Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-03-2012, n. 5075

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. O.D. impugna per cassazione, sulla base di quattro motivi, la sentenza della Corte di Appello di Milano, depositata il 21 dicembre 2009 e notificata il 21 giugno 2010, che, per quanto qui rileva: 1. ha dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione da lui proposta avverso la sentenza della medesima Corte del 22 giugno 2004 (la quale, riformando parzialmente quella di primo grado, aveva affermato il paritario concorso di colpa dell’ O. e di A. e B. nella determinazione del sinistro stradale in lite; con sentenza n. 8007 del 2009 questa Corte respingeva i ricorsi delle parti avverso detta sentenza di appello) – e 2. ha ritenuto meritevole di accoglimento l’istanza di correzione dell’errore materiale, proposta dall’ A., nel senso che, nel dispositivo della sentenza medesima, dove era scritto INPS doveva leggersi ed intendersi INAIL. Rilevava, in particolare, che il giudice di appello non aveva affermato o supposto l’esistenza di un fatto incontestabilmente escluso dagli atti, essendo stato dedotto un errore di giudizio ed avendo le circostanze evidenziate dalla Corte trovato riscontro nel rapporto della polizia stradale ed avendo, in ogni caso, il giudicante rilevato ed affermato altri profili di colpa dell’ O.. Resiste l’ A. con controricorso e chiede il rigetto di ricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

2. Il ricorrente formula le seguenti censure, illustrate con memoria:

2.1. violazione della norme sulla competenza ( art. 360 c.p.c., n. 2) in materia di procedimento per la correzione di errore materiale ex art. 287 c.p.c., in quanto la richiesta di correzione non avrebbe potuto essere presa in considerazione all’interno di un diverso procedimento, quale quello di revocazione di cui agli artt. 395 ss. c.p.c., non essendo il procedimento in correzione un mezzo di impugnazione;

2.2. omissione di qualsiasi motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5) circa la decisione di correggere il presunto errore, pur a fronte delle puntuali argomentazioni dell’odierno ricorrente sulla diversa natura da riconoscersi all’indennizzo accordato dall’ente infortunistico ed il risarcimento del danno non patrimoniale liquidato al ricorrente medesimo;

2.3. falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, applicabile all’incidente in questione avvenuto l’8 giugno 1993, sempre perchè il risarcimento dell’ente antinfortunistico era limitato all’epoca al solo danno patrimoniale, sicchè la sentenza oggetto del presente ricorso avrebbe riguardato invece altre componenti risarcitorie eventualmente gravanti sull’INPS e non sull’INAIL;

2.4. omissione di motivazione in ordine alla circostanza, dedotta a fondamento dell’istanza di revocazione, relativa alla dichiarazione di indubbio valore confessorio rilasciata dal B. in sede di interrogatorio formale, in cui lo stesso ammette espressamente di essersi fermato allo stop di (OMISSIS). Chiede, pertanto, che la Corte verifichi se vi sia stata omissione di motivazione sui seguenti fatti decisivi per il giudizio di revocazione: a. sull’indicata dichiarazione del B.; b. sull’accertamento della regolare velocità dell’ O. da parte degli agenti intervenuti; c. le foto che attesterebbero che lo stato dei luoghi dimostrerebbe la sussistenza di un obbligo di precedenza del B. nei confronti dell’ O.; d. le particolari caratteristiche del veicolo condotto dal B. (pale metalliche sporgenti dalla parte anteriore della sagoma, di fatto invisibili) determinanti nella causazione dell’evento lesivo.

3. Preliminarmente, rileva la Corte che, diversamente da quanto sostiene il resistente, il ricorso è tempestivo, in quanto la riduzione a sei mesi del termine "lungo" d’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c. opera solo per i giudizi instaurati, a differenza di quello in esame, dopo il 4 luglio 2009 ( L. n. 69 del 2009, art. 46).

4. Secondo l’ordine logico delle questioni, va esaminato anzitutto il quarto motivo, riguardante l’impugnazione del rigetto della domanda di revocazione per errore di fatto. Il motivo è infondato e deve, pertanto essere rigettato. Invero – in base a costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass. 24 novembre 1994, n. 9979; Cass. 15 maggio 2000, n. 6237; Cass. 11 aprile 2001, n. 5369, e Cass. 20 febbraio 2006, n. 3652; Cass. 18 febbraio 2009, n. 3935; Cass. 31 marzo 2011, n. 7488) – costituisce errore di fatto deducibile, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, come motivo di revocazione della sentenza, quello che si verifica in presenza non già di sviste di giudizio, ma della percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa; in altri termini: l’errore di fatto, che legittima l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore obiettivamente e immediatamente rilevabile, tale da aver indotto il giudice ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in essi (sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia). L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (ovvero in una critica del ragionamento del giudice sul piano logico – giuridico), vertendosi, in tal caso, nell’ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. 3 aprile 2009, n. 8180).

4.1. Sulla scorta di tale premessa, nella sentenza impugnata è stata fatta esatta applicazione del presupposto di applicabilità del citato art. 395 c.p.c., n. 4, escludendosi, con motivazione logica ed adeguata, che l’errore dedotto dall’ O. potesse integrare un vizio revocatorio. Infatti, nel caso di specie, non poteva dirsi emergente alcuna falsa percezione della realtà, nè che il giudice di merito di secondo grado, allorquando aveva emesso la sentenza del 19 maggio 2004, fosse incorso in una svista oggettivamente e chiaramente rilevabile dagli atti, poichè aveva fondato la sua decisione sulle risultanze del rapporto della Polizia stradale; mentre l’odierno ricorrente si limitò in quella sede a criticare e censurare la valutazione delle prove e a dedurre un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali (assumendo che avrebbero dovuto essere valorizzate alcune risultanze del predetto rapporto), così sostanzialmente deducendo un errore di giudizio.

4.2. Difettava, inoltre, secondo il provvedimento qui impugnato, anche la decisività dell’errore, avendo la Corte di appello, nell’originaria sentenza, rilevato ed affermato anche altri profili di colpa, diversi ed ulteriori rispetto a quello della precedenza all’incrocio. Orbene, è insindacabile in questa sede – nella quale non è stato, tra l’altro, specificamente impugnato – l’apprezzamento del giudice di merito circa l’insussistenza dell’errore revocatorio, se sorretto, come nella specie, da congrua motivazione (argomento desumibile da Cass. n. 25376 del 2006 e 3935 del 2009, secondo cui il giudizio sulla decisività dell’errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi logici e da errori di diritto).

5. I primi tre motivi si rivelano anch’essi privi di pregio.

5.1. Il primo ed il secondo motivo – violazione delle norme sulla competenza in ordine al procedimento di correzione e omissione di qualsiasi motivazione del relativo provvedimento (impropriamente rubricata come vizio ex n. 5, anzichè come n. 4 dell’art. 360 c.p.c.) – sono inammissibili. Infatti, il procedimento di correzione della sentenza, previsto e disciplinato dagli art. 287 e ss. cod. proc. civ., non costituisce un nuovo giudizio o una nuova fase processuale rispetto a quella in cui la sentenza è stata emessa, ma è un mero incidente dello stesso giudizio, diretto ad identificare con la sua corretta espressione grafica l’effettiva volontà del giudice che già risulta espressa nella sentenza (Cass. 24 marzo 1992 n. 3604), mediante la eliminazione dei difetti di formulazione esteriore dell’atto scritto, la cui incongruenza, rispetto al concetto contenuto nella sentenza, appaia manifesta sulla base della sola lettura del testo del provvedimento giurisdizionale. In considerazione della natura non giurisdizionale, ma amministrativa di tale procedimento, e del carattere non decisorio dell’ordinanza che lo conclude, quest’ultima non è, in sè e per sè, soggetta ad impugnazione, neppure con il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., mentre resta impugnabile la sentenza corretta con lo specifico mezzo di impugnazione per essa previsto, al solo fine di verificare se, sia stato violato il giudicato ormai formatosi, nel caso in cui il procedimento sia stato utilizzato per incidere su errori di giudizio (Cass. 3 maggio 1996, n. 4096).

5.2. In altri termini: 1) quello che dispone la correzione, quale provvedimento sostanzialmente amministrativo, non è autonomamente impugnabile neppure ex art. 111 Cost. (Cass. 14 marzo 2007 n. 5950;

ord. 2 dicembre 2004 n. 22658, in motivazione; 6 dicembre 2000, n. 15508); 2) l’impugnazione è consentita solo a tutela degli eventuali diritti nascenti dalla parte corretta e si risolve in un mezzo di verifica della legittimità degli effetti sostanziali della disposta correzione; 3) ne deriva che la denuncia di eventuali vizi di formazione del provvedimento di correzione, che non coinvolga anche il cosiddetto merito sostanziale del provvedimento correttivo, rende il motivo di impugnazione inammissibile per carenza di interesse, dato che la pronuncia del giudice, innanzi al quale è impugnata la parte corretta della sentenza, non può essere limitata alla mera declaratoria di invalidità della ordinanza correttiva per violazione della disciplina del relativo procedimento, ma deve essere di conseguenza estesa alla verifica della sia della sussistenza di un’ipotesi di ammissibilità di correzione, sia della fondatezza nel merito del provvedimento correttivo. E detta indagine non può che essere compiuta in relazione all’enunciazione di espressi motivi di censura (avverso le "parti corrette"), che nei primi due motivi non risultano essere stati formulati (Cass. 27 aprile 2011 n. 2495).

5.3. Con essi si denunziano un asserito difetto di competenza del giudice (che, invece, era proprio quello che aveva emesso la sentenza impugnata) ed un errore procedurale (la mancanza assoluta di motivazione della disposta correzione, che prospetta in sostanza, come si è accennato, tale ipotesi di nullità), vizi che sarebbero stati commessi nel pronunziare il provvedimento di correzione, e quindi si censura quest’ultimo in sè e per sè, non anche in combinazione con la sentenza corretta.

5.4. Anche il terzo motivo si rivela inammissibile, in quanto, sia pure diretto avverso la "parte corretta" della sentenza, è formulato in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, non specificando se la relativa questione sia stata proposta nella precedente fase. Si deve, invero, ribadire il principio – consolidato nella giurisprudenza di legittimità – secondo cui nel giudizio di cassazione, a parte le questioni rilevabili di ufficio (sulle quali non si sia formato il giudicato), non è consentita la proposizione di doglianze che pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel pregresso giudizio di merito e prospettino comunque questioni fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli ivi proposti (nella specie, asserita violazione del D.P.R. n. 1104 del 1965, art. 10, che sarebbe stata perpetrata quanto all’ambito dei danni oggetto dello "scorporo", sostituendo all’indicazione dell’INPS quella dell’INAIL).

5.5. I motivi del ricorso per cassazione devono infatti investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e problematiche che abbiano formato oggetto del giudizio di appello, per cui non possono essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di indagine involgenti accertamenti non compiuti perchè non richiesti in sede di merito.

Pertanto ove il ricorrente in sede di legittimità proponga una questione non trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1562, in motivazione; Cass. 14 giugno 2007 n. 13958, in motivazione; Cass. 25 agosto 2006 n. 13958, in motivazione;

Cass. 31 gennaio 2006, n. 2140).

5.6. La tesi esposta dal ricorrente con la censura in esame non è, quindi, deducibile in questa sede di legittimità, perchè introduce un autonomo tema difensivo che postula indagini e valutazioni non risultanti dalla sentenza impugnata, senza dare conto del se, quando e come fossero state richieste. La specificazione dell’atteggiamento tenuto dall’odierno ricorrente nei confronti dell’istanza di correzione era imprescindibile nel caso di specie, perchè nel procedimento di correzione l’art. 288 c.p.c. prevede espressamente il carattere contraddittorio, o meno, della procedura, a secondo che le parti concordino o no sull’istanza stessa (e l’odierno resistente sostiene, dal canto suo, la novità delle questioni qui agitate dalla controparte).

6. Le spese seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita. Nulla per le spese del presente giudizio nei confronti degli altri intimati, non avendo essi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di A.G., delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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