Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 17-10-2011, n. 37490 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In parziale riforma della decisione del Tribunale, la Corte di Appello di Venezia, con sentenza 11 ottobre 2010, ha ritenuto R. G. e P.M.L. responsabili del reato di minacce e violenza sessuale continuata ai danni di D., minore degli anni dieci ed a loro affidata per ragioni di cura e vigilanza (art. 609 bis c.p., comma 2, artt. 609 ter e quater c.p.) ed ha condannato ciascuno alla pena di anni nove di reclusione.

Per giungere a tale conclusione, la Corte ha focalizzato i fatti che hanno portato alla emersione dei reati in esame. La piccola (nata l'(OMISSIS)), che era stata affidata alle cure della P. dal (OMISSIS), dalla primavera dello stesso anno ha cominciato ad avere comportamenti anormali che si sono incrementati nel tempo (incubi notturni, atteggiamenti aggressivi, crisi depressive voglia di morire, giochi erotici etc.). La bambina fu portata da una psicologa, Dott. Re., alla quale ha cominciato a confidarsi ed a narrare degli atti sessuali che aveva dovuto subire da parte degli imputati.

In data 6 giugno 2002, la Dott. Re. ha proceduto ad una audizione protetta (acquista nel corso del dibattimento su accordo delle parti) nella quale D. ha riferito con abbondanza di particolari sui episodi per cui è processo. La bambina, dopo essere stata dichiarata dal perito capace di rendere testimonianza, è stata escussa in incidente probatorio nell’ottobre 2004 ove alla prima udienza nulla ha ricordato, mentre alla seconda, con grande difficoltà, ha scritto le sue risposte.

Entrambi i Giudici di merito hanno reputato attendibile il racconto accusatorio della bambina per i seguenti motivi. Non era conferente la deduzione difensiva che collegava i disturbi della minore alla personalità intrusiva della madre sia perchè la tesi non era provata sia perchè i sintomi hanno solo un valore indiziario non riconducibili in modo certo con l’abuso. Il contesto familiare non aveva svolto un ruolo inducente sulla dichiarazioni di D. che aveva fatto le sue confidenze solo alla psicologa; l’audizione protetta era stata svolta con metodologie corrette senza domande suggestive, ma dirette per approfondire quanto la bambina già aveva dichiarato. Inoltre, a corroborare le dichiarazioni di D., esisteva l’esito della visita ginecologica che attestava distorsioni all’imene significative di abusi sessuali.

Sul punto, la Corte ha rilevato che tale accertamento, essendo atto irripetibile, era stato inserito nel fascicolo per il dibattimento sulla composizione del quale nulla avevano eccepito gli imputati nei termini dell’art. 491 c.p.p..

Per quanto concerne la posizione della P., si rileva che la donna,incriminata a sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, è stata assolta in primo grado sotto il profilo che non era certa la sua conoscenza degli abusi materialmente perpetrati dal marito; la Corte territoriale, invece, ha reputato che la imputata fosse edotta dei reati per aversi preso parte e, per tale rilievo, l’hanno ritenuta responsabile. Per l’annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando:

– che il rapporto madre – figlia e non gli abusi sessuali era la causa dei disturbi della bambina (come risulta dalle osservazioni della consulente di parte) e sul tema era necessario un supplemento di perizia;

– che i Giudici non hanno tenuto conto della fragilità emotiva della minore, che può deformare la realtà fattuale, della inadeguatezza del metodo con cui la Dott. Re. l’ha interrogata e della preparazione di D. da parte del perito allo incidente probatorio intervenuto ad anni di distanza dai fatti (in una età nella quale è collocata la amnesia infantile);

– che la Dott. Re., avendo svolto il ruolo di psicoterapeuta, non poteva condurre la audizione protetta;

– che il risultato della visita ginecologica, svolta senza la partecipazione della difesa, era inutilizzabile;

– che la piccola ha coinvolto la P. nella vicenda perchè indotta dalle domande suggestive di chi l’interrogava;

– che sussisteva il ragionevole dubbio che giustificava la assoluzione degli imputati ed, in particolare, della P. il relazione alla quale, inoltre, il regime sanzionatorio è immotivato;

– che il reato di minacce è estinto per prescrizione.

Per la risoluzione del caso, il primo scoglio da affrontare concerne la attitudine della minore, in ragione della sua tenera età, a rendere testimonianza. Sul punto, il perito ha riscontrato in D. uno sviluppo cognitivo adeguato con buone competenze linguistiche e mnestiche e capacità di distinguere un racconto fantastico da una storia reale.

Il ricordato – e motivato – parere non è messo in seria discussione delle censure dei ricorrenti che criticano il giudizio dell’esperto sotto il profilo della mancata valutazione della incidenza della fragile struttura emotiva della minore, sollecitata dallo oggetto della testimonianza, su quella cognitiva.

Questa tematica – come correttamente già rilevato dai Giudici di merito – non riguarda la attitudine di D. a testimoniare, ma la ponderazione della affidabilità delle sue dichiarazioni che è compito riservato al Giudice e non può essere delegato allo esperto.

A tale fine, è indispensabile verificare se la minore sia stata oggetto di interventi intrusivi da parte degli adulti di riferimento:

è appena il caso di ricordare come i bambini, soprattutto in età prescolare, siano malleabili ed influenzabili e, se interrogati con inopportune domande inducenti, possono rispondere compiacendo l’intervistatore.

Dalla lettura della decisione in esame (e da quella del Tribunale che, essendo conforme, la integra costituendo un tutto organico) deve escludersi alla radice che la piccola abbia ricevuto interventi manipolatori o domande suggestive da parte della madre. Costei non era sfiorata neppure dal sospetto che la imputata potesse recare danno alla figlia (tanto è vero che le ha affidato anche la secondogenita ed il rapporto lavorativo è stato interrotto per iniziativa della P.) e non aveva motivo alcuno di astio o di rancore verso gli attuali ricorrenti.

D., inoltre, non si è mai confidata con la madre sui fatti per cui è processo che ha iniziato a raccontare solo alla Dott. Re.; se vi è stata una intrusione nella emersione dei ricordi da parte della minore, la si dovrebbe attribuire alla menzionata professionista.

La tesi è difficilmente sostenibile trattandosi di persona attrezzata culturalmente, edotta dei metodi opportuni per l’interrogatorio dei minori, priva di convinzioni precostituiti sul disagio della piccola verso cui orientare le domande.

La dottoressa ha testimoniato sulla modalità non suggestive con le quali, a poca a poco, D. ha articolato il suo racconto accusatorio ed ha rievocato i fatti; sul punto, non vi sono motivi (neppure evidenziati dalla difesa) per non crederle trattandosi di teste qualificata ed indifferente all’esito del processo. E’ auspicabile che la persona che ha rivestito il ruolo di psicologa di un minore abusato sia diversa da quella che svolge funzioni nel relativo processo per tenere distinti il contesto terapeutico da quello giudiziario; tuttavia, la commistione in esame non ha determinato alcuna incompatibilità dal momento che la Dott.ssa Re. non è stata nominata perito e si è limitata ad interrogare la minore su quanto in precedenza a lei già narrato.

I Giudici hanno escluso che atteggiamenti inducenti vi siano stati nel corso della audizione protetta nella quale non sono riscontrabili domande suggestive, ma solo richieste di approfondimento su informazioni anteriormente fornite dalla bambina. Poichè parte della audizione è riportata nella prima sentenza, questa Corte, senza compulsare gli atti processuali, può rilevare come la conclusione sia conforme alla conduzione del colloquio.

Ulteriore problema consiste nel verificare se la "preparazione" alla seconda udienza dello incidente probatorio da parte del perito (nella prima la bambina non aveva ricordato nulla di utile) possa avere influito sullo esito dello interrogatorio. L’esperto ha spiegato che gli incontri avevano la specifica finalità di sostenere la piccola in previsione dell’esame e garantirne la serenità; non sussistono ragionevoli motivi per concludere diversamente. Ora, nel corso del secondo incidente probatorio (anche esso trascritto in parte nella decisione del Tribunale) emerge la grave difficoltà e disagio di D. ad affrontare l’argomento sul quale veniva escussa al punto da non riuscire a verbalizzare le sue risposte, ma a consegnarle ad uno scritto (segno – questo – di stress emotivo forte per una ferita ancora aperta); il perito ha cercato di stimolare la memoria della giovane testimone che non è stata in grado di elaborare un racconto fluente, ma solo di rispondere molto sinteticamente, ma in sintonia con le pregresse dichiarazioni, all’interrogante. Di conseguenza, pur non evidenziandosi intrusioni o metodologie scorrette sulla conduzione dell’incidente probatorio si deve ritenere, anche tenendo conto del noto fenomeno della amnesia infantile, come il racconto accusatorio più genuino della piccola sia quello fornito in sede di audizione protetta.

Tale trama narrativa è stata reputata dai Giudici di merito affidabile e credibile, anche, per i riscontri oggettivi che sigiavano la credibilità di D..

Tra essi – e correttamente – la Corte non ha annoverato i sintomi di disagio della piccola che non sono indice di validazione degli abusi sessuali. Ciò in quanto le attuali conoscenze scientifiche non permettono di individuare sicuri nessi di compatibilità, o incompatibilità, tra i sintomi di disagio ed eventi traumatici specifici. Per questa considerazione, questa Corte ritiene non conferenti le articolate deduzioni della difesa tendenti a dimostrare che la genesi dei disturbi psicologici della bambina fosse da ricercarsi nel rapporto con la madre.

Il fondamentale riscontro alle dichiarazioni di D. è stato individuato dai Giudici nell’esito della consulenza ginecologica in relazione alla quale la critica difensiva di inutilizzabilità è meritevole di accoglimento ; la Corte ha confuso gli atti di indagine non ripetibili in origine o per causa sopravvenuta (che vanno inseriti nel fascicolo del dibattimento e confluiscono tra le prove utilizzabili) con gli accertamenti tecnici non ripetibili.

Il Pubblico Ministero, reputando che l’oggetto della indagine non avesse esigenze di improcastinabilità, ha proceduto a sensi dell’art. 359 c.p.p.. L’accertamento tecnico posto in essere con le forma non garantite può essere utilizzato solo per le determinazioni che l’organo della accusa deve assumere all’esito delle indagini o nei riti speciali; esso non ha valore probatorio al dibattimento (salvo le ipotesi di consenso della parti in tale senso o di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’accertamento).

E’ vero che il consulente del Pubblico Ministero, se interrogato come testimone al dibattimento (per una sorte di "conversione" in quello praeter peritiam previsto dall’art. 233 c.p.p.) può convogliare nel processo pareri e conoscenze utili ai fini della decisione (Cass. Sez. 3 sentenza 22260/2008); l’apporto del consulente non può estendersi allo utilizzo ai fini decisori degli accertamenti effettuati senza la presenza ed il controllo della difesa.

Consegue che i Giudici del rinvio dovranno espungere dal novero delle prove le conclusioni della consulenza medica e verificare se le sole accuse della minore siano idonee a sorreggere una declaratoria di responsabilità.

Per quanto concerne la imputata, deve rilevarsi un vizio motivazionale nella impugnata sentenza.

La Corte di Appello ha ritenuto condivisibile la conclusione del primo Giudice circa la insufficienza delle circostanze che gli abusi fossero avvenuti nella casa familiare e protratti per un lungo lasso di tempo per ritenere che la donna fosse consapevole del comportamento del marito trattandosi di condotta facilmente occultabile anche ai presenti nella abitazione.

A tale considerazione può essere aggiunto il rilievo – emergente dalla sentenza del Tribunale – è stata proprio la imputata a segnalare alla madre di D. delle perdite ematiche della figlia che potevano essere un sintomo di violenza sessuale.

Come già rilevato, la Corte ha ritenuto la P. notiziata dei reati per la sua partecipazione alle violenze sessuali.

Pertanto, i Giudici, pur facendo riferimento all’art. 40 c.p., comma 2 hanno fondato la responsabilità della donna sostanzialmente per il suo ruolo concorsuale nei reati avendo come referente le dichiarazioni della minore nella audizione protetta inerenti alla partecipazione attiva della babysitter agli abusi.

In tale modo, non hanno tenuto conto che nessuna condotta commissiva era addebitata alla P. nel capo di imputazione.

Nella sua formulazione, il Pubblico Ministero aveva trascurato le accuse di D. nei confronti della donna forse perchè contenevano margini di incredibilità (con riferimento a penetrazioni con spilli e chiodi) che sono facilmente reperibili nelle dichiarazioni dei bambini piccoli pur veritiere nel complesso.

Anche la censura sul regime sanzionatorio per P. è fondata per la assoluta carenza della relativa motivazione.

Per gli esposti rilievi, la sentenza in esame deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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