familiari della donna.

Ciò in riferimento sia al clima oppressivo e intimidatorio instaurato nei suoi confronti dal B. (i più o meno brevi periodi di interruzione della condotta lesiva per la temporanea sospensione della convivenza non facendo venire meno l’abitualità propria del reato di maltrattamenti), sia alle minacce telefoniche e verbali rivolte dall’imputato all’indirizzo di tutti i membri della famiglia, sia – infine – sul suo specifico riconoscimento la notte del 9.1.2004 ad opera di G.F., come da sue stesse allarmate dichiarazioni del momento, poi subito dopo confermate ai carabinieri (sentenza p. 5: "coralmente dichiaravano che la predetta, durante il divampare delle fiamme, gridava il nome di G. e diceva è stato lui, è B.G.").

A fronte della univoca natura dolosa dell’incendio del veicolo di G.G. (i carabinieri hanno repertato accanto alla vettura una bottiglia contenente benzina utilizzata per appiccare il fuoco), la condotta ex art. 424 c.p. dell’imputato è ritenuta dal Tribunale vieppiù avvalorata – sul piano del movente criminoso – dalla riferita ennesima lite avvenuta il giorno precedente l’incendio tra la donna e il B., che la schiaffeggia in strada, minacciando di portarle via la bambina, ed altresì dalle minacce telefoniche indirizzate dall’imputato alla madre ( G.A.) e al fratello di G.F. con il monito di far loro un "regalo per Natale". 2.- Giudicando sull’impugnazione proposta dal B., la Corte di Appello di Catanzaro, con l’indicata sentenza dell’11.11.2009, ha confermato la decisione di primo grado, integralmente condividendone l’impianto ricostruttivo e valutativo dei fatti.

La Corte territoriale ha considerato privi di fondamento i rilievi critici dell’appellante in tema di corretto apprezzamento della prova ed ha confermato la sussistenza di tutti e tre i reati ascritti all’imputato, come in origine qualificati.

Da un lato la sentenza di appello ha dedicato ampio spazio alla disamina della problematica della utilizzabilità delle dichiarazioni preprocessuali della persona offesa G.F. ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 4, ripercorrendo il procedimento incidentale acquisitivo delle iniziali dichiarazioni della donna e rimarcandone la legittimità, alla luce delle discrasie ed inverosimiglianze caratterizzanti le addotte ragioni della ritrattazione dibattimentale delle iniziali accuse delineata dalla testimone, emergenti da un rigoroso controllo comparativo di linearità e logicità rappresentative delle due serie di dichiarazioni della G.F., che in dibattimento ha riferito circostanze (le telefonate effettuate, ad esempio, al B. e alla di lui madre subito dopo l’incendio dell’automobile del fratello) giustificabili soltanto in riferimento alla piena veridicità delle sue originarie dichiarazioni alla p.g..

Di tal che la sentenza di secondo grado ha evidenziato il rigore – conforme agli indirizzi della S.C. sulla disciplina dettata dall’art. 500 c.p.p., comma 4 – del meccanismo acquisitivo delle prime e attendibili dichiarazioni della donna, rinnegate in udienza per la patente pervasiva paura di ritorsioni dell’imputato, ma confermate nel loro originario costrutto da tutti gli altri suoi prossimi congiunti escussi dal Tribunale (nessuno di costoro nè la stessa G.F. si sono costituiti parte civile).

Da un altro e conseguente lato i giudici di appello hanno respinto le censure di merito dell’appellante sulla sussistenza e qualificazione dei fatti reato ascrittigli.

In particolare segnalando l’inquadrabilità nella fattispecie dei maltrattamenti familiari del vessatorio regime di vita coniugale imposto dall’imputato alla convivente, confermato dalle sofferte testimonianze dei congiunti sulla sfortunata vicenda sentimentale della loro rispettiva figlia e sorella (la madre di G. F. ha precisato come la figlia, nonostante le angherie dell’imputato, finisse comunque sempre per ritornare con lui perchè "gli vuole bene").

Trovando le minacce verbali e telefoniche del B. specifico riscontro nelle testimonianze di tutti i familiari di G. F., la Corte di Appello ha – infine – escluso la riconducibilità dell’incendio appiccato all’auto di G. G. alla più mite ipotesi criminosa del danneggiamento semplice in luogo della contestata fattispecie di cui all’art. 424 c.p., dal momento che i dati di prova generica dell’episodio suffragano l’effettività del pericolo di incendio scaturito dal fuoco promanante dall’autoveicolo, estinto solo in virtù del rapido intervento degli stessi G. e della fortunosa disponibilità di una pompa da cantiere collegata ad un pozzo artesiano. Fuoco che avrebbe potuto produrre ben più gravi effetti, sol che si consideri che l’auto incendiata era parcheggiata accanto ad altre due autovetture, una delle quali alimentata con gas propano facilmente infiammabile.

3. – Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, proponendo i seguenti due motivi di censura.

1. Violazione della legge processuale ( art. 192 c.p.p. e art. 504 c.p.p., comma 4) in riferimento all’art. 111 Cost.) ed illogicità della motivazione in punto di acquisizione e utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali della p.o. G.F..

L’applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4 per acquisire le iniziali dichiarazioni rese alla p.g. dalla G.F., con cui è stata privata di valore la ritrattazione dibattimentale di quelle stesse dichiarazioni effettuata dalla donna, è abnorme e priva di fondamento.

La disciplina prevista dall’art. 500 c.p.p., comma 4 costituisce uno strumento di carattere straordinario, esperibile – nei suoi effetti derogatori del principio di formazione della prova nel contraddittorio delle parti ( art. 111 Cost.) – soltanto in presenza di specifici e puntuali presupposti, che facciano dedurre che le dichiarazioni dibattimentali negative di quelle precedenti e divenute oggetto di contestazione ( art. 500 c.p.p., comma 1) siano frutto di violenza, minaccia o prezzolamento e tali da infirmare la genuinità della prova.

Presupposti non ricorrenti nel caso della G.F., la distonia tra le sue due diverse dichiarazioni essendo espressione più della consapevolezza della falsità delle iniziali accuse mosse al B. innanzi alla p.g. il 9.1.2004, che del carattere menzognero o elusivo della sua testimonianza dibattimentale.

Non vi è prova che le modificative asserzioni dibattimentali della G.F. siano dovute all’illecita condotta "su" di lei attuata dall’imputato, che sola consentirebbe l’utilizzazione delle acquisite precedenti dichiarazioni del testimone, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale espresso nell’ordinanza n. 453/2002, che – dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 500 c.p.p., comma 4 – ha puntualizzato l’area di operatività di tale previsione derogatoria, escludendola quando la successiva discrepanza dichiarativa sia eventualmente ascrivibile alla condotta illecita posta in essere "dallo" stesso dichiarante.

Nel caso di specie vi è motivo di ritenere che la G.F. abbia sua sponte deciso di sconfessare le anteriori dichiarazioni di accusa contro il B. o comunque di mitigarne i contenuti non per cause riconducibili all’imputato o a terzi, ma soltanto perchè – a tutto voler concedere – trovatasi in una condizione di "metus autogeneratosi nel suo animo" ed erroneamente attribuito dai giudici del merito al contegno intimidatorio dell’imputato.

L’analisi dei due contesti dichiarativi della G.F., del resto, avrebbe permesso di rilevare come non vi sia stata una reale divergenza tra le dichiarazioni iniziali e quelle dibattimentali.

Emergenza ulteriormente ostativa all’applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4.

La donna in dibattimento ha confermato e, anzi, accentuato (offrendone una più dettagliata narrazione) i fatti di maltrattamento riferiti all’imputato, così come ha confermato le accuse di minaccia a se stessa e ai familiari.

Ella ha soltanto modificato l’iniziale accusa al B. di essere stato l’autore dell’incendio del veicolo del fratello, accusa che aveva formulato nell’immediatezza dell’episodio e al solo scopo di "aggravare le conseguenze giudiziarie" delle accuse mosse al convivente, come ha cercato di chiarire in dibattimento.

A ciò potendosi aggiungere che, per le circostanze dell’episodio (ora notturna), ella non sarebbe stata in condizione di riconoscere alcuno in strada dall’abitazione della sua famiglia. Diversamente da quanto sostenuto dalle due sentenze di merito, non risulta compromessa la genuinità o comunque la verosimiglianza della testimonianza dibattimentale della G. alla luce delle coerenti ragioni da lei addotte a dimostrazione della natura mendace delle sue prime dichiarazioni di accusa concernenti la produzione dell’incendio del 9.1.2004. 2. Erronea applicazione dell’art. 424 c.p..

La ricostruzione dell’episodio da cui è scaturita la contestazione del reato di cui all’art. 424 c.p. impedisce di ravvisare la sussistenza di tale specifica fattispecie criminosa, difettandone l’indefettibile presupposto di un reale pericolo di incendio.

La vettura incendiata, parcheggiata non su una pubblica strada ma in una stradina privata adiacente all’abitazione dei G., è stata danneggiata (bruciata) soltanto nella sua parte anteriore e, quindi, con una scarsa propagazione delle fiamme. Fiamme agevolmente spente con una pompa da giardino. Sicchè non si è determinato, con giudizio di prognosi postuma, un concreto pericolo di incendio, inteso – in adesione alla giurisprudenza di legittimità – come un fuoco distruggitore di notevoli proporzioni e virulenza, non agevolmente estinguibile.

4.- L’impugnazione proposta nell’interesse di B.G. deve essere dichiarata inammissibile per parziale genericità, manifesta infondatezza e indeducibilità dei delineati motivi di ricorso.

Motivi che per gran parte del loro sviluppo ripropongono, con particolare riguardo al procedimento acquisitivo delle iniziali dichiarazioni di G.F. ex art. 500 c.p.p., comma 4, le doglianze espresse nell’atto di gravame avverso la decisione di primo grado, doglianze che pure la sentenza impugnata ha meticolosamente vagliato e disatteso sulla base di argomentazioni logiche e giuridicamente corrette esposte nella estesa motivazione del provvedimento decisorio, che è pressochè per intero dedicata al tema della applicata disciplina prevista dall’art. 500 c.p.p., comma 4.

Disciplina che l’odierno ricorso contesta lungo una prospettiva, per la verità singolare e non compiutamente decifrabile ai fini della sua incidenza sulla solidità dell’impianto accusatorio integrato dalla regiudicanda, che si accentra sulla addotta inesistenza dei presupposti referenziali della previsione normativa, per l’asserito difetto di prova di gesti o atti intimidatori e lesivi della genuinità della testimonianza dibattimentale della persona offesa.

Prospettazione che nel contempo tralascia di soffermarsi sulla consistenza dei fatti reato attribuiti all’imputato, i cui elementi probatori non soltanto non sono posti in reale discussione, ma finiscono per essere valorizzati nelle loro intrinseche valenze penali proprio dalla suggestione della tesi della inesistenza (o, al più, del loro circoscritto ambito al solo episodio dell’incendio) di palesi discrasie tra dichiarazioni preprocessuali e dibattimentali della G.F..

Nessuna specifica censura meritevole di attenzione in questa sede è, infatti, sollevata sulla configurabilità nella condotta dell’imputato dei reati di maltrattamenti e di minaccia plurima, ad eccezione di profili marginali sussunti in parcellari rivisitazioni meramente fattuali dei dati conoscitivi offerti dal processo.

1. Ad ogni buon conto manifesta è l’infondatezza del primo motivo di doglianza sulla illegittima applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4.

Illegittimità desunta da una fuorviante e non pertinente lettura della citata ordinanza, definita dal ricorrente interpretativa dell’art. 500 c.p.p., comma 4, n. 453/2002 della Corte Costituzionale.

Il giudice delle leggi ha ritenuto il procedimento incidentale in esame conforme al dettato dell’art. 111 Cost., comma 5 (prova non formata in contraddittorio per dimostrata "condotta illecita"), perchè la latitudine operativa dell’art. 500 c.p.p., comma 4 non può che essere circoscritta ad una "condotta illecita" che ab externo suborna o coarta il contegno dichiarativo dibattimentale del testimone, senza alcuna possibilità di estendersi anche alla eventuale condotta illecita propria del testimone, che per sua libera scelta decida di testimoniare il falso nel contraddittorio dibattimentale e che, dunque, non incide sul lineare esplicarsi di siffatto contraddittorio. Ora, nel caso di specie, erroneamente nel ricorso si ipotizza che l’atteggiamento testimoniale tenuto in dibattimento (negatoria parziale delle anteriori dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari) dalla G.F. sia potenzialmente ispirato alla volontà di attestare il falso ovvero, in subordine, di smentire strumentalmente la veridicità delle precedenti dichiarazioni.

L’assunto è – infatti – apodittico e tautologico, perchè – se mai ed in tesi – dovrebbe condurre a congetturare che la volontà di riferire fatti menzogneri da parte della G.F. si è espressa non in dibattimento, ma soltanto nel corso delle sommarie informazioni (aut denuncia orale) a suo tempo rilasciate alla p.g..

Eventualità che è in tutta evidenza estranea al perimetro applicativo dell’art. 500 c.p.p., comma 4 e alla limitazione dei suoi referenti concettuali e normativi alla surrogatoria alterata natura delle dichiarazioni dibattimentali, in quanto scaturite dal raffronto comparativo con anteriori dichiarazioni veicolate nel giudizio – il più delle volte, ma non necessariamente – per mezzo delle regole della contestazione a fini di controllo di credibilità del dichiarante.

Nel processo di merito svoltosi nei suoi due gradi nei confronti del ricorrente è venuto in luce con solare evidenza, come sottolinea la sentenza di secondo grado, che il comportamento reticente, elusivo e in gran parte di ritrattazione di antecedenti affermazioni mantenuto dalla persona offesa G.F., non è da attribuirsi al fatto proprio della testimone (il non meglio precisato timore putativo o "autogeneratosi" evocato in ricorso) ma esclusivamente alla condotta dell’imputato ed al pesante condizionamento che egli è riuscito ad imporre alla testimone, apparsa letteralmente terrorizzata dalle prevedibili ritorsioni dell’aggressivo convivente. Situazione emersa con tutta chiarezza nel corso del dibattimento e legittimante per l’appunto, come rileva l’impugnata sentenza di appello, il sicuro ricorso applicativo alle regole di acquisizione dei pregressi enunciati del "condizionato" testimone ex art. 500 c.p.p., comma 4.

Al riguardo è opportuno osservare che la prova dell’inquinamento probatorio della testimonianza, quale presupposto normativo per acquisire al fascicolo processuale e renderle utilizzabili come prova le dichiarazioni rese in precedenza dal testimone, deve essere offerta da elementi ovviamente concreti e oggettivamente sintomatici di una immanente situazione di pregiudizio per la genuinità dell’esame testimoniale. Elementi derivanti da qualsiasi fonte indicativa della intimidazione subita dal testimone, manifestatasi anche nel solo dibattimento, come lascia argomentare sul piano semiologico ed ermeneutico proprio l’uso dell’avverbio connettivo "anche" nel testo dell’art. 500 c.p.p., comma 4 ("…anche per circostanze emerse nel dibattimento,..").

Ed è per l’appunto nel corso del dibattimento che è divenuta palese e incontroversa la condizione di timore riverenziale e di grave preoccupazione per le conseguenze di una eventuale testimonianza non gradita all’imputato, in cui è apparsa essere calata (anche alla stregua delle sue proposizioni giustificative della ed. ritrattazione dei precedenti asserti) la testimone e persona offesa G. F.. Conclusione in linea con le stabili statuizioni di questa Corte regolatrice sull’interpretazione applicativa dell’istituto regolato dall’art. 500 c.p.p., comma 4 (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 6^, 8.10.2009 n. 4814, rv. 245414; Cass. Sez. 2^, 19.5.2010 n. 25069, Solito, rv. 247848; Cass. Sez. 3^, 15.6.2010 n. 27582, rv. 248052).

2. Manifestamente infondata e indeducibile, in quanto sorretta da rilievi di mero fatto diretti ad una non consentita rivalutazione delle fonti di prova adeguatamente vagliate dalle due decisioni di merito, è la censura attinente al contestato reato di danneggiamento incendiario ex art. 424 c.p..

La dinamica dell’episodio delittuoso, quale ricostruita dai giudici di merito in conformità alle emergenze processuali e segnatamente agli accertamenti eseguiti dai carabinieri intervenuti sul posto e alle modalità di spegnimento della combustione alimentata dal fuoco appiccato all’autovettura di G.G., non lascia margini di dubbio sulla corretta qualificazione del fatto a norma dell’art. 424 c.p..

In vero è del tutto irrilevante che la vettura non fosse parcheggiata in una strada pubblica, ma in una stradina secondaria o perfino privata. Evenienza non incidente sui caratteri di pericolosità del fuoco dolosamente appiccato al veicolo (la natura dolosa dell’incendio è fuori discussione), dovendosi avere riguardo alle circostanze modali e spaziali del provocato incendio ed in particolare alla specificità dell’oggetto incendiato, costituito da un autoveicolo con benzina nel serbatoio, attorniato da altri veicoli con carburante anche altamente infiammabile (gas propano).

Circostanze che attestano le devastanti potenzialità distruttive dell’incendio, ove non prontamente domato, come è in concreto avvenuto nel caso in esame. Nè valore dirimente può riconoscersi, come si sostiene nel ricorso, alla facilità di spegnimento del fuoco con l’impiego di acqua alimentata da una pompa in uso alla famiglia G.. Facilità che non può essere confusa con la rapidità dell’opera di spegnimento posta in essere dalle persone intervenute (i carabinieri e gli stessi componenti della famiglia G.).

Fatti o elementi, tutti, che definiscono la concretezza del pericolo di un incendio anche di vaste proporzioni provocato dall’opera di danneggiamento incendiario dell’autovettura.

Ne discende che nel caso di specie non vi è spazio alcuno per inscrivere la condotta illecita attribuita al B. nell’ambito di un semplice danneggiamento sanzionato dall’art. 635 c.p., avuto riguardo alle indicate modalità e circostanze dell’azione, che hanno travalicato la prefigurata lesione dell’altrui patrimonio, assumendo i caratteri – a causa del reale pericolo di un incendio derivatone – di un reato contro la pubblica incolumità, che è il bene giuridico protetto dalla contestata fattispecie di cui all’art. 424 c.p. (v., ex pluribus: Cass. Sez. 1^, 3.2.2009 n. 6250, Cerasuolo, rv. 243228;

Cass. Sez. 6^, 22.4.2010 n. 35769, P.G. in proc. Musco, rv. 248585).

Per effetto della dichiarata inammissibilità dell’impugnazione il ricorrente deve per legge essere condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa conforme a giustizia determinare in misura di Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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