Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La POLIMER S.r.l. propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 19 gennaio 2010, che, ha confermato quella di primo grado, con cui era stata respinta la propria domanda di esatto adempimento e di condanna della fornitrice MECBI S.r.l. e di risarcimento dei danni, per l’asserita inesatta ed incompleta esecuzione dell’obbligo di fornire una macchina da stampa flexografica. La società fornitrice non ha svolto attività difensiva. Secondo la Corte territoriale, le varie doglianze in cui si sostanziava l’appello principale della POLIMER non erano fondate. Non esisteva agli atti alcun contratto scritto sufficientemente dettagliato, circa le caratteristiche della macchina ed il relativo corredo, che potesse essere riferito con sufficiente sicurezza alla macchina stessa. Il Tribunale aveva, infatti, motivatamente escluso, sulla scorta della CTU, che quello in data 23/2/1993 prodotto dalla POLIMER si riferisse a tale macchinario, mentre la conferma d’ordine 14 gennaio 1994, prodotta dalla MECBI, era eccessivamente sommaria. La pretesa della POLIMER che, comunque, la macchina dovesse avere le caratteristiche tecniche di quella oggetto del contratto 23/2/1993 – che avrebbe dovuto valere quindi come utile riscontro delle carenze riscontrate in quella acquistata successivamente – era contraddetta dall’enorme differenza di prezzo tra questa (400 milioni) e la precedente (1.600.000). non spiegabile con la circostanza (dedotta dalla POLIMER, ma non provata) che il minor prezzo sarebbe dipeso dalla mancanza dei costi di progettazione innovativa afferenti solo ai macchinari costruiti in precedenza; in ogni caso, si trattava di mere supposizioni non riscontrate probatoriamente. Per quanto concerneva i vizi, i difetti, la mancanza di parti e di qualità essenziali per il funzionamento, da cui la macchina in questione sarebbe stata affetta, osservava in primo luogo che. per quanto concerneva la mancanza di dispositivi di sicurezza antinfortunistici, al di là del fatto che la macchina era stata fornita entro il luglio 1994, mentre il CTU aveva fatto riferimento ad una normativa (il D.P.R. n. 547 del 1995) entrata in vigore successivamente, era dirimente la circostanza che nessuna contestazione era stata mai sollevata entro i termini di cui all’art. 1495 c.c. e fino all’atto di citazione (che, peraltro si limitava ad un vago accenno, solo in conclusioni, alla "non conformità della macchina agli standard CEE in materia di sicurezza", che all’epoca nemmeno erano stati recepiti dalla normativa italiana). Del tutto destituita di fondamento era la pretesa dell’appellante di ritenere la contestazione contenuta nel fax 18 luglio 1994 la cui richiesta di incontro "per la definizione della commessa" era motivata con la "mancata consegna del completamento della macchina nonostante le assicurazioni fatteci e la fattura emessa per il suo totale", dicitura che. pur nella sua estrema genericità, faceva evidente riferimento alla mancanza di pezzi ritenuti necessari per il funzionamento del macchinario, peraltro, reso evidente dalle successive richieste che (a prescindere dalli contestazioni di MECBI) erano tutte finalizzate ad ottenere, appunto, la fornitura di complementi operativi della macchina. Per quanto concerneva la pretesa mancanza di pezzi indispensabili per il funzionamento della macchina, risultava pacificamente che erano stati forniti i 18 cilindri definiti a secondo dei casi come "già approntati ovvero "già in casa", secondo il teste B. comunque sufficienti, mentre non vi era prova alcuna che gli altri pezzi elencati nel documento manoscritto del 6 ottobre 1994 si riferissero al completamento della macchina in questione, essendo invece convincente la deduzione della MECBI che si trattava di pezzi destinati ad altri macchinali, come provato dalla circostanza che ne doveva essere determinato e calcolato il prezzo (laddove la macchina in questione era già stata pagata con tutti i suoi pezzi di corredo, mancando solo l’IVA). A questo riguardo appariva pienamente condivisibile l’argomento del primo Giudice, secondo cui era in stridente contraddizione con l’assunto di POLIMRR. circa l’esistenza di contestazioni in ordine alla mancanza di componenti essenziali per il funzionamento della costosa macchina, la circostanza che ne fosse stato corrisposto integralmente il prezzo ed anzi, nel dicembre 1994, ovvero in presunta piena contestazione, anche il rilevante residuo concernente l’IVA per ben L. 78 milioni. Altrettanto contraddittorio rispetto all’assunto di POLIMER, di essere costretta a tenersi in sede un macchinario non funzionante del costo di circa mezzo miliardo di lire con danni per centinaia di milioni per mancata produzione, appariva l’ulteriore circostanza che, al di là delle affermazioni (non provate) circa successive, reiterate doglianze nei confronti di NECBI, non vi fosse alcuna documentazione al riguardo successiva al dicembre 1994 (ad eccezione di un fax MECBI del febbraio 1996. prodotto da POLIMER, assolutamente generico, privo di qualsiasi espresso riferimento alla macchina di cui trattasi) fino alla citazione di ben quattro anni dopo. Priva di fondamento era infine la doglianza relativa alla mancanza di collaudo della macchina da effettuare presso lo stabilimento della POLIMER in quanto tale verifica non risultava prevista (il riferimento del testimone al punto 5 del contratto 23.1.993 era privo di rilievo, posto che tale contratto non si riferiva alla macchina in questione), mentre risultava comunque effettuata una prova di funzionamento presso MECBI alla presenza dello stesso B..
3. La Polimer ha proposto le seguenti censure, illustrate con memoria.
3.1. A) Art. 360, comma 1, n. 5: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al rilievo, nella vicenda per cui è causa, dell’assenza di adeguate protezioni antinfortunistiche.
B) Art. 360, comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 1470 c.c., e segg. e art. 1453 c.c.. Quanto al profilo sub A), la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria: nulla avrebbe motivato la Corte d’appello circa la rilevanza delle protezioni antinfortunistiche per la funzionalità della macchina stampatrice flexografica. indipendentemente dalla normativa applicabile; nulla avrebbe motivato, o avrebbe motivato contraddittoriamente in ordine alla circostanza che la stessa Mecbi avesse attestato la conformità della macchina alla normativa europea all’epoca vigente, senza che ciò trovasse corrispondenza in ciò che era stato effettivamente fornito; nulla avrebbe motivato in ordine alla chiara presa di posizione della Direzione Provinciale del Lavoro. Quanto al profilo sub B), la ricorrente chiede che questa Corte enunci il principio di diritto secondo cui, nel contratto di compravendita, se il venditore- costruttore attesta la conformità di una macchina ad una normativa comunitaria, ancorchè non ancora formalmente recepita nell’ordinamento italiano, deve ritenersi inadempiente nella misura in cui la macchina non si riveli effettivamente conforme a tale normativa.
3.2. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione dell’art. 1495 c.c. e dell’art. 1453 c.c.. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. La ricorrente censura il secondo profilo su cui la Corte territoriale ha basato il rigetto delle censure inerenti la carenza di protezioni antinfortunistiche: il mancato rispetto dei termini di denuncia ex art. 1495 c.c., non ritenendo pertinente il richiamo di tale disposizione, perchè la fornitura di una macchina priva di griglie antinfortunistiche (oltre che di altri pezzi essenziali), come tale quindi del tutto inidonea all’uso a cui era destinata, configurava un alma pro alio, sganciato quindi dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., valevoli per il diverso caso dei vizi della cosa venduta, e soggetto invece alle regole e ai termini generali dell’art. 1453 c.c.. Lamenta la ricorrente che la venditrice ha fornito una macchina, dichiarandone espressamente la conformità alle normative CE antinfortunistiche, e convincendo di questo l’acquirente. Il Giudice di merito non avrebbe dato peso a questa circostanza, che risulterebbe, invece, decisiva: le affermazioni della Mecbi rese in giudizio avrebbero certificato le condizioni della macchina all’epoca e l’impossibilità di funzionamento per mancanza di protezioni antinfortunistiche. Tanto avrebbe dovuto essere sufficiente per riformare la sentenza, accertando il grave inadempimento della ditta Mecbi. La macchina era dunque radicalmente difforme da quanto pattuito e totalmente priva di protezioni antinfortunistiche, così che il solo metterla in funzione avrebbe determinato una grave pericolo per gli utilizzatori, con conseguente evidente inadempimento del costruttore-fornitore.
3.3. Art. 360, comma 1, n. 5: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in particolare a quali fossero le pattuizioni contrattuali intercorse tra le parti. Innanzitutto, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale: A) non abbia fatto alcun cenno alla testimonianza del B., che offrirebbe invece la prova chiara ed inconfutabile degli accordi tra le parti e che avrebbe dovuto considerarsi particolarmente attendibile perchè proveniente da un teste indicato da entrambe le parti e, soprattutto, da colui che aveva seguito personalmente la contrattazione e l’installazione della macchina; B) a fronte della constatazione del CTU delle profonde divergenze tra il macchinario descritto nel contratto del 23.2.1993 e quello effettivamente fornito, abbia letto questa considerazione come l’assenza di una prova in ordine alle pattuizioni contrattuali tra le parti, e non come la prova definitiva ed inconfutabile dell’inadempimento della ditta costruttrice e della fornitura di un aliud pro alio; C) acquisita la certificazione della non conformità della macchina stampatrice agli accordi contrattuali, non abbia accolto la domanda di risoluzione avanzata da Polimer, e non abbia condannato la Mecbi (Reflex Moldavia) a restituire gli importi ricevuti e a risarcire i danni provocati alla ricorrente 3.4. Art. 360, comma 1, n, 5: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alle denunciate carenze nella fornitura.
L’attendibilità del predetto teste avrebbe imposto di considerare altre due circostanze da lui menzionate: la mancata effettuazione di collaudo: la mancanza, dopo la fornitura, di cilindri, pompe e altri pezzi essenziali. I Giudici di merito, inoltre, avrebbero completamente ignorato la testimonianza del teste M., che ha ricordato in modo circostanziato la vicenda, confermando integralmente la tesi dell’appellante che la macchina fu fornita mancante di alcuni pezzi essenziali, tra cui i dispositivi di sicurezza; che tali carenze furono immediatamente denunciate alla Mecbi, ma senza riscontro. Difformemente dalle valutazioni del Giudice di appello, dalle risultanze istruttorie sarebbero emersi quindi inequivocabilmente: a) provato l’inadempimento della Mecbi; b) chiaramente individuate le pattuizioni contrattuali con riferimento al documento del 23.2.1993; c) tempestivamente contestato l’inadempimento alla Mecbi. A fronte degli elementi probatori passati in rassegna nel ricorso rispetto a dette circostanze, non reggerebbero ad un attento vaglio critico le argomentazioni fatte proprie dalla Corte d’appello. Non sarebbe affatto vero, innanzitutto, che sia dimostrato che la macchina era fornita del corredo necessario per funzionare, come avrebbe dichiarato il B.. Per quale motivo, altrimenti, essa Polimer non avrebbe mai utilizzato la macchina, nonostante l’ingente investimento? Perchè si sarebbe dato credito al teste B. quando afferma che Mecbi aveva fornito i cilindri mancanti – ma la resistente, pure onerata della relativa prova, non avrebbe fornito una bolla di consegna, nè un documento di trasporto, nè un certificato di installazione, come pure è doverosa prassi in questi casi – e lo si ignorerebbe, invece, quando riferisce che la Polimer sarebbe rimasta in attesa, conformemente agli accordi contrattuali, del collaudo, e che il riferimento contrattuale era quello del documento datato 23.2.1993, palesemente disatteso da Mecbi/Reflex? In secondo luogo, nulla proverebbe il lasso di tempo intercorso tra la fornitura della macchina e l’avvio dell’iniziativa giudiziaria. Polimer avrebbe ripetutamele sollecitato Mecbi a completare la fornitura, anche in ragione dei rapporti amichevoli fino a quel momento intercorsi, e si è risolta ad avviare un’azione giudiziale, anni dopo, quando si è resa conto che le promesse di adempimento erano tutte destinate a rimanere vane. In terzo luogo, sarebbe singolare che la Corte d’appello consideri irrilevante e comunque non provata come oggetto di accordi contrattuali la mancata effettuazione del collaudo, essendo prassi nota, e circostanza di comune esperienza, che una fornitura di questa importanza, riguardante un modello non di serie, può ritenersi effettuata e completata soltanto dopo il collaudo effettuato una volta terminata l’installazione. E la prassi troverebbe conferma anche nella deposizione del predetto teste comune. La motivazione, perciò, non avrebbe dato il giusto rilievo a tutti gli elementi probatori acquisiti in causa, avrebbe inspiegabilmente "selezionato" all’interno delle deposizioni del medesimo teste soltanto alcune affermazioni e non altre, e contraddirebbe i più elementari canoni della logica e della comune esperienza.
3.5. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: contraddittoria motivazione in ordine alla liquidazione delle spese dei primi due gradi di giudizio.
La sentenza impugnata non solo ha rigettato l’appello principale svolto da Polimer. ma in accoglimento dell’appello incidentale svolto da Mecbi/Reflex Moldavia) ha posto a carico di Polimer anche le spese di primo grado, che erano state compensate dal Tribunale. Così facendo, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto che la vicenda presenta profili quanto meno dubbi in ordine al corretto adempimento della ditta costruttrice, che avrebbero suggerito una compensazione, invece, anche delle spese del secondo grado. La motivazione che la Corte territoriale ha dato sul punto sarebbe sommaria e del tutto insufficiente.
4. Il ricorso non merita accoglimento. Si rivelano prive di pregio le prime quattro censure. che possono essere trattate congiuntamente, data 1"inlima connessione, essendo tutte rivolte a censurare le statuizioni dell’impugnata sentenza relative all’insussistenza del lamentato inesatto adempimento.
4.1. Non colgono nel segno le censure di violazione di legge formulate nel primo e nel secondo motivo, perchè entrambe presuppongono una ricostruzione dei fatti divergente da quella risultante dalla sentenza impugnata. Si deve ribadire, al riguardo, che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la l’unzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010: 4178/07; 10316/06; 15499/04).
Nel primo e nel secondo motivo, infatti, l’assunta violazione di legge si basa sempre e presuppone una diversa ricostruzione delle risultanze di causa (come, nel primo mezzo, la configurabilità dell’inadempimento per la non rispondenza del macchinario alla conformità alla normativa comunitaria, attestata dal fornitore; nel secondo, l’incidenza sull’adempimento dell’asserita mancanza di protezioni antinfortunistiche della macchina stampatrice, nonchè la qualificazione di tale difformità quale trasferimento di aliud pro alio, anzichè di vizio della cosa venduta), censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detti motivi.
4.2.2. Senza contare che, quanto al primo motivo, sussiste anche altro profilo d’inammissibilità, dovendosi ribadire che l’apprezzamento del giudice di merito sulla sussistenza di elementi comprovanti l’inadempimento (e la sua gravità) nel quadro dell’economia contrattuale, implicando la risoluzione di questioni di fatto, è insindacabile in Cassazione se immune da errori logici o giuridici; il giudice di merito non è, infatti, tenuto ad analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo e adempie all’obbligo della motivazione quando giustifica compiutamente la propria decisione in base alle risultanze probatorie che ritiene risolutive ai fini della statuizione adottata (Cass. 28 giugno 2006, n. 14974; 5 aprile 2005, n. 7086; 29 novembre 2004, n. 22415; 25 novembre 2002, n. 16579). Lo stesso dicasi quanto al secondo motivo, dovendosi confermare che l’accertamento, da parte del giudice di merito, dell’esistenza, gravità, apparenza e riconoscibilità dei vizi della tosa compravenduta, ai fini della pronuncia sulla domanda redibitoria, costituisce apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e priva di vizi logici e giuridici (Cass. 16 luglio 2002, n. 10288; 30 agosto 1994, n. 7589; 30 maggio 1987, n. 4817).
4.3. Non colgono nel segno neanche le censure di vizi motivazionali contenute nei predetti quattro motivi.
4.3.1. Infatti, tutte tali censure sono inammissibili in quanto non integrano vizi motivazionali secondo il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Esse, invero, nella parte in cui lamentano vizi di motivazione, si risolvono nella (non ammissibile) richiesta di rivisitazione di apprezzamenti e valutazioni del tutto legittimamente adottati e applicati in sede di merito. La ricorrente, difatti, lungi dal prospettare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui ha valutato le risultanze processuali in ordine alla prova del dedotto inadempimento, invocano in sostanza una diversa valutazione di tali risultanze, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perchè la valutazione in discorso postula e involge apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento elementi fattuali con esclusione di altri, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva.
E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione, salvo i casi di prove c.d. legali (Cass. n. 2357/04;
14858/00). Inoltre, Al fine di adempiere l’obbligo della motivazione il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni delle parti essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali è fondato il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non siano menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 24542/09; 22801/09; 14075/02; 10569/01; 1390/98).
4.3.3. In ordine all’inammissibilità dei vizi motivazionali prospettati nel terzo e nel quarto motivo, va, inoltre, ricordato che il vizio di omessa. insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, non consistendo nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (tra le molte, cfr. Cass. 16 gennaio 2007 n. 828).
4.3. Del tutto destituita di fondamento è la quinta censura, in quanto proprio in considerazione della soccombenza (e con congrua esposizione e valutazione dei relativi elementi: p. 17 e 18 della sentenza impugnata), come sopra confermata, la Corte territoriale aveva posto a carico dell’odierna ricorrente le spese di entrambi i gradi del giudizio.
5. Ne deriva il rigetto del ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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