T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 15-11-2011, n. 2127 Bilancio comunale e provinciale Enti locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato in data 11 novembre 2010 e depositato il giorno 19 novembre seguente, la P.B. s.p.a ha impugnato:

a) la determinazione dirigenziale n. 128 del 2010 – chiedendone l’annullamento, vinte le spese – con cui è stata disposta l’acquisizione ai sensi dell’art. 43 d.P.R. n. 327/01 in favore del Comune di Palermo degli immobili iscritti al fg. 51, particelle 23, 24, 2391 e 1460 oggi inglobata nella particella del Catasto fabbricati n. 2520 del fg. 51 di proprietà della Società ricorrente, occupati nell’ambito dei lavori di realizzazione del plesso scolastico di via Pietro Merenda, e disposto il risarcimento del danno;

b) la successiva determinazione dirigenziale n. 143 del 4.10.2010, con cui si è provveduto a rettificare la determinazione dirigenziale n. 128 del 10.9.2010, nel senso di sostituire l’errato importo da corrispondere a titolo di risarcimento del danno di Euro 776.803,08 con quello di Euro 671.844,94.

2. Il ricorso si articola in tre motivi di doglianza con cui sono dedotti i seguenti vizi:

1) Incostituzionalità dell’art. 43 d. P.R. n. 327/01 giusta sentenza della Corte costituzionale n. 293/2010 per difetto di delega legislativa. Ad avviso della ricorrente venuto meno il presupposto normativo su cui si fondava l’adozione dei provvedimenti impugnati gli stessi devono essere annullati;

2) Incompetenza del dirigente comunale a disporre l’acquisizione al patrimonio del Comune ex art. 43 d.P.R. n. 327/2001; violazione delle prerogative degli organi comunali (giunta o consiglio comunale) anche derivanti dallo Statuto del Comune di Palermo, poiché l’atto di acquisizione sanante esorbiterebbe dalla competenza dell’organo burocratico per rientrare nelle attribuzioni della giunta comunale in materia di acquisti ai sensi dell’art. 15 l.r. n. 44 del 1991;

3) Violazione degli artt. 153, 191 e 194 d. lgs. n. 267 del 2000 considerato che le due determinazioni dirigenziali impugnate non conterrebbero l’impegno di spesa e la relativa attestazione di copertura finanziaria e sarebbero state adottate in difetto del preliminare riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio, presupposto dell’atto di acquisizione.

3. Si è costituito in giudizio il Comune di Palermo che, tuttavia, non ha spiegato difese scritte.

4. Con ordinanza n. 645/2011 questo Tribunale ha disposto l’acquisizione di documentati chiarimenti onerando della relativa produzione il Segretario Generale del Comune di Palermo che vi ha provveduto nei termini assegnati.

5. All’udienza pubblica del 4 novembre 2011, presente nel corso della discussione soltanto il procuratore della parte ricorrente che ha ulteriormente illustrato la propria posizione difensiva, il ricorso, su richiesta dello stesso, è stato trattenuto in decisione.

6. In data 8 novembre 2011 è stato depositato il dispositivo di sentenza (n. 1991/2011), come richiesto dalla parte ricorrente ai sensi dell’art. 119, comma 5, cod. proc. amm. con il ricorso introduttivo e come confermato nel corso dell’udienza pubblica.

7. Il ricorso è fondato e va accolto secondo quanto di seguito specificato.

8. Ai fini di una migliore intelligenza delle questioni sottoposte alla cognizione del Collegio vanno succintamente richiamati i passaggi salienti della vicenda contenziosa in cui si è innestata la presente controversia.

Con sentenza n. 6065/2010 di questo Tribunale è stato accolto il ricorso proposto dalla P.B. s.p.a. avverso la determinazione dirigenziale n. 423 del 24 novembre 2000, di espropriazione definitiva in favore del Comune di Palermo degli immobili di proprietà della società ricorrente, occorsi per la costruzione del plesso scolastico in epigrafe richiamato.

Con la sentenza de qua è stata dichiarata l’illegittimità della procedura espropriativa portata a conclusione con la determinazione dirigenziale n. 423 del 24 novembre 2000 e dell’occupazione degli immobili ed è stata fatta "applicazione del meccanismo di cui all’art. 35, comma 2, del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in base al quale l’amministrazione resistente – fatta salva l’ipotesi che la stessa non decida di restituire l’area, limitandosi a risarcire il danno da occupazione illegittima – dovrà attenersi nel prosieguo alla seguente regola d’azione(…)".

In esecuzione della sentenza è stata adottata la determinazione n. 128/2010 del 10 settembre 2010 con cui è stata disposta l’acquisizione dell’immobile ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001 e contestualmente determinata la somma da corrispondere a titolo di risarcimento danni, quantificata in complessivi Euro 776.803,08.

Tale determinazione è stata rettificata con la successiva n. 143 del 4 ottobre 2010, poiché, secondo quanto si legge, "a seguito di un più attento esame della sentenza del Tar, con particolare riferimento a quanto indicato a pag. 17 della stessa relativamente alla depurazione di ogni corresponsione di somme (…) si è pervenuto (…) a quantificare correttamente quanto dovuto a titolo del risarcimento dei danni in Euro 671.844,94, contrariamente a quanto indicato nella narrativa e nel dispositivo della stessa" (come detto, Euro 776.803,08).

Entrambi i provvedimenti sono stati impugnati con l’odierno ricorso.

9. Precisato il perimetro fattuale della controversia, i tre articolati motivi di doglianza possono essere esaminati nel merito.

10. Con il primo motivo la B. s.p.a. deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in ragione della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 293/2010 (del 4 ottobre 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 13 ottobre 2010), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d. P.R. n. 327 del 2001.

Il motivo è fondato.

Rileva il Collegio che per la pacifica giurisprudenza le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere "esauriti" i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge (ex multis, si veda Cassazione civile, sez. III, 6 maggio 2010, n. 10958).

Nel caso di specie il rapporto non può considerarsi esaurito.

La sentenza di questo TAR aveva statuito l’obbligo di provvedere attraverso una delle prestazioni indicate, con esercizio di poteri amministrativi veri e propri, connotati dall’assunzione di una specifica scelta rimessa soltanto all’Amministrazione (accordo, restituzione oppure acquisizione sanante), seppur in esecuzione della sentenza.

L’impugnativa dei nuovi provvedimenti è avvenuta nel termine decadenziale, sicché il motivo si appalesa fondato in relazione al divieto di fare applicazione di una norma (cfr. art. 30, comma terzo, l. n. 87/1953) – l’art. 43 del d. P.R. n. 327 del 2001 – che, come sopra detto, è stata dichiarata incostituzionale, divieto che ovviamente investe anche la fase contenziosa.

11. Con il secondo motivo, la B. s.p.a. deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati poiché sarebbero stati adottati da organo incompetente (il dirigente) anziché dalla Giunta comunale. L’affermazione è suffragata dal richiamo di un copioso numero di disposizioni legislative regionali che presenterebbero – secondo quanto affermato dalla parte ricorrente – una competenza in materia negoziale di siffatto organo (ed in particolare, art. 15 l.r. n. 44/91; art. 4 l.r. n. 23/97; art. 9 l.r. n. 39/97; art. 1, l.r. n. 48/91, art. 78 l.r. n. 10/93, art. 45, l.r. n. 26/93, art. 2, l.r. n. 4/96).

Il motivo è privo di fondamento.

La materia contrattuale in generale e quella relativa agli acquisti degli immobili anche mediante provvedimenti di natura espropriativa è rimessa alla competenza dell’organo dirigenziale il quale vi provvede sulla base di più norme convergenti:

a) sulla base del principio espresso dall’art. 45, comma 1, del d. lgs. n. 80 del 1998, poi trasposto (quanto alle autonomie locali) nell’art. 107, comma 5, d. lgs, n 267 del 2000, ai sensi del quale "A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti";

b) mediante esercizio della competenza fissata dall’art. 6, comma 2 della l. 15 maggio 1997, n. 127, oggetto di rinvio ex art. 2, comma 3 l.r. n. 23 del 1998 (ed il cui testo risulta oggi trasposto nell’art. 107 del d. lgs. n. 267 del 2000), la cui elencazione di fattispecie di natura gestionale (comma 3) non è di carattere tassativo;

c) sulla base della previsione dell’art. 13 della l.r. 23 dicembre 2000, n. 30 – successiva a quelle menzionate dalla difesa della parte ricorrente – che ha attribuito la relativa competenza al responsabile del procedimento di spesa mediante modifica dell’articolo 1 della legge regionale 11 dicembre 1991, n. 48, nella parte in cui attribuiva la competenza in materia contrattuale alla giunta comunale.

Il motivo, pertanto, non è meritevole di accoglimento, dovendosi indubbiamente ritenere che l’atto di acquisizione sanante di cui all’ormai espunto art. 43 d. P.R. n. 327 del 2001 (ed oggi sostituito dall’at. 42bis del medesimo d.P.R.) appartenga al novero delle competenze dirigenziali.

12. Con il terzo motivo la P.B. s.p.a. deduce la violazione di specifiche disposizioni dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali poiché i provvedimenti impugnati non sarebbero corredati dall’impegno di spesa e dalla connessa copertura finanziaria della somma liquidata a titolo di risarcimento danni. Viene altresì contestata l’avvenuta adozione dei provvedimenti senza il necessario preliminare riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio da deliberarsi a cura del Consiglio comunale di Palermo.

Il motivo è fondato.

Ritiene il Collegio di dover succintamente tratteggiare la disciplina dell’assunzione di provvedimenti di spesa da parte dell’Amministrazione comunale nonché i peculiari profili del rapporto tra legge regionale e legge statale in tema di ordinamento finanziario e contabile delle autonomie territoriali.

La Regione Siciliana è titolare di una potestà legislativa esclusiva in materia di enti locali stabilita dall’art. 14 dello Statuto, la quale si estende all’ordinamento finanziario e contabile delle stesse autonomie territoriali, fermi restando i limiti derivanti dai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, in forza dei quali la competenza statale può non esaurirsi con l’esercizio del potere legislativo, ma può implicare anche l’esercizio di ulteriori poteri, quali quelli " di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo" (sentenza n. 376 del 2003; in senso conforme, sentenze n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008).

In forza di tale potestà normativa, il legislatore regionale con l’art. 1 della l.r. 11 dicembre 1991, n. 48 ha operato un pieno rinvio alla legge statale in siffatta materia.

Ne deriva che per effetto di tale scelta legislativa (ordinaria) la disciplina dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali della Regione Siciliana coincide con quella contenuta nel d. lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 – normativa poi trasposta nel d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, parte seconda – ad eccezione, ovviamente per tutte quelle fattispecie, per le quali, sempre la medesima Regione, abbia comunque dettato una distinta ed espressa disciplina che pertanto seguono altra via rispetto a quella del rinvio siccome delineato.

A tale ultima categoria appartengono tutte quelle disposizioni che pur inserendosi nell’ambito dell’ordinamento finanziario e contabile recano, ad esempio, una diversa disciplina della competenza degli organi rispetto a quella tracciata dal d. lgs. n. 267 del 2000.

Si pensi, sempre in via esemplificativa, all’identificazione dell’organo esecutivo che, nel sistema del Testo unico degli enti locali è individuato, quanto ai Comuni, nella giunta comunale, mentre in Sicilia va rinvenuto nella figura del sindaco, salva una diversa previsione statutaria (questione questa che presenta ambiti di rilievo con riferimento all’esercizio del potere di determinazione e variazione delle aliquote dei tributi locali). Ancora si pensi al potere di variazione del bilancio in via d’urgenza salva ratifica del consiglio comunale, di competenza della giunta (recte: organo esecutivo) in ambito statale ma non altrettanto nella disciplina regionale, ovvero ancora alla possibilità, talora ammessa, di approvazione del programma triennale dei lavori pubblici dopo l’approvazione del bilancio di previsione ovvero, ancora, all’esclusione dalla competenza consiliare degli storni di fondi appartenenti a diverse (ex) rubriche del bilancio (art. 45 l.r. n. 26/93).

Tale differenziazione permane, almeno sul piano formale, con riferimento anche ai provvedimenti di spesa quale quelli oggetto del giudizio ed agli effetti della mancata assunzione dell’impegno di spesa.

Se è vero che non sono mai stati espressamente abrogati né l’art. 189 della l.r. n. 16 del 1963 (il cui comma 1 stabilisce che "Le deliberazioni dei Comuni e dei liberi consorzi che importino spese, debbono indicare l’ammontare di esse ed i mezzi per farvi fronte") né l’art. 13 della l.r. 3 dicembre 1991, n. 44 (secondo cui "Gli impegni di spesa non possono essere assunti senza attestazione della relativa copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio finanziario. Senza tale attestazione l’atto è nullo di diritto"), è pur vero che esigenze di unitarietà della disciplina delle procedure di spesa, considerata anche l’unitaria applicazione in tutti gli enti locali del territorio nazionale e regionale dello schema di bilancio approvato con d. P.R. n. 194/86 e l’utilizzo del medesimo sistema di rilevamento dei flussi di cassa, anche per gli enti locali della Regione Siciliana le disposizioni che regolano l’assunzione degli impegni di spesa, le funzioni del servizio finanziario, nonché le procedure per il riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio devono essere, pertanto, individuate in quelle contenute nel predetto d. lgs. n. 267 del 2000. Quest’ultimo stabilisce, per quanto qui rileva, che "I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria".

L’assenza del visto comporta l’inefficacia del provvedimento.

Ciò detto, la determinazione dirigenziale n. 128/2010 e la successiva n. 143/2010, pur costituendo provvedimenti che dispongono – tra l’altro – una spesa, risultano prive del prescritto impegno di spesa.

Con ordinanza n. 645/2011 è stato chiesto all’Amministrazione di riferire proprio su tali aspetti contabili e la stessa ha comunicato che:

– l’impegno di spesa è (asseritamente) stato assunto con (separata) determinazione dirigenziale n. 145 del 5 ottobre 2010, la quale "risulta corredata sia dal certificato di impegno di spesa di cui all’art. 151, comma 4, d. lgs. n. 267/2000, che da un’attestazione dal seguente letterale tenore "Il controllo di cui all’art. 184 del d. lgs. n. 267/2000 è stato effettuato ed ha avuto esito positivo"";

– la legittimità del debito fuori bilancio è stata riconosciuta in data 2 marzo 2011 con deliberazione del Consiglio comunale n. 118/2011;

– tutte le somme necessarie sarebbero state depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Ciò detto, dai documenti versati in atti dall’Amministrazione emerge come nelle determinazioni nn. 139 e 145/2010 risulti effettivamente utilizzato il sintagma "impegno di spesa", ma lo stesso è del tutto privo di efficacia poiché non accompagnato dal visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria ai sensi dell’art. 151, comma 4 d. lgs. n. 267 del 2000, disposizione ai sensi della quale, come detto, "I provvedimenti dei responsabili dei servizi (…) sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria".

In realtà l’unico visto contenuto in siffatti provvedimenti è quello con cui si attesta che "il controllo finanziario di cui all’art. 184 d. lgs. n. 267/2000 è stato effettuato ed ha avuto esito positivo".

E’ agevole rilevare che detto visto non sia quello di cui al richiamato art. 151 che dà efficacia all’impegno di spesa ed alla determinazione che lo contiene, quanto quello riguardante la fase della alla liquidazione di spese già impegnate: fattispecie, questa, diversa da quella in trattazione.

Peraltro, va sottolineato che la determinazione n. 145/2010 contiene un allegato denominato "certificazione di impegno" che in realtà non solo non contiene il visto di regolarità contabile ma si limita a certificare la copertura finanziaria, "con esclusione di ogni possibile valutazione sui profili di compatibilità dell’atto rispetto ad eventuali censure espresse da organi di controllo di ogni ordine e grado siano essi interni ed esterni". Tale certificazione esclude altresì "ogni valutazione in ordine al mancato accertamento da parte del dirigente" che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con le regole di finanza pubblica ai sensi di quanto stabilito all’art. 9 del d.l. n. 78/2009, conv, con l. n. 102/2009, ciò che costituisce presupposto essenziale per l’apposizione del visto di regolarità contabile.

Quest’ultimo elemento induce ad escludere del tutto la sussistenza, in tutti i provvedimenti, del visto di regolarità contabile, essenziale presupposto di esecutività della determinazione e del connesso impegno di spesa.

Né a diversa considerazione può condurre l’avvenuto materiale deposito, mediante pagamento, delle somme dichiaratamente "impegnate" presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Ed invero, il riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio, come risulta agli atti del giudizio, è stato deliberato – in data 2 marzo 2011 – successivamente alla adozione degli atti impugnati (ed anche di quelli depositati nel corso del giudizio).

Ciò evidenzia come, in realtà, precedentemente a tale deliberazione nessun impegno di spesa potesse essere validamente assunto (e, quindi, ritualmente certificato dal dirigente del servizio finanziario), stante l’assenza di riconoscimento della legittimità del debito derivante da "sentenza esecutiva".

Il riconoscimento della legittimità del debito costituisce adempimento temporalmente anteriore all’assunzione dell’impegno di spesa e ciò proprio per la funzione rivestita dal medesimo provvedimento consiliare, preordinato a svolgere un controllo stringente sull’utilizzo delle risorse pubbliche ed a regolarizzare la spesa, anche in punto di previsione finanziaria di bilancio.

Sul punto, il Collegio non ignora quella parte della giurisprudenza contabile che ammette la possibilità, in ipotesi di debito fuori bilancio ex art. 194, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 267 del 2000, di procedere (non già all’impegno di spesa quanto) all’immediato pagamento (che qui si è concretizzato nel deposito presso la Cassa DD.PP.) delle somme previste nella sentenza di condanna (ipotesi ex art. 194, comma 1, lett. a d. lgs. n. 267/2000), sul rilievo che, in tali ipotesi, il riconoscimento da parte del consiglio comunale svolgerebbe una mera funzione ricognitiva, di presa d’atto finalizzata al mantenimento degli equilibri finanziari (Corte dei Conti, SS.RR. Regione Siciliana, parere 23 febbraio – 11 marzo 2005, n. 2).

Tuttavia, da un’interpretazione logica, sistematica (ed anche letterale) delle norme è agevole arguire che proprio perché il legislatore ha individuato tra i debiti oggetto di deliberazione consiliare anche quelli derivanti da sentenze esecutive, il relativo riconoscimento va ritenuto non rivestire una mera funzione ricognitoria ma una vera e propria funzione autorizzatoria e di controllo poiché diretta ad accertare se il debito rientri in una delle tipologie individuate da detta norma e, quindi, a ricondurre l’obbligazione all’interno della contabilità dell’ente, individuando anche le risorse necessarie per farvi fronte e le connesse responsabilità.

Tutte attività prodromiche, queste, all’assunzione dell’impegno di spesa e, soprattutto, alla corretta apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria, ciò che manca (e che non poteva esserci) sia nei provvedimenti impugnati che in quelli successivi depositati dall’Amministrazione a seguito delle misure istruttorie disposte dal Tribunale.

A tale impostazione ha, peraltro, più recentemente aderito la stessa giurisprudenza contabile che ha condivisibilmente sottolineato come "anche con riferimento ai debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive i nuovi principi contabili pur sottolineando l’obbligatorietà e la tempestività del riconoscimento del debito, pongono particolare attenzione sulla imprescindibile attività valutativa da parte dell’organo consiliare" e che "le sottese esigenze di celerità, che trovano ragione nell’esigenza di impedire la maturazione di oneri ulteriori (…) devono essere soddisfatte attraverso la celere convocazione dell’organo consiliare, senza alcuna possibilità di provvedimenti interinali ed urgenti da parte di altri organi" (Corte dei Conti, SS.RR. per la Regione Siciliana in sede di controllo, deliberazione n. 2/2011 del 30 giugno 2011).

Conclusivamente, va dunque affermato che benché dai provvedimenti complessivamente considerati emerga una formale assunzione dell’impegno di spesa, lo stesso va tuttavia ritenuto tamquam non esset stante: a) l’assenza del "visto di regolarità contabile" del responsabile del servizio finanziario (ciò che conferisce esecutività agli stessi); b) il confessato mancato accertamento della compatibilità ex art. 9 d.l. n. 78/2010; c) il riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio avvenuto solo successivamente all’adozione dei medesimi provvedimenti.

Le violazioni di cui alle lett. b) e c) avrebbero comunque impedito la certificazione della regolarità contabile (che infatti non c’è) e, dunque, l’efficacia dell’impegno.

Per tali ragioni i provvedimenti non resistono alle dedotte censure.

13. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso, in ragione della fondatezza del primo e del terzo motivo, va accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

14. Le spese possono essere, in via d’eccezione, compensate tra le parti avuto riguardo alla novità ed alla non perspicuità delle questioni prospettate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe lo accoglie secondo quanto specificato in motivazione e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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