Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-04-2011) 14-10-2011, n. 37369 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 23 novembre 2010 il Tribunale del riesame di Napoli, confermando il provvedimento del locale giudice per le indagini preliminari, ha disposto che P.C. rimanesse sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere quale indagato per il delitto di corruzione propria continuata, con l’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 1991, n. 203.

Il provvedimento è stato assunto nell’ambito di un complesso procedimento riguardante l’operato del clan camorristico facente capo alla famiglia Lo Russo e il suo collegamento con alcuni soggetti inseriti a vario titolo nell’organico del Comune di (OMISSIS), ritenuti disposti a favorire la realizzazione di immobili abusivi evitando i relativi controlli; fra questi è stato individuato P.C., assistente capo della polizia municipale di (OMISSIS) presso l’unità operativa di (OMISSIS).

Il compendio indiziario valorizzato a carico del P. è costituito prevalentemente dalle intercettazioni telefoniche eseguite sulle utenze di R.V. e D.S.A., coindagati quali corruttori. In particolare l’ordinanza impugnata contiene lo stralcio di ampie parti di alcune conversazioni captate, dalle quali il giudice di merito ha tratto il convincimento che il P. fosse inequivocabilmente coinvolto nella corruttela e si fosse anzi dimostrato particolarmente avido nei confronti dei soggetti che facevano affidamento sulla sua complicità.

Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente contesta la capacità dimostrativa delle conversazioni intercettate, tutte svoltesi fra interlocutori terzi, sostenendo doversi semmai trarre da esse la prova che egli abbia sempre svolto il proprio dovere, in contrasto con gli interessi del clan camorristico. Nega, altresì, la configurabilità dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, in ordine alla quale denuncia vizio di motivazione.

Col secondo motivo il P. deduce carenza di motivazione in ordine all’inidoneità di altre misure, meno afflittive, a fronteggiare le esigenze cautelari.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Il primo motivo si pone anzi in area di inammissibilità là dove s’indirizza a contrastare, sotto il profilo della valenza dimostrativa, l’interpretazione data dal Tribunale al contenuto delle conversazioni intercettate. Costituisce, infatti, un principio unanimemente recepito nella giurisprudenza di legittimità quello per cui "in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza" (Cass. 11 dicembre 2007 n. 15396/08; Cass. 28 ottobre 2005 n. 117/06).

A sua volta inammissibile è la censura riferita alla configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7. Sul punto, invero, il Tribunale del riesame ha reso motivazione giuridicamente corretta e conforme a logica, nel l’osservare che le conversazioni captate danno conto del fatto che il P. non soltanto era organico al sistema di corruttela, ma era anche pienamente consapevole che i suoi interventi volti a edulcorare o impedire i controlli ai cantieri edili gestiti dai Lo Russo agevolavano l’attività criminale del clan camorristico ad essi facente capo nel settore dell’abusivismo edilizio, così contribuendo alla permanenza e vitalità del sodalizio. Le generiche contestazioni mosse in argomento dal ricorrente non infirmano la tenuta logico- giuridica del discorso giustificativo.

Da disattendere, infine, è la doglianza che struttura il secondo motivo. L’adeguatezza della sola misura carceraria a far fronte alle esigenze cautelari non richiede specifica motivazione da parte del giudice di merito, essendo presunta in base al disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3, reso applicabile dalla già vista configurabilità dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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