Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-03-2012, n. 5102 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’appello di Lecce D.G.N. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato nei confronti dell’I.N.P.S. dinanzi al Tribunale di Trani-sezione lavoro nel maggio 2003, definito con sentenza nel febbraio 2008. La Corte d’appello, ritenuta la durata ragionevole del giudizio presupposto in considerazione della sua complessità, nonchè la irricevibilità del ricorso ex art. 35 CEDU in quanto manifestamente infondato anche per la irrilevante entità della pretesa in gioco nel giudizio presupposto, ha rigettato la domanda, con onere a carico della parte ricorrente delle spese di lite, Avverso tale decreto D.G. N. ha proposto ricorso a questa Corte per due motivi, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 34 e 35 della CEDU, nonchè la insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Deduce che la corte territoriale: a) ha omesso di considerare che l’Amministrazione resistente, nel costituirsi, non aveva sostanzialmente contestato l’an della responsabilità, riportandosi ai criteri in proposito elaborati dalla giurisprudenza interna e internazionale e chiedendo la compensazione delle spese per la propria condotta processuale non ostativa;

b) ha omesso di tener conto – nonostante i criteri di valutazione indicati in premessa nel decreto – del lungo lasso di tempo intercorso tra il deposito del ricorso e la data della prima udienza e tra questa e quella di rinvio, per una causa che avrebbe potuto essere decisa in non più di dodici mesi invece che nei cinquantotto mesi impiegati;

b) ha aggiunto l’affermazione, priva di indicazione delle prove a sostegno, secondo la quale la pretesa in gioco nel giudizio presupposto sarebbe stata di irrilevante entità, per inferirne la manifesta infondatezza della domanda di equa riparazione.

Tali doglianze sono prive di fondamento.

La determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto, onde verificare la sussistenza della violazione del diritto azionato, costituisce oggetto di una valutazione che il giudice di merito deve compiere caso per caso tenendo presenti gli elementi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 anche alla luce dei criteri di determinazione applicati dalla Corte europea e da questa Corte, dai quali il giudice stesso può discostarsi, purchè in misura ragionevole e dando conto delle ragioni che giustificano tale scostamento.

Ciò posto, va in primo luogo esclusa nel caso in esame la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè la suddetta valutazione discrezionale in concreto sulla ragionevolezza della durata del processo presupposto compete al giudice e non alla parte contro la quale è svolta l’azione, il cui generico ricononoscimento della sussistenza del diritto alla riparazione non vincola il giudice, neppure sotto il profilo (peraltro distinto dall’ambito di applicazione dell’art. 112 c.p.c.) di una ammissione di fatti, non ravvisabile in tale dichiarazione. In secondo luogo, non viola i criteri di determinazione della ragionevole durata posti dalle norme della CEDU – come interpretate dalla giurisprudenza della Corte Europea – il giudice che, ritenendo ragionevole uno scostamento di un anno e dieci mesi rispetto al criterio base normalmente seguito per giudizi non complessi, giustifichi congruamente tale scostamento con la apprezzabile complessità del giudizio presupposto, e rilevando come i rinvii della decisione – per quanto affermato dalla Amministrazione resistente e non smentito dal ricorrente – fossero determinati dall’esigenza comune di attendere la decisione "pilota" di questa Suprema Corte (chiamata a decidere sull’orientamento espresso dal medesimo Tribunale di Trani in una sentenza dell’aprile 2006 vertente sulla medesima questione discussa nel giudizio presupposto), decisione poi intervenuta nel maggio 2007, cui nel febbraio successivo era seguita la definizione del giudizio presupposto. Nè possono condividersi le critiche che il ricorrente muove a tale motivazione deducendo che la Corte d’appello, da un lato, non avrebbe considerato che erano già trascorsi tre anni quando è stato proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Trani, dall’altro avrebbe infondatamente affermato che l’esigenza di attendere la decisione della Cassazione (sfavorevole alla domanda del ricorrente) fosse "comune" alle parti, laddove era invece interesse di esso ricorrente ottenere una sollecita decisione conforme a quella espressa dal Tribunale di Trani nel 2006. Va invero osservato come il primo dato non appaia decisivo, tanto più in assenza di specifica censura da parte del ricorrente avverso la statuizione concernente la complessità del giudizio presupposto; e la seconda critica si mostri – se non inammissibile, in quanto diretta a sollecitare un riesame del merito – comunque priva di fondamento, ove diretta a contestare di illogicità una valutazione che tale non appare, tenendo conto che il ricorrente non poteva ritenersi estraneo all’esigenza di conoscere la posizione della Corte di legittimità sulla tesi giuridica che supportava la sua domanda, onde evitare che ad una eventuale vittoria in primo grado seguisse la sua soccombenza in sede di impugnazione.

Quanto poi alla critica in ordine alla ulteriore ratio decidendi riguardante la irricevibilità del ricorso, tale critica, ove anche fondata, non potrebbe comunque produrre in nessun caso l’annullamento del provvedimento impugnato, che resta validamente sorretto dalla ratio, infondatamente criticata, riguardante la ragionevolezza della durata del processo presupposto.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in Euro 900,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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