T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 16-11-2011, n. 1832 Consigliere comunale e provinciale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I) Con ricorso notificato il 7 ottobre 2011, depositato il 10 successivo, il signor R.L. ha impugnato il provvedimento di decadenza dalla carica di consigliere comunale rivestita in seno al C.C. del Comune di Scafati in ragione delle molte assenze consecutive fatte registrare nelle sessioni del Consesso Consiliare, adottato in applicazione dell’art. 55 dello Statuto del Comune a seguito delle giustificazioni fornite dall’interessato.

Vengono dedotti i seguenti motivi di gravame:

1) violazione dell’art. 24 del Regolamento delle adunanze consiliari del Comune di Scafati in relazione all’art. 47 dello Statuto e dell’art. 289 del R.D. 4/2/1915 n. 148 come modificato dall’art. 43 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, sostenendosi che l’emissione dell’atto impugnato, concernendo questioni riguardanti valutazioni discrezionali su persone, comporta la votazione segreta e non, come è avvenuto nella fattispecie, la votazione palese;

2 e 3) violazione dell’art. 289 del R.D. 4/2/1915 n. 148 come modificato dall’art. 43 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ed eccesso di potere, sostenendosi l’inadeguatezza d’esame delle giustificazioni fornite dal ricorrente, e la contraddittorietà del comportamento del Comune in relazione alla sua convocazione per la partecipazione alle Commissioni Affari Sociali e Sport nonostante la dichiarata decadenza dalla carica di consigliere.

Il Comune di Scafati ha puntualmente ed ampiamente controdedotto chiedendo il rigetto del ricorso con la memoria depositata il 7 novembre 2011.

II) Il Collegio ritiene che, nell’accertata sussistenza della completezza dell’istruttoria e della ritualità dell’avvenuta instaurazione del rapporto processuale, ricorrono, a norma dell’art. 60 del c.p.a., i presupposti per la decisione del merito della controversia nell’odierna Camera di Consiglio fissata per la discussione della domanda cautelare, avendo interpellato sul punto le parti costituite.

III) Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo di gravame si deve premettere che il ricorrente non lamenta che il provvedimento di decadenza impugnato è stato emesso in "seduta pubblica" (e non segreta), ma ne sostiene l’illegittimità perché è stato adottato nella forma di espressione del "voto palese" e non per "scrutinio segreto"; e sotto quest’ultimo profilo invoca l’art. 47 dello Statuto comunale e dell’art. 24 del regolamento delle adunanze assembleari.

La censura è infondata.

L’art. 47 dello statuto del Comune resistente richiamato da parte ricorrente, dopo aver dettato il principio generale secondo cui le sedute del C.C. sono pubbliche e che la votazione è palese, demanda al Regolamento le previsioni dei casi in cui "il C.C. si riunisce in "seduta segreta" e dei casi in cui lo stesso Organo "vota a scrutinio segreto"; e l’art. 24 del regolamento rubricato " Sedute pubbliche e segrete", del quale parte ricorrente deduce la violazione e nel quale è fatto cenno alle questioni comportanti valutazioni su persone o su fatti che coinvolgono le stesse, riguarda, come risultante espressamente dal relativo dettato normativo, le "sedute" e non "la votazione" che è quella oggetto della deduzione d’illegittimità di parte ricorrente.

La normativa regolamentare riguardante le forme di "votazione" sono contemplate dall’art. 37 del Regolamento che impone lo scrutinio segreto nelle ipotesi in cui in tal senso sia deciso dall’Assemblea consiliare su proposta anche di un solo Gruppo consiliare e dall’art. 42 del medesimo testo regolamentare nelle ipotesi di votazione concernente le nomine di rappresentanti del Comune in seno a Commissioni, Enti, Società o Istituzioni.

E, dunque, la normativa regolamentare derogatoria prevedente la votazione segreta, in assenza di predecisione in tal senso adottata dal C.C., diversamente da quanto si prospetta nel ricorso, non si disvela violata; ed essa, peraltro non impugnata, è coerente con l’art. 43 comma 4 del D.Lgs. n. 267/2000 (T.U. sull’ordinamento degli enti locali) che, proprio per le ipotesi di decadenza dalla carica di consigliere comunale per mancata partecipazione alle sedute assembleari, ne demanda le previsioni dei casi e delle relative procedure alla normativa comunale statutaria (e regolamentare), conseguendone che non appare conferente al caso in esame la giurisprudenza richiamata da parte ricorrente.

Ne deriva l’infondatezza della censura.

III.1) Col secondo e terzo motivo di gravame viene dedotta l’inadeguatezza della valutazione delle giustificazioni delle assenze d’esercizio del munus rese dal ricorrente, e la contraddittorietà dell’atto di decadenza impugnato rispetto alla convocazione successivamente comunicatagli per la partecipazione alle Commissioni comunali "Affari Sociali" e "Sport".

Anche tali censure sono infondate.

Per il primo profilo, ricordato che in materia la condivisibile giurisprudenza ha avuto modo di affermare la sussistenza di un ampio potere d’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione Cons. di Stato – Sez. V – 29/11/2004 n. 7761; TAR Lombardia – BS – Sez. II – 28/4/2011 n. 638), si osserva che la motivazione del provvedimento impugnato, sostanzialmente esplicitata nell’estrema genericità ed indeterminatezza delle giustificazioni, non merita la censura dedotta.

Si deve tenere conto, infatti, che, come si rileva dall’atto recante le giustificazioni e come puntualmente viene posto in evidenza dalla difesa del Comune, la mera indicazione data dal ricorrente di "impegni di lavoro urgenti" lontano dal Comune di Scafati senza alcun supporto individuativo del tempo degli impegni medesimi in relazione alle date d’assenza nelle riunioni dell’Assemblea si disvela del tutto mancante dell’essenza su cui l’organo decidente deve portare il suo esame. E quanto osservato ancor più rileva se si considera che oltre alle assenze nell’ultimo periodo d’esercizio del munus le assenze medesime si estendono, come pure pone in evidenza la difesa del Comune senza essere contraddetta ex adverso, al triennio precedente, mentre non appare concludente e bastevole l’esibizione in giudizio di copie di contratti d’affitto di fondi rustici lontani dal Comune di Scafati perché non esibiti nel procedimento amministrativo che ha dato luogo al provvedimento impugnato e perché, invero, siffatti contratti sono anch’essi mera indicazione dei relativi rapporti e non delle precipue cause d’assenza d’esercizio del munus publicum.

Il secondo motivo di gravame è, pertanto, infondato.

III.2) E’ infondato anche l’ultimo motivo col quale si rileva che il ricorrente successivamente all’adozione dell’atto impugnato (in data 23 e 26 settembre 2011) è stato convocato per la partecipazione alle Commissioni "Affari Sociali" e "Sport", e ciò sia perché (come si precisa dal Comune resistente) le deliberazioni diventano esecutive a norma dell’art. 134 comma 3 del D.Lgs. n. 267/2000 dopo 10 giorni dalla loro pubblicazione avvenuta per affermazione del Comune non smentita ex adverso il 27 settembre 2011, sia perché l’eventuale illegittimità degli atti di convocazione non refluisce sull’autonomo e distinto provvedimento di decadenza.

IV) In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso è infondato e va, conseguentemente, respinto.

V) Le spese di giudizio, in ragione della peculiarità della fattispecie, vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe proposto da L.R., lo respinge.

Dispone la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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